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Larry Bell dalle pagine di Forbes

Un articolo di Larry Bell dal suo blog su Forbes. Non proprio l’ultima delle testate quindi. Una interessante analisi dei meccanismi un po’ perversi e spesso tutt’altro che efficienti con cui si arriva dai finanziamenti (ovvero da quanto proviene direttamente dalle nostre tasche) alla produzione di informazione scientifica. Un sistema, secondo Bell, fortemente a rischio di condizionamento ideologico.

Buona lettura.

Abbiamo ciò per cui paghiamo con disastrosa scienza del clima

Un numero sempre crescente di americani sta arrivando a diffidare delle conclusioni “scientifiche” dei report sul clima che provengono dai governi da fonti istituzionali – spesso a ragione. Tale scetticismo è in parte dovuto alle rivelazioni di cospirazioni tra influenti ricercatori nell’esagerare l’esistenza e le minacce dell’origine antropica dei cambiamenti climatici, nel nascondere i dati di base e nel sopprimere scoperte a loro contrarie evidenziate nello scandalo “Climategate”.

Un altro dubbio è legittimamente alimentato dalle osservazioni dirette. Siamo normalmente testimoni di affermazioni allarmistiche circa gli eventi di riscaldamento di breve durata, mentre altri episodi di raffreddamento altrettanto notevoli ricevono scarsa attenzione, sono attribuiti al riscaldamento, o citati come prova di un “cambiamento climatico” d’impatto.

Chi paga per tutta questa cattiva scienza e, peggio, notizie? Noi, naturalmente. E non a buon mercato. Secondo i dati raccolti da Joanne Nova per lo Science e Public Policy Institute, il governo degli Stati Uniti ha speso più di 32,5 miliardi dollari in studi sul clima tra il 1989 e il 2009. Senza tener conto dei circa 79 miliardi dollari inoltre spesi per ricerca tecnologica connessa con il cambiamento climatico, aiuti all’estero e sgravi fiscali per “energia verde”.

Immaginare che il denaro sgoccioli dal governo verso il basso alla scienza del clima sarebbe una grossolana semplificazione. In realtà, cade dall’alto delle montagne presidiate da agenzie e loro tirapiedi federali e statali che generalmente assumiamo siano informati e obbiettivi. Ma spesso potremmo sbagliarci. Questo accade quando una visione particolarmente ortodossa o di parte mette radici nella gestione del governo e surroga gli apparati di potere – sì, esattamente come le origini antropiche del riscaldamento globale, per esempio. Seguono poi i fiumi, i torrenti e i rivoli man mano che questa influenza si diffonde.

Le agenzie ottengono finanziamenti in base a quanto sono importanti o, più precisamente, a quanto siamo persuasi che lo siano. Nel caso di problemi climatici e ambientali, sembrano essere molto più importanti quando strutturate per far fronte (non certo per rigettare) una crisi. I cambiamenti climatici, che offrono l’opportunità di intervenire su qualcosa di veramente pericoloso, come l’ambiente naturale, sono un tema troppo meraviglioso per lasciarselo sfuggire.

Chi popola queste agenzie? Naturalmente gente con credenziali ortodosse. Aiuta molto se hanno pubblicato libri o articoli che favoriscono e promuovono questi punti di vista, o almeno connessi con le influenti organizzazioni che lo fanno. Chiamiamolo il “mainstream ortodosso”. Poi ancora, la maggior parte di quei libri e articoli non sarebbe stata affatto pubblicata, se gli autori non avessero avuto buone credenziali scientifiche, giusto? Avrebbero avuto bisogno di aver condotto ricerche pubblicate su riviste autorevoli.

Più a valle, le università che sostengono la ricerca competente e assumono scienziati per condurla dipendono dalle agenzie federali e statali (di nuovo da noi). Per competere per quei soldi devono affrontare temi che sono riconosciuti come molto importanti dal mainstream ortodosso. Solo allora potranno assumere e avere persone che scrivono efficaci proposte selezionate per sostenere il personale nella ricerca e scrivere gli articoli che vengono pubblicati sulle riviste autorevoli.

Ma cosa succede se i lavori di questi competenti scienziati non ottengono le pubblicazione sulle riviste autorevoli perché contraddicono la visione dei guardiani dell’influente mainstream ortodosso attaccandolo nel merito – le precise circostanze venute alla luce con le e-mail del Climategate della Climatic Research Unit della Università della East Anglia? In questo caso, gli scienziati non avrebbero vinto borse di studio e ottenuto contratti (cui forniamo denaro con le imposte scolastiche e con le tasse) per ottenere potere e promozioni per guidare importanti università e laboratori di ricerca, o ottenere credenziali necessarie per farsi assumere da parte delle agenzie e organizzazioni similari che distribuiscono il finanziamento. Altri, che giocano secondo le regole politiche e ideologiche è probabile che se la passino molto meglio.

Si tratta di un problema reale? Consideriamo solo alcuni esempi.

Il 4 Giugno 2003, la e-mail da Keith Briffa al collega di ricerca dendrologica Edward Cook, ricercatore presso il Lamont-Doherty Earth Observatory di New York recitava: “Ho un lavoro da referare (presentato al Journal of Agricultural, Scienze Biologiche ed Ambientali ), scritto da un ragazzo coreano e qualcuno da Berkeley, che sostiene che il metodo di ricostruzione che usiamo in dendroclimatology (la regressione inversa) è sbagliato, parziale, approssimativo, orribile, ecc … Se pubblicato così com’è, questo lavoro potrebbe davvero fare un po’ di danni … Non sarà facile respingerlo perché i calcoli mi sembrano teoricamente corretti… Mi spiace ma devo criticare tale revisione – In confidenza, ho ora bisogno di un solido e, se necessario circostanziato argomento di rifiuto. “

Una comunicazione con soggetto “ALTAMENTE CONFIDENZIALE” del luglio 2004 dal direttore della Climatic Research Unit della East Anglia Philip Jones a Michael Mann riferita a due articoli recentemente pubblicati nella ricerca sul clima osservava: “Non riesco a vedere nessuno di questi documenti nel prossimo rapporto dell’IPCC. Kevin [Trenberth] e io li terremo fuori in qualche modo, anche se dovremo ridefinire cosa si intende per letteratura peer-review. ” Jones e Trenberth, capo della sezione Analisi Climatiche dello US National Center for Atmospheric Research, sono stati insieme lead author di un capitolo chiave del report del 2007. Mann era autore del famigerato grafico “hockey stick” che suggerisce l’accelerazione del riscaldamento globale causato dall’uomo a partire dalla Rivoluzione Industriale.

Tom Wigley, uno scienziato senior e associato a Trenberth del National Center for Atmospheric Research in un altra e-mail a Mann suggeriva: “Se pensi che [professor James di Yale] Saiers sia dalla parte degli scettici, beh, se riusciamo a trovare delle prove documentali di questo, potremmo passare attraverso canali ufficiali [American Geophysical Union] per ottenere di spodestarlo “[come redattore capo della rivista Geophysical Research Letters].

E per quanto riguarda il “quarto ramo del governo,” i media? Che cosa sembrano pensare di tali violazioni della fiducia del pubblico? A giudicare da tutti i sette rappresentanti invitati il 23 novemebre 2010 al Forum di Yale dal titolo “Scienziati e giornalisti sulla Lessons Learned [dal rilascio delle e-mail del climategate]”, non molto.

Curtis Brainard della Columbia Journalism Review ha osservato: Direi che la maggior parte dei giornalisti non ha imparato nulla dal ‘climategate’ e dagli ‘pseudo scandali’ degli errori dell’IPCC … quegli eventi sono serviti solo a confondere editori e giornalisti”. Era meno confuso sulle motivazioni della segnalazione di questi eventi, affermando: “Il New York Times ha avuto un storia in prima pagina sul negazionismo climatico, essendo un ‘articolo di fede’ per i Tea Party, che ha reso chiaro che la politica climatica del movimento non è in sincronia con la scienza del clima. “

Richard Harris da NPR credeva che i reportage sul Climategate “non erano un prodotto del giornalismo, ma dell’attivismo … realizzato da persone con uno specifico obiettivo.”

Elisabetta Kolbert del New Yorker era d’accordo con Brainard e Harris: “L’ovvia lezione di scandali finti come il ‘climategate’ è che tendono ad essere creati da gruppi o individui con i loro programmi, e i giornalisti dovrebbero essere molto prudenti nel coprirli. “

Anche Eric Pooley di Bloomberg Businessweek ha respinto la legittimità e l’importanza delle rivelazioni di posta elettronica. “Quando arriverà il prossimo ‘scandaletto’ sul clima” ha detto, “alcuni organi di informazione giocheranno sicuramente al rialzo e cavalcheranno la loro copertura, diventando, di fatto, una cinghia di trasmissione a portata di mano per i professionisti del negazionismo”.

Qualcun altro rileva qui una qualche forma di parzialità dei media? Forse sono solo io.

Ma consideriamo un problema molto più grande. Qualunque sia il nostro individuale orientamento politico o sul clima, dobbiamo riconoscere che si tratta di un problema davvero molto grande quando dei professionisti chiave della scienza o con responsabilità di reporting cui si ripone fiducia la tradiscono. Pensate agli impatti di politiche del governo che coinvolgono molti miliardi di dollari influenzate da false premesse, comprese le norme regolamentari e il budget connessi con l’energia, i programmi ambientali, la scienza e l’istruzione. Provate ad immaginare solo alcuni degli impatti di cattiva scienza sulla nostra economia nazionale e vita quotidiana.

Allora, dove è il giornalismo responsabile in tutto questo? Troppo spesso il mainstream è molto lontano, a valle del sistematico disinteresse per gli abusi. La combinazione delle truffe di Bernard Madoff e della Enron ha fatto molto meno danno a livello nazionale ma ha ricevuto molta più attenzione dei media.

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Un commento

  1. donato

    Anche “Forbes” è un arnese della disinformazione. Ormai la lista si sta allungando sempre più. Credo che fra poco i petrolieri falliranno a forza di pagare tutti coloro che avanzano dubbi sulle tesi dei climatologi del consenso. Qualche settimana fa apprendemmo che Murdoch era uno dei maggiori esponenti della disinformazione. Oggi, appresa la notizia della nomination di Guido Guidi al premio “A qualcuno piace caldo”, sono andato a curiosare nel sito che lo ha proposto e ho notato che il nostro Guidi è in ottima compagnia: il Corriere della Sera, alcuni dei più autorevoli editorialisti de “La Stampa” e del “Corriere della Sera”, diversi scienziati e docenti universitari che ogni tanto ci onoriamo di leggere su questo blog e addirittura l’intera Università degli Studi di Napoli. Credo che per CM assurgere al ruolo di competitor delle pagine scientifiche di Corsera e La Stampa rappresenti un risultato lusinghiero.
    La cosa più interessante, però, è un commento di oggi al post in cui il sito che ha istituito il premio dava la notizia. Un certo Paolo C. nel commentare la cosa ha fatto una considerazione molto interessante e molto illuminante. Si chiede Paolo C. “non è che il fatto stesso che noi si stia ancora a discutere e replicare ai deniers vuol dire che in fondo hanno già vinto loro? che il tempo è scaduto/sta scadendo e noi stiamo ancora a far chiacchiere?”
    Io credo che Paolo C. abbia perfettamente ragione. Il fatto che sempre più studiosi, opinionisti, blogger e gente qualunque (come me, per esempio), cominci a chiedersi se quello che sta succedendo nella scienza del clima sia Scienza o qualcos’altro, la dice lunga sul calo enorme di credibilità dei sostenitori dell’AGW. Nel frattempo loro si trastullano ad assegnare premi e a difendere a spada tratta posizioni, ormai, scarsamente difendibili. Non sarebbe meglio fare un po’ di autocritica, revisionare ciò che si ha in officina e mettersi seriamente a cercare di capirci qualcosa in questo guazzabuglio che è la climatologia odierna gettando a mare tanta zavorra che si è accumulata negli ultimi tempi e che l’articolo di “Forbes” ha mirabilmente riassunto? Noto con amarezza che le tesi di “Forbes” furono anticipate, molti anni fa, in un articolo pubblicato su “Le Scienze” quando era ancora diretta dal prof. Bellone. In quell’articolo, in particolare, si puntava l’indice sul sistema di referaggio in materia di clima e sul fattore di impatto di una rivista. Le affermazioni di “Forbes” sono quasi del tutto identiche a quelle riportate da “Le Scienze”. Su “Le Scienze”, in particolare, si facevano degli esempi riguardanti il Fattore di Impatto (IF) di una rivista. Come è noto tale fattore dipende in massima parte dal numero di citazioni di lavori pubblicati sulla rivista in altre pubblicazioni. Se io sostengo che la Terra si riscalda per effetto del Sole e la moda corrente dice che essa si riscalda per colpa della CO2 di origine antropica, il mio lavoro verrà citato pochissime volte mentre i lavori dei sostenitori dell’altra tesi saranno citati un sacco di volte. La rivista che ha pubblicato il mio lavoro, pertanto, avrà un IF molto basso mentre le altre avranno un altissimo IF. Domanda finale: se dovessi pubblicare un lavoro da cui dipende la mia sopravvivenza scientifica (anche dal punto di vista economico) mi converrebbe sostenere la mia tesi “bastian contrario” o adattarla in modo da concludere che fermo restando il forcing della CO2 di origine antropica, quanto io sostengo si inserisce egregiamente in tale quadro?
    Ciao, Donato.

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