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Anno 1791: primo intervento legislativo per combattere i Cambiamenti Climatici.

Gli alberi sono stati da sempre ritenuti giustamente fondamentali per l’umanità, tanto che probabilmente la prima normativa che in qualche modo pone dei limiti al fine di proteggerli è scritta già nel Codice di Hammurabi (circa 1700 a.C.). Anche nel 450 a.C., per esempio, Artaserse I si sforzò di porre limitazioni all’abbattimento dei cedri del Libano. Fu più tardi che però la presenza dei boschi fu messa in relazione ai cambiamenti climatici, ciò avvenne prima di quando a fine ‘800 cominciò ad affermarsi la teoria dell’effetto serra dovuto all’aumento della concentrazione di anidride carbonica. In Italia ad esempio è famoso quanto scrisse Leopardi su tale relazione1, ma molti ne saranno convinti fino a metà del ‘900, tanto che secondo quanto è riportato nei diari di Ciano, il 24 dicembre 1940 il Duce guardando fuori dalla finestra contento di alcuni fiocchi di neve che cadevano su Roma, afferma:

Questa neve e questo freddo vanno benissimo, così muoiono le mezze cartucce e si migliora questa mediocre razza italiana. Una delle principali ragioni per cui ho voluto il rimboschimento dell’Appennino è stata per rendere più fredda e nevosa l’Italia”.

In Europa, nel Medioevo, la copertura forestale era maggiore dell’attuale. Successivamente iniziò una intensa attività di taglio in quanto il legno era la principale fonte energetica e la materia prima utilizzata in moltissimi manufatti. Nel libro “Il barone rampante” di Italo Calvino, ambientato a fine ‘800, tale periodo è così descritto:

”Io non so se sia vero quello che si legge nei libri, che in antichi tempi una scimmia fosse partita da Roma saltando da un albero all’altro poteva arrivare in Spagna senza mai toccare terra. Ai miei tempi di luoghi così fitti di alberi c’era solo il golfo d’Ombrosa da un capo all’altro e la sua valle fin sulle creste dei monti; e per questo i nostri posti erano nominati dappertutto. Ora, già non si riconoscono più, queste contrade. S’è cominciato quando vennero i Francesi, a tagliar boschi come fossero prati che si falciavano tutti gli anni e poi ricrescono. Non sono ricresciuti. Pareva una cosa della guerra, di Napoleone, di quei tempi: invece non si smise più. I dossi sono nudi che a guardarli, noi che li conoscevamo da prima, fa impressione”.

Vi fu una forte riduzione di superfici alberate, in quanto il legno era utilizzato dalla popolazione montanara come unico sostentamento economico ed energetico. Ad esempio, in Basilicata le superfici boschive diminuirono del 53% tra il 1800 e 1939. In Italia misure per il rimboschimento furono varate nel 1877. L’economista Ghino Valenti definì la foresta come un “male necessario” per preservare la produzione agricola, però dietro tanti discorsi rimase sempre un’opinione decisamente negativa del montanaro incompetente, la cui incuria metteva a rischio l’equilibrio naturale2.

Comunque l’effetto fu il rimboschimento di molte aree a fine ‘800 e nella prima metà del XIX secolo. Allora nessuno li chiamò “green jobs” ma furono il modo per dare un sostentamento alla popolazione delle montagne e migliorare l’ambiente. A titolo d’esempio, riporto alcune foto, mettendo a confronto immagini storiche e recenti, tratte dalle interessantissime pubblicazioni dell’Associazione Culturale E’scamadul, che presentano la stesse zone dell’Appennino Modenese, in particolare la cittadina di Sestola  e della località Lago della Ninfa.

Sestola - Appennino modenese

Lago della Ninfa

In Polonia la foresta copriva il 50% del territorio nel XV secolo e solo il 25% verso il 1790. In Francia la copertura forestale passo dal 25-28% all’inizio del XVI sec. al 17% del 1789. In Russia la foresta passò dal 53% del 1725 al 45% nel 1796 e al 35% del 1914. Per costruire navi si dovettero abattere nel XVIII secolo non meno di 3.000 querce centenarie. L’attività di riforestazione iniziò in Europa occidentale per estendersi successivamente a quella orientale, e ad esempio in Francia, portò gli 8 milioni di ettari dell’inizio del secolo XIX a più di 14,5 milioni di fine secondo millennio. La riduzione di uso della legna da ardere avvenne anche per la novità di poter utilizzare il carbone. Nel testo “Storia dell’ambiente europeo” edizioni Dedalo è riportato:

“resta il fatto che il XVIII secolo sorprende per l’allarmismo riguardo il futuro degli approvvigionamenti di legna. […]Le minacce arrivavano dall’industrializzazione, dall’aumento di popolazione, dalla costruzione di nuove case, dall’attività dei carbonieri e anche dall’incuria dei contadini.[…] L’evoluzione delle condizioni climatiche durante la ‘piccola era glaciale’ e in particolar modo l’aumento della piovosità costituirono una base oggettiva per la presa di coscienza. Le conseguenze erano visibili, come l’arretramento del terreno seminato a grano nelle regioni limite in altitudine o in longitudine, come l’accresciuta frequenza delle inondazioni, gli smottamenti del terreno, le valanghe ed altre calamità scrupolosamente recensite dalle cronache. Tuttavia uno storico tedesco, Joachin Radkau, si è interrogato sui fondamenti obiettivi dell’allarmismo particolarmente sviluppato nel mondo germanico. Rispetto alla nostra percezione contemporanea del degrado ambientale, l’interesse di un simile dibattito è di primaria importanza. Egli sottolinea che gli allarmismi sono evidentemente un’esagerazione dei rischi di esaurimento. E’ il caso del legno. Si anticipa, pertanto un’evoluzione resa caduca dalle innovazioni tecniche, come la sostituzione dei combustibili fossili alle risorse forestali.[…]In Inghilterra come in Germania le autorità incoraggiavano il passaggio al carbone”.

Mentre in Europa a metà del fine XVIII secolo le foreste erano in regresso ed il clima aveva le caratteristiche della cosiddetta “piccola età glaciale”, contemporaneamente nasceva nei tropici il concetto di protezione ambientale che sarà tipico dell’occidente. Avvenne quando l’impresa coloniale cominciava a scontrarsi con l’idealismo romantico e le scoperte scientifiche. Le isole Mauritius erano state un possedimento europeo dal 1505 e passarono per il dominio di varie nazioni finché nel 1768 non vi arrivò Jacques Henri Bernardine de Saint Pierre, ingegnere militare e scrittore, che colpitò dalla bellezza paradisiaca dell’isola e dalla vita miserabile condotta dagli schiavi di origine malgascia, scrisse il famoso romanzo “Paolo e Virginia” effettuando una trasposizione letteraria delle idee di Jacques Rousseau (1727-1778) ed in particolare del mito del “buon selvaggio”. Una delle caratteristiche del “buon selvaggio” era il saper vivere in armonia con la natura adeguandosi ai suoi ritmi e le sue produzioni. A tal proposito Rousseau nel 1762, nel libro “Emilio o dell’educazione”, scrisse:

“Tutto è bene uscendo dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera nelle mani dell’uomo. Egli sforza i terreni a nutrire i prodotti propri d’un altro, un albero a portare i frutti d’un altro; mescola e confonde i climi, gli elementi, le stagioni; mutila il suo cane, il suo cavallo, il suo schiavo; sconvolge tutto, altera tutto, ama le deformità, i mostri; non vuol nulla come ha fatto la natura, neppure l’uomo; bisogna addestrarlo per sé, come un cavallo da maneggio; bisogna sformarlo a modo suo, come un albero da giardino”.

Il libro ebbe molto successo e tra le poesie de “I Colloqui” di Guido Gozzano ve n’è una intitolata “Paolo e Virginia”. Inoltre della bellezza dell’isola furono colpiti anche nel 1836 Charles Darwin e nel 1841 Charles Baudelaire. Bernardine de Saint Pierre, insieme a Commerson, colpiti dall’azione di deforestazione in atto coinvolsero il Governatore per proteggere la natura sull’isola: nel 1769 venne emessa un’ordinanza di limitazione del taglio. In altra isola dei Caraibi orientali, lontano dall’Europa, un fisiologo vegetale di nome Stephen Hales (1677-1761) individuò “scientificamente” un chiaro effetto tra la presenza degli alberi e piovosità, mettendo in guardia sui pericoli della intensa deforestazione come avvenuto in Giamaica e nelle Barbados. L’allarme fu recepito dalla politica e nel 1764 furono delimitate zone dell’isola, circa il 20%, in cui gli alberi erano protetti con l’indicazione “riserve di bosco per le piogge”.

Un concetto rivoluzionario per l’epoca (quelle riserve ancora esistono e sono le più antiche del loro genere al mondo). Misure analoghe furono utilizzate nel 1791 nell’isola di Saint Vincent, nelle Indie Occidentali, dove un “ordinanza”, detta “Kings Hill Forest Act”, metteva per iscritto la protezione della foresta per combattere il cambiamento del clima.


Ispiratore dell’atto fu il botanico Alexander Anderson. Le politiche di intervento ambientale applicate a Mauritius, Tobago e Saint Vincent furono dei modelli da seguire successivamente ad esempio per applicazioni in India, degli studi scientifici furono effettuati ad iniziare dal 1847 per stimolare all’azione la Compagnia inglese delle Indie Orientali, preoccupata per una possibile perdita di utili in seguito alla diminuzione delle piogge, dei deflussi e conseguenti carestie. In India, i periodi di grave siccità tra il 1835 ed il 1839, all’inizio degli anni sessanta e tra il 1876 e 1879 (tale carestia oltre l’India colpì Cina, Egitto, Filippine, Corea, Brasile, per un totale di vittime che superò i 20 milioni) furono tutti seguiti da interventi statali per rinforzare il sistema forestale. Interventi di protezione che presto si estesero a quasi tutte le restanti colonie dell’impero, come avvenne in Sud Africa dopo la siccità del 1862, definita la “peggiore mai verificata” e che per la prima volta mise in relazione gli effetti dell’azione coloniale con l’intero pianeta. Molti scienziati si convinsero che la maggior parte dei tropici semiaridi si stava inaridendo del tutto a causa della deforestazione delle colonie, un’idea confermata dagli studi scientifici.

Intorno al 1860 i membri della Literary and scientific society di Madras propugnarono l'isituzione di riserve forestali in India. Particolarmente efficaci, in tal senso, si rivelarono gli interventi di Edward Balfour (in piedi) e Hugh F.C. Cleghorn (ultimo a destra).

Nel Marzo 1865 James Fox Wilson presentò uno studio alla “Royal Geographical Society” in cui sosteneva che l’espansione del deserto Kalahari e l’inaridimento del fiume Orange erano dovuti alla “sconsiderata distruzione di alberi con il fuoco e all’incendio dei pascoli da parte dei nativi nel corso di molte generazioni”.

David Livigstone dissentì con veemenza affermando che la diminuzione delle precipitazioni era dovuta a cause naturali. Sir Francis Galton sostenne che il prezzo basso delle asce aveva favorito la deforestazione e le conseguente siccità. Il Colonnello George Balfour dette colpa alla presenza degli europei ed ai loro metodi di utilizzo del terreno e delle acque.

Nel 1866 Ernst Heinrich Haeckel conia il termine “ECOLOGIA” come “scienza dei rapporti dell’organismo con l’ambiente”, lo stesso anno si ridiscusse il tema presso la “Royal Geographical Society”. Balfour citò l’esempio delle Mauritius, dove “il Governo ha approvato leggi per impedire l’abbattimento di alberi, e in questo modo ha assicurato piogge abbondanti”. Le preoccupazioni ambientaliste si erano diffuse a livello internazionale e si acuirono quando si riprese lo studio del 1858 di J. Spotswood Wilson presentato alla “British Association for Advancement of Science” in cui si prevedeva “un generale e graduale inaridimento della Terra e dell’atmosfera”. Gli sbancamenti, la distruzione di foreste e lo spreco di acqua per l’irrigazione non erano sufficienti a spiegare i cambiamenti climatici in atto: la causa andava cercata in un cambiamento delle concentrazioni di ossigeno e “acido carbonico” dovuta alla produzione/consumo nel regno vegetale ed animale. Wilson concludeva: I cambiamenti nell’atmosfera ”come sempre avviene per i mutamenti di natura geologica, stanno lentamente avvicinandosi allo stato in cui sarà impossibile per l’uomo continuare ad abitare la Terra”.

FAbio Spina

(1) Pensieri di Giacomo Leopardi su quanto scritto dal famoso segretario dell’Accademia del Cimento, Lorenzo Magalotti (Roma 1637-Firenze 1712), nel 1683 nelle sue Lettera familiari: “egli è pur certo che l’ordine antico delle stagioni par che si vada pervertendosi. Qui in Italia è voce e querela comune, che i mezzi tempi non vi son più; e in questo smarrimento di confini, non vi è dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito mio padre, che in sua gioventù, a Roma, la mattina di Pasqua di resurrezione, ognuno di rivestiva da state. Adesso chi non ha bisogno d’impegnar la camiciuola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima cosa di quelle ch’ei portava nel cuor dell’inverno”.

(2) Un funzionario si chiese quindi se non sarebbe stato meglio ”mettere alberi sulle montagne, che ci starebbero bene e proteggerebbero le proprietà situate a valle, piuttosto che lasciarci gli uomini, che si comportano male e, con la loro sconsideratezza, la loro incuria e la loro avidità, causano alla Francia danni incalcolabili”.

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  1. Pensieri di Giacomo Leopardi su quanto scritto dal famoso segretario dell’Accademia del Cimento, Lorenzo Magalotti (Roma 1637-Firenze 1712), nel 1683 nelle sue Lettera familiari: “egli è pur certo che l’ordine antico delle stagioni par che si vada pervertendosi. Qui in Italia è voce e querela comune, che i mezzi tempi non vi son più; e in questo smarrimento di confini, non vi è dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito mio padre, che in sua gioventù, a Roma, la mattina di Pasqua di resurrezione, ognuno di rivestiva da state. Adesso chi non ha bisogno d’impegnar la camiciuola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima cosa di quelle ch’ei portava nel cuor dell’inverno”. []
  2. Un funzionario si chiese quindi se non sarebbe stato meglio ”mettere alberi sulle montagne, che ci starebbero bene e proteggerebbero le proprietà situate a valle, piuttosto che lasciarci gli uomini, che si comportano male e, con la loro sconsideratezza, la loro incuria e la loro avidità, causano alla Francia danni incalcolabili”. []
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6 Comments

  1. Fabio Spina

    sabato 15 ottobre alle ore 10.50 presso la Scuola Superiore Amministrazione dell’Interno, a Roma, il 189° Annuale di fondazione del Corpo forestale dello Stato. Il Corpo forestale dello Stato trae le sue origini nelle “Regie patenti” di Carlo Felice di Savoia che il 15 ottobre del 1822 costituì l’Amministrazione forestale per la custodia e la tutela dei boschi. La nascita ad inizi ottocento prende ispirazione ed è in parte conseguenza del processo di tutela dei boschi brevemente descritto sopra. Buona domenica.

  2. donato

    Ciò che è stato sarà, ciò che è accaduto accadrà, niente di nuovo sotto il sole.
    Domanda impertinente: se le mezze stagioni erano scomparse nel 1600, poi scomparvero di nuovo nel 1800 ed oggi non se ne trova traccia,è possibile che non siano mai esistite?
    Ciao, Donato

    • Fabio Spina

      La domanda è giusta!E le stagioni, se esistono, iniziano e finiscono lo stesso giorno in tutta Italia? Il tentativo di risposta potrà essre un post su CMfuturo, comunque nel periodo relativamente freddo del primo dopoguerra, quando si dava più credito alla “climatologia dinamica” che a quella “statica” delle medie, si scriveva senza creare alcun allarme: “In sintesi senza dilungarci troppo sui vari tipi di tempo che si possono avere in relazione agli andamenti dei vari centri di azione prima visri, si può dire che il clima Mediterraneo è fondamentalmente caratterizzato da inverni ventosi, miti e piovosi ed estati calde, poco ventose e generalmente secche. Le stagioni di transizioni non sono ben definite e si usa distinguere una ‘stagione calda’ che va da giugno a settembre ad una “fredda” che va da ottobre a maggio (Weather in the Mediterranean, 1964). In questo quadro di riferimento si colloca il clima della penisola che a causa della diversa topografia e delle diverse influenze locali varia in modo notevole da zona a zona. Varie classificazioni sono state date esempio Menella C., 1967.”
      All’epoca però c’era ancora solo il “climatic change”, dopo si cambiò definizioni e venne il temibile “climate change”. Buona domenica.

    • donato

      Se il nostro è conosciuto come il “Bel Paese”, una ragione deve pur esserci! Concordo perfettamente con le tue osservazioni: in Italia viviamo quasi perennemente in una “mezza stagione”. Il nostro è un clima pressochè ideale. Le temperature, generalmente, oscillano intorno a valori che ci consentono di vivere quasi continuamente all’aria aperta. Esistono dei casi in cui le temperature si abbassano o si alzano in modo notevole, ma, fortunatamente, si tratta di casi isolati e di breve durata. La primavera e l’autunno, dalle nostre parti, rappresentano dei periodi di transizione, di durata molto variabile, caratterizzati da rapide oscillazioni di temperatura e stato del tempo (pioggia o sole) tipici della stagione che sta finendo e di quella che va ad iniziare.
      Buona domenica, Donato.

    • Fabio Spina

      Grazie mille, ai posteri l’ardua sentenza…anche se speriamo anche noi di veder la fine di questo periodo caratterizzato dal motto “duemila e non più duemila”, in continuo aggiornamento di data. Buona domenica.

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