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Eureka! Anzi no…

[photopress:MTGClimate_0206.png,thumb,alignleft]Un po’ di sano ottimismo non guasta, specie in un contesto normalmente permeato da proiezioni a tinte fosche come quello della salvaguardia dell’ambiente e dell’evoluzione del clima. Il problema è dove andarlo a cercare questo ottimismo, ma ecco che venerdì scorso dal convegno tenutosi a Brindisi dal titolo “Inventario emissioni di gas serra in Italia 1990-2005” sembrano giungere notizie confortanti. Almeno questa è l’interpretazione degli atti del convegno che hanno dato alcuni soggetti del mondo dell’informazione, precisamente l’Ansa e la Repubblica on line.

Le cose in realtà stanno diversamente. La notizia della diminuzione di 1,5 punti percentuali delle emissioni di gas serra del nostro paese non è una buona notizia e non è un’inversione di rotta, come ci vorrebbero far credere. Non lo è perché malgrado il titolo del documento in cui sono riportati gli atti del convegno segnali un’inversione di rotta, la tesi viene poi inevitabilmente smontata nel contenuto del documento stesso.

Analizzando nel dettaglio le informazioni si scopre che i settori che hanno segnato una inversione di tendenza sono sostanzialmente due, il settore civile e quello dell’agricoltura; emissioni in calo del 18% per il primo e del 6,4 per il secondo.

Vediamoli. Nel primo caso non siamo diventati meno sensibili agli sbalzi di temperatura, anzi vogliamo case sempre più calde d’inverno e sempre più fresche d’estate, infatti le emissioni di fluorati, i gas usati negli impianti di raffreddamento, sono aumentate del 145%. Però nel 2006 ha fatto fresco d’estate e caldo d’inverno, quindi abbiamo usato poco gli impianti domestici. Questa diminuzione del 18% è dunque casuale e non virtuosa, anche perché i provvedimenti presi sulla regolamentazione ambientale per l’edilizia sono troppo recenti perché se ne possano sentire gli effetti.

Passiamo all’agricoltura, o meglio, agli allevamenti di animali destinati alla catena alimentare, perché è da lì che arriva la diminuzione. Calano le emissioni perché è diminuito il numero dei capi. Visto che questo non ci ha portato alla fame ben venga questa diminuzione, specialmente se aiuta la statistica dei dati sull’inquinamento ambientale. Peccato che diminuire il numero dei capi implica una contrazione dell’economia del settore agricolo che non giova agli operatori e nemmeno al paese, perché vuol dire che per non subire un calo della produttività generale si devono incrementare altri settori produttivi, che a loro volta hanno un impatto sull’ambiente, probabilmente anche superiore. E questo accade. Infatti le emissioni derivanti dalla produzione energetica sono aumentate del 19%.

Non fa sconti neanche il settore trasporti, sempre ovviamente basato sull’impiego di combustibili fossili come l’energia, facendo segnare un + 26,5% dal 1990 al 2005. Però leggiamo anche che nell’ultimo anno, il 2006, questo dato è rimasto invariato. Ancora una volta peccato che questo dipenda dal fatto che imponendo limiti alla circolazione si è viaggiato e inquinato come gli anni precedenti, pur essendo aumentato il numero delle auto in circolazione; in pratica compriamo le auto per non usarle, così salviamo il settore automobilistico (quello Italiano è l’unico in Europa ad avere un passo positivo) e nel contempo inquiniamo di meno, o meglio emettiamo una minore quantità di gas serra. Quanto all’inquinamento in valore assoluto del frenetico ricambio delle auto in circolazione, vi rimando al post pubblicato il 19 giugno scorso su questo blog.

Tutti gli altri indici sono positivi ed indicano la crescita della distanza dagli obiettivi del protocollo di Kyoto, che invece di diminuire raddoppia. Se non lo avessimo ratificato non sarebbe un problema, perché molta parte della comunità scientifica ha già spiegato quanto tale accordo sia inutile dal punto di vista del clima. Infatti spingendo a delocalizzare le produzioni più inquinanti dai paesi ricchi a quelli poveri (sollevati questi ultimi dagli obblighi del trattato per il ritardo nello sviluppo economico), sposta geograficamente le fonti di emissione ma non abbassa il livello totale delle stesse. Invece il problema lo abbiamo, forse anche più grande di quello ambientale…non avremo le risorse per sviluppare i settori delle fonti rinnovabili in quanto saremo impegnati a firmare assegni per comprarci il permesso di inquinare sul mercato del carbon trading. Del resto almeno rispettiamo la tradizione: ricordate quando si pagava il superbollo sulle auto a gasolio?

Ma dov’è la buona notizia?

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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

Un commento

  1. Luca

    Con tutto il rispetto, dire che nel 2006 ha fatto fresco d’Estate mi pare un po’ una forzatura… Da metà Giugno a fine Luglio si è letteralmente boccheggiato!

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