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Una lettura interessante: La Natura non è un dogma

Dalle pagine del Corriere della Sera, Stefano Gattei, ricercatore presso l’IMT di Lucca, propone una interessante riflessione circa il rapporto tre l’uomo e la Natura.

[blockquote]Va abbandonata l’idea ingenua e salvifica di tutelare un equilibrio ambientale immutabile. La difesa della biodiversità comporta decisioni selettive circa le specie viventi da salvare[/blockquote]

Sono temi che abbiamo affrontato anche su queste pagine, e sono sicuro che susciteranno delle riflessioni. La pagina è protetta da copyright, perciò mi limito a indicarvene il link.

Buona lettura.

 

 

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Published inAttualità

14 Comments

  1. l’ecologia attuale dovrebbe pensare a come migliorare la qualità della vita. purtroppo non è possibile ciò con la polotica “no-ista” dei movimenti verdi (gggggguarda caso la Lega Nord, il partito più xenofobo in Italia, è verde;chissà perchè…) che ci farà alla fin fine tornare ai tempi di Pascoli il quale, con le sue flore mostruose, sembrava vomitare la sua paura per un Arcadia biologica in cui l’uomo ha come ombre le peggiori mostruosità di una Natura COMUNQUE malvagia e impassibilmente selettiva come essa è. dopo il cemento, ci lamenteremo dei troppi alberi? l’uomo andrebbe protetto dal wwf?

  2. donato

    @ G. Botteri

    Caro Guido, in certi momenti vorrei vivere da solo su un’isola deserta lontana migliaia di chilometri da tutto e da tutti. Il guaio è che se mi trovo in un’isola, affollata di turisti, per giunta, incantevole dal punto di vista paesaggistico, in un bell’hotel con aria condizionata ed ottimo menù al buffet, televisore e telefono in camera, nolo gratuito di canoe per visitare con calma e tranquillità le coste, a 50 metri da una splendida caletta (vedi isole Tremiti, tanto per fare un esempio), dopo una settimana comincia a venirmi la claustrofobia e la nostalgia per i problemi, le angustie, gli avvelenamenti di questo maledettissimo e stressante modo di vivere che mi sono scelto e non vedo l’ora di prendere il traghetto per tornare al mio tran tran quotidiano (anche perché cominciano a scarseggiare i fondi 🙂 ).
    Non c’è nulla da fare: siamo nati per soffrire e ci riusciamo benissimo 🙂 🙂 .
    Ciao, Donato.

    p.s.: a scanso di equivoci: stiamo ipotizzando (non si sa mai, con i tempi che corrono e tutti gli agenti delle tasse in giro, è meglio chiarire) 🙂

  3. donato

    Partiamo con un’errata corrige. Nel mio primo commento ho citato una news di “Le Scienze” che faceva riferimento ad una pubblicazione di “Science”: la news, in realtà, fa riferimento ad un lavoro pubblicato da una rivista di un’università degli Stati Uniti.
    Detto questo, vorrei riallacciarmi alle considerazioni che sono state svolte nei commenti all’articolo del dr. Gattei. Il problema di fondo, secondo me, è il concetto di equilibrio naturale. Il pianeta su cui viviamo si evolve sulla base di dinamiche complesse di cui ci sfuggono i principi di funzionamento. Ogni giorno si ha notizia di uno o più lavori che ribaltano ipotesi consolidate, modificano scenari, elaborano nuove ipotesi (più o meno rivoluzionarie), interpretano dati e via cantando. L’uomo, in poche parole, cerca di comprendere il mondo che lo circonda e, alla fin fine, rispondere alle domande classiche che ci poniamo sin dalle origini: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Se uno di noi si alza la mattina e decide di fare un salto nella natura incontaminata, ha diverse opzioni. Poniamo che decida di recarsi nell’Africa centro-meridionale: milioni di metri quadrati di savana. Supponiamo di arrivare in una zona selvaggia e lontana da insediamenti umani di ogni tipo: non sono pratico della zona, ma suppongo che esistano (anche sulla base dei documentari che vengono frequentemente trasmessi.) 🙂 Potrei dire di trovarmi in un’area naturale in cui l’intervento dell’uomo, se vi è stato, è stato molto limitato e, quindi, dedurne di trovarmi di fronte ad un equilibrio naturale che bisogna conservare per i posteri. La mia deduzione sarebbe completamente sbagliata in quanto, stando a quanto riferisce “Le Scienze”, mi trovo in un ambiente profondamente modificato dall’uomo circa 3000 anni fa. Vedere per credere: http://www.lescienze.it/news/2012/02/12/news/antica_deforestazione_africa_centrale_bantu_savana_foresta_pluviale_agricoltura_et_del_ferro-843450/
    In altri termini, oggi come oggi, non siamo neanche sicuri che quello che ci si para dinanzi agli occhi sia il risultato del lavoro della natura (escluso l’uomo). Questo conferma uno dei temi del lavoro di Gattei: siamo portati a salvaguardare ciò che, per estetica, riesce a suscitare in noi un interesse più o meno grande. Nessuno, infatti, avrebbe da obiettare se gli si proponesse la salvaguardia dell’ambiente naturale costituito dalla savana dell’Africa centro-meridionale. Senza l’uomo, però, zebre, leoni ed elefanti non potrebbero vivere in quelle aree in quanto occupate dalla foresta. A questo punto come bisogna considerare l’opera dei bantu di 3000 anni fa: opera della natura o alterazione degli equilibri naturali?
    Altro aspetto riguarda l’impatto ambientale dell’agricoltura moderna. Esso potrebbe essere positivo se si considera l’incremento della superficie boschiva, negativo se si considera l’impoverimento dei suoli e l’emissione di inquinanti. Secondo il mio modesto parere, l’agricoltura è stata ed è la principale causa del cambiamento ambientale. L’uomo per sfamarsi ha sempre avuto bisogno di terreno coltivabile. Quando in primavera mi avventuro nei boschi che circondano la zona in cui abito, mi imbatto in muri a secco, ruderi, sentieri ormai quasi completamente coperti dalla vegetazione. I più anziani mi dicono che in quei luoghi, in passato, si coltivava la terra. Resti di uliveti ne sono la testimonianza. Si tratta, però, di terreni impervi in cui la moderna agricoltura non può più essere praticata. Una volta le aree oggi coperte dai boschi consentivano a intere famiglie di sopravvivere. Oggi sono tornate allo stato selvatico. La spiegazione? Secondo me le tecniche di coltivazione moderne e l’agricoltura intensiva rendono antieconomica la coltivazione di quei terreni che, a pieno titolo, possiamo considerare residuali. L’abbandono delle campagne da parte delle giovani generazioni non riesce, secondo me, a spiegare completamente questa situazione in quanto, con la meccanizzazione, il lavoro che una volta facevano cento persone può essere fatto da una sola persona. Le colture, però, devono essere impiantate su terreni facilmente accessibili, non eccessivamente acclivi, senza la presenza di rocce affioranti e via cantando. In poche parole i terreni devono essere coltivabili in modo economico: poca spesa e molta resa.
    Ciao, Donato.

  4. max

    qualunque figura professionale o professionalmente titolata e preparata allo studio dell’ambiente naturale nelle sue varie accezioni e componenti (naturalisti, geologi, biologi, ecologi) ha sempre saputo e pacificamente divulgato il concetto di “equilibri dinamici” dei sistemi naturali, tutto benché meno immutabili e immobilizzati;
    ho l’impressione che ci siano alcuni presupposti equivoci in talune conclusioni;
    la tutela dell’ambiente, della biodiversità, e della “naturallità” di certe dinamiche, purtroppo è stata fatta oggetto essa stessa di campagne e “cavalcate” di principio, che di scientifico e “ambientalista” poco hanno avuto nel loro nascere ed evolversi, spesso sono sconfinate impropriamente in vere e proprie correnti politiche o peggio (ma non è nemmeno corretto fare di tutta l’erba un fascio);

    certo che l’uomo appartiene alla natura, ci mancherebbe, ma dire che “…essendo l’uomo un “elemento” naturale, tutto ciò che egli crea deve essere considerato naturale. Le trasformazioni ambientali … devono essere considerate naturali in quanto operate da un essere creato dalla natura….” beh, parliamone;
    quando si intende tutelare l’evoluzione naturale di una porzione protetta di territorio, o di un ecosistema, si intende far sì che questo stesso ecosistema, privo di influenze e ingerenze antropiche, sia libero di evolversi appunto “secondo natura”, senza condizionamenti da manufatti tecnologici estranei, inquinanti immessi come residui di attività produttive, etc etc;
    questo principio ad esempio è alla base di alcune decisioni quali lasciar “liberi” di franare pendii montani, in zone dove non sussista nessuna presenza antropica, né diretta né indiretta, laddove cioè questo normale fenomeno naturale non abbia ripercussioni sull’assetto socio-economico e industriale nei territori circostanti;

    non è corretto parlare solo di tutela dei lupi e delle tigri (cito ad esempio), in realtà quando si vuole tutelare la biodiversità di un ecosistema, non si fa distinzione di sorta;
    diverso è il caso di campagne di comunicazione e sensibilizzazione che hanno come scopo la nascita di un “sentimento” collettivo che fa leva sull’emotività, dove di certo, – è ovio – un manifesto con un cucciolo di tigre è sicuramente più efficace che quello di un verme…. ma questa è un’altra faccenda, esula dagli scopi scientifici di chi studia per salvaguardare e conoscere gli ecosistemi;

    credo che l’equivoco di fondo alla base dell’articolo del Dr. Gattei sia dovuto ad un approccio filosofico alla questione ma distante dalle conoscenze scientifiche specifiche, come dicevo sopra;
    non vorrei che anche in questo caso passasse l’immagine distorta e non veritiera dell’ambientalista sempre e solo come il solito fanatico cieco e sordo che vorrebbe tornare all’età della pietra; certo, ci sono questi individui e gruppi, (purtroppo, aggiungo io), ma il pensiero e la storia dell’ambientalismo sono ricchi di tanto altro,
    se vi interessano questi temi mi permetto di suggerirvi le letture di:

    “Politiche per l’ambiente – dalla natura al territorio” – Segre A., Dansero E. – in particolare il capitolo 3;

    per il resto, tante considerazioni personali di Donato e Guido, molte condivisibili, alcune in parte, ma vabbè, siamo diversi e va bene così;

    giusto una precisazione: se in Italia (e non solo, anche il versante svizzero delle Alpi riscontra lo stesso fenomeno), la copertura boschiva negli ambienti alto-montani è aumentata decisamente in questi ultimi decenni, non è l’agricoltura intensiva la causa primaria diretta, ma il progressivo abbandono delle giovani generazioni che le comunità montane (intese non in senso amministrativo) hanno conosciuto fin dagli anni del benessere economico del periodo ’50-’60, con il riversarsi di grandi flussi di popolazione in cerca del lavoro nelle industrie e di un salario più alto di quello che le attività della tradizione agricolo-pastorale poteva garantire; l’agricoltura intensiva semmai è una delle tante conseguenze del mutamento dei processi produttivi, e della disponibilità di risorse finanziarie necessarie a questo tipo di pratica; che per altro non è certo esente da squilibri e impatti negativi sull’ambiente, primo tra tutti l’immissione di inquinanti nei suoli e nelle acque… ;

    concludo citando una frase dell’articolo del Dr. Gattei:
    “Per Kricher la biodiversità va considerata un valore in sé: da un lato, infatti, garantisce una serie di servizi che la natura ci fornisce gratuitamente (la purificazione dell’aria e dell’acqua, la modifica del clima, la conservazione della fertilità del suolo, e così via); dall’altro, almeno in alcuni casi, comporta una maggiore stabilità del sistema ecologico. Anch’essa, dunque, come la vecchia nozione di equilibrio, associa inevitabilmente a una descrizione fattuale un giudizio di valore, intrinseco o strumentale.”

    aggiungo io: un verme, un mollusco, un rettile, una radice, o un cucciolo d’orso, hanno valore in quanto tali, hanno valore in quanto esistono, e hanno valore all’interno del loro ecosistema, e nelle relazioni di interdipendenza esistenti a tutti i livelli eco-biologici; e questo indipendentemente dal fatto che io (in senso generico=uomo) sia o meno a conoscenza della loro esistenza, e indipendentemente dal valore monetizzato/culturale/emotivo che la loro esistenza può potenzialmente avere riportata in un contesto sociale antropico, e come tali vanno tutelati, e rispettati a prescindere;
    ma questo non vuol dire non mangiare carne, non costruire strade (ma con criterio, non come idiozie propagandistiche tipo Ponte sullo Stretto) etc etc…
    🙂

    • luigi mariani

      “giusto una precisazione: se in Italia (e non solo, anche il versante svizzero delle Alpi riscontra lo stesso fenomeno), la copertura boschiva negli ambienti alto-montani è aumentata decisamente in questi ultimi decenni, non è l’agricoltura intensiva la causa primaria diretta, ma il progressivo abbandono delle giovani generazioni che le comunità montane (intese non in senso amministrativo) hanno conosciuto fin dagli anni del benessere economico del periodo ’50-’60, con il riversarsi di grandi flussi di popolazione in cerca del lavoro nelle industrie e di un salario più alto di quello che le attività della tradizione agricolo-pastorale poteva garantire; l’agricoltura intensiva semmai è una delle tante conseguenze del mutamento dei processi produttivi, e della disponibilità di risorse finanziarie necessarie a questo tipo di pratica; che per altro non è certo esente da squilibri e impatti negativi sull’ambiente, primo tra tutti l’immissione di inquinanti nei suoli e nelle acque… ;”

      Il punto è il seguente (mi limito all’esempio del frumento ma la stessa cosa vale per molte altre colture):

      nel 1910 la produzione media di frumento tenero in Italia era di 10 quintali per ettaro e per coprire le esigenze alimentari della popolazione si era costretti con enorme e penosa fatica fisica a coltivare in Appennino e sulle Alpi fino a quote elevate, ove le rese erano molto scarse ed i processi erosivi innescati erano imponenti.

      Oggi la produzione media di frumento tenero è salita a 60 quintali per ettaro (grazie alle nuove tecnologie, che per inciso consentono di ottenere prodotti di qualità incommensurabilmnte superiore rispetto a quelli dell’inizio del 900) e questo ha consentito di evitare le coltivazioni in ambienti estremi, limitato le stesse agli ambienti più favorevoli (pianura, bassa collina).

      Basta guardare le foto di aree montane italiane prese ai primi del 900 e confrontate con quelle degli anni più recenti per rendersi conto di tale realtà.

      Il rapporto di causa – effetto fra nuove tecnologie in agricoltura ed espansione del bosco nelle aree marginali mi pare l’elemento chiave (anche se non so dirle se l’espansione del bosco sia di per sé da considerare sempre un fato positivo). I movimenti di popolazione sono una conseguenza delal non redditività di coltivazioni effettuate in ambienti marginali e non idonei all’agricoltura intensiva.

    • Guido Botteri

      Max, tu come la vedi la natura, fissa e immutabile e da mantenere così com’è, evitando qualsiasi cambiamento…
      o in dinamica evoluzione (e non solo da quando c’è l’uomo, perché ci sono stati fondamentali cambiamenti anche prima, senza scomodare i soliti dinosauri…) ?
      Vorrei che mi chiarissi la tua posizione (che non mi è del tutto chiara) sull’evoluzione delle specie. In natura niente rimane fermo, se non apparentemente, mentre tutto intorno cambia, lentamente o velocemente. Concordi su questo punto ?
      Lasciare le montagne libere di franare, e i fiumi liberi di allagare… ok, dici “in zone dove non sussista nessuna presenza antropica, né diretta né indiretta”…
      Ma cosa pensi dell’opera dell’uomo ? Lo vedi solo ad inquinare, o apprezzi l’Arte, e la sua funzione mitigatrice ?
      In fondo se viviamo al calduccio mentre fuori fa freddo, e possiamo mangiare un buon cibo, e curarci le malattie, e avere del tempo libero per la cultura e lo svago, e non solo… insomma, senza essere esaustivo, come giudichi l’opera dell’uomo ?
      Preferiresti vivere in una landa desolata (dove non ci sono bar, né ospedali, né tv, né computer…) o avere i comfort di una vita moderna e civile ?
      E quanti, secondo te, hanno diritto di vivere ? Perché in quel diritto, c’è anche il diritto al cibo, ad una abitazione, e magari ad una cultura e tutte le cose che abbiamo detto prima, e quelle che non abbiamo espressamente dette.
      Insomma, abbiamo o non abbiamo il diritto di costruirci una civiltà a nostra misura, nel progresso e (sperabilmente) nella pace ?
      Quando ho parlato di paesaggi non incontaminati (che troverei incantevoli per un giorno o due, e poi mi assalirebbe l’angoscia di tutto quello che non c’è) in confronto a paesaggi modificati dalla presenza dell’uomo, a te dove piacerebbe vivere ?
      E chi sceglierebbe chi può vivere e chi no, e dove, e con quali diritti ?
      Avrei molte altre domande, ma se rispondi a queste già ci chiariamo un po’.

    • max

      ciao Guido,
      mi sembrava fosse chiaro il mio punto di vista, non ho mai detto né pensato alla “natura, fissa e immutabile e da mantenere così com’è”…

      anzi, tutt’altro … non solo per convincimenti personale, ma anche per motivi di studio (geologia) non potrei mai fare affermazioni in quel senso…figuriamoci

      “…In natura niente rimane fermo, se non apparentemente, mentre tutto intorno cambia, lentamente o velocemente. Concordi su questo punto ?….”

      assolutamente si, che concordo….

      che cosa penso dell’opera dell’uomo? bene e male a seconda delle circostanze, non ne faccio né una questione di principio né di “fanatismo ideologico”;
      pensavo che la mia conclusione “..questo non vuol dire non mangiare carne, non costruire strade (ma con criterio, non come idiozie propagandistiche tipo Ponte sullo Stretto) etc etc……” fosse abbastanza esplicativa del mio punto di vista;

      “..abbiamo o non abbiamo il diritto di costruirci una civiltà a nostra misura, nel progresso e (sperabilmente) nella pace ?….”

      certo che si, ma questo non significa libertà impunitsa di disboscare allegramente, di sversare inquinanti , di prosgiugare falde e bacini idrici, di cementificare a destra e a manca senza pianificazione territoriale e preventiva valutazione d’impatto ambientale, e tante altre cose…
      il progresso va bene, va benissimo, ci mancherebbe, ma non va bene quando per far stare bene me che vivo in Italia, rende invivibili e disastrati sia da un punto di vista ambientale che sociale territori che hanno come unica colpa quella di essere ricchi di materie prime (vedi delta del Niger, delta del Congo, Amazzonia, territori dell’ ex URSS, distretti industriali della Cina, Sud america e Africa in genere);

      non è il progresso in quanto tale che non va bene, è l’uso che se ne fa e i mezzi per ottenerlo che sono in parte discutibili… ma qui sconfiniamo in altri lidi…. 🙂

      PS: io sono un appassionato di viaggi naturalistici e di trekking in alta montagna (ma non solo), sopravvivo benissimo anche 20 gg di seguito senza avere intorno a me più di 3-4 persone, e senza avere sotto il naso cellulari, computer, tv (che non uso nemmeno a ROMA), rumori di auto/moto/vociare, etc etc…. ma ammetto di essere un caso a parte, piuttosto selvatico in questo senso… 🙂

    • Guido Botteri

      Max, credo che si potrebbe discutere su molti punti, ma penso che tutto sommato siamo su posizioni magari diverse, ma moderate.
      Troppo spesso sento persone fare affermazioni fuori della realtà, e guardare la natura con occhi di fantasia.
      Tu che sei un appassionato, e che sopravvivi benissimo anche 20 giorni (fino a 20 giorni forse sopravviverei anch’io…alla noia, intendo), potrai intuire che “una cosa” è una vacanza, anche avventurosa, “altra” è una vita senza altre prospettive, senza possibilità di “tornare alla civiltà”.
      A me questo sentimento è ben chiaro, perché nella mia vita mi sono trovato a vivere in condizioni che odiavo (me ne ero fatto una “malattia”) e di cui non vedevo via d’uscita. Quando però ho avuto certezza che ne sarei uscito, e che quel tipo di vita sarebbe stato solo per un periodo limitato di tempo (il tempo di arrivare, per mare, da Anversa a Tangeri) ho affrontato quella stessa vita con un animo molto diverso, offrendomi anche volontario per mansioni pericolose (e poco c’è mancato che ci rimettessi le penne, quando nello scrociare il contro, mentre era in arrivo un ciclone e caduta una grossa cima che mi ha sfiorato. Se mi avesse colpito avrei potuto cadere da decine di metri, forse in mare, forse a bordo, sul duro legno…), e tutto sommato mi sono pure divertito, perché “farlo per una volta” è diverso che doverlo fare “per tutta la vita”. Durante il ciclone sono stato uno dei pochissimi che sono stati bene, ho distribuito agli altri i giubbotti di salvataggio, mi sentivo una bellezza, e non ho avuto la minima paura. Sono sicuro che molti di quelli che stavano male e avevano paura era perché sentivano la responsabilità di fare bella figura per la carriera.
      Per un certo periodo mi sono autoprodotto lo yoghurt. farlo qualche volta è anche divertente. Tutti i bambini vogliono farle loro le cose, e si divertono, ma poi, quando si tratta di fare le stesse cose ripetitivamente, non ci si diverte più. Oggigiorno mi compro lo yoghurt, anche se quello era più buono. Ma mi sono stufato di doverlo fare.
      Voglio dire con tutti questi esempi, che una cosa è fare una cosa per divertimento, per breve tempo, altra è doverlo fare per sempre, per necessità. Se la gente tastasse veramente con mano quanto era, ed è, dura la vita fuori della civiltà, a molti passerebbe il fascino della Natura.
      Con tutto questo, se avrò la possibilità di andare una settimana, anche due, in mezzo alla Natura, lo farò ben volentieri (purché sia sicuro il ritorno a casa).
      Ora, il problema è che molte persone non si rendono conto di questa semplice verità, e sognano. C’è qualcosa di male nel sognare ? No, finché non si si impegna a mettere in pratica i sogni, per sé (e fin qui ognuno rimanga libero dei suoi errori) o per gli altri (ed è qui che mi inalbero quando vedo o leggo certe affermazioni – non mi riferisco a te).
      Vista la tua gentilezza nel rispondermi, ho voluto chiarire meglio il mio pensiero.

  5. Luigi Mariani

    Come spunto di riflessione segnalo l’enorme e misconosciuto contributo alla salvaguardia della biodiversità che si deve all’agricoltura intensiva, quell’agricoltura che da mangiare al mondo e che interessa oggi le terre più fertili (circa 1.4 miliardi di ettari di terreni arabili + 2.3 miliardi di ettari di pascoli) mentre 4 miliardi di ettari sono oggi occupati da foreste.
    Se pensiamo al caso dell’Italia è all’intensificazione dell’agricoltura che si deve l’espansione del bosco che ha riguadagnato aree montane che fino agli anni 50-60 erano interessante da attività agricole marginali. I dati sono impressionanti: la superficie a bosco dal 1910 ad oggi è aumentata del 70%.

  6. donato

    Gattei sviluppa una serie di riflessioni che anche su queste pagine sono state portate avanti. Risale solo a pochi giorni addietro un interessante scambio di opinioni sviluppatosi nei commenti ad un articolo pubblicato qui su CM: http://www.climatemonitor.it/?p=23589 .
    L’idea che la natura sia un sistema in grado di autoregolarsi è molto bella, ma, come ci dice Gattei (riprendendo John Kricher), è ingenua. L’uomo, per alcuni, è il principale nemico della natura in quanto egli, da sempre, cerca di modificare l’ambiente in cui vive per adeguarlo alle sue esigenze e necessità. Io sto scrivendo queste righe utilizzando una tastiera, collegata ad un computer a sua volta collegato ad una rete. Mi trovo in un confortevole ambiente riscaldato, comodamente seduto su una poltrona, e illuminato a giorno da una luce al neon. Vivo in un ambiente completamente artificiale (nel senso che è stato creato da uomini per altri uomini e che mai la natura, senza l’uomo, avrebbe potuto creare). Scriveva qualche giorno fa M. Rovati che, essendo l’uomo un “elemento” naturale, tutto ciò che egli crea deve essere considerato naturale. Le trasformazioni ambientali (alcune del tutto sconsiderate, concordo con Gattei) devono essere considerate naturali in quanto operate da un essere creato dalla natura. A meno di considerare l’Uomo, un elemento estraneo alla natura e dannoso per la natura stessa, quindi da eliminare, noi dobbiamo entrare nell’ottica di inquadrare l’operato umano nell’opera della natura. Alcuni degli ambienti “naturali” più belli, del resto, sono stati creati dalla natura e dall’uomo. Ravello, la Costiera amalfitana, le Cinque Terre, la campagna toscana e potrei continuare all’infinito, sono considerati luoghi incantevoli in cui vivere in armonia con la natura. Senza l’uomo, però, questi luoghi non sarebbero mai esistiti. Tutto il paesaggio italiano, forse anche europeo, è un paesaggio artificiale in quanto non credo esista un angolo del nostro Paese che non sia stato modificato dall’uomo. Eppure è considerato uno dei paesaggi più belli del mondo. Il nostro operato, come dicevo poco più sopra, non è indenne da difetti. Siamo stati in grado, infatti, di creare vicino a gioielli ambientali delle vere e proprie brutture che deturpano la faccia della Terra. Possiamo, però, considerarli degli errori e dobbiamo operare per porvi rimedio. “Est modus in rebus…” ha scritto G. Botteri e questo è il vero segreto per fare le cose e per farle bene.
    Tornando all’articolo di Gattei, egli parla di biodiversità e di conservazione delle specie a rischio. Molto interessante è stata la sua considerazione sui criteri che noi adottiamo per decidere quale specie sia degna di essere conservata: le tigri, i lupi, gli uccelli, ma non alcuni licheni o alcuni vermi orripilanti. Gattei invita a riflettere sulle nostre scelte ed a motivarle. Mentre leggevo le sue parole ho pensato al fatto che l’uomo ha scientemente deciso, a suo esclusivo beneficio, di provocare l’estinzione di una specie vivente : il virus del vaiolo. L’opera è, universalmente, considerata meritoria, ma perché il vaiolo si ed un’altra specie vivente no? Il problema è molto profondo e dovrebbe farci riflettere con razionalità.
    Leggevo oggi su “Le Scienze” di gennaio 2012 che, sulla scorta dei risultati di uno studio pubblicato su “Science”, nell’America del nord la biodiversità vegetale è aumentata nonostante le colture industriali, i diserbanti e le colture geneticamente modificate. Il motivo? Ancora una volta l’uomo. Ed in particolare gli immigrati che trasportano i semi di piante non autoctone dai loro luoghi d’origine. La natura,in fin dei conti, è un enorme work in progress, caratterizzato da un quadro in continua evoluzione che vede nell’uomo uno degli artefici del cambiamento. La natura, però, non è un paziente giardiniere che cura scrupolosamente i suoi fiori: ogni tanto spariglia le carte e, d’un sol colpo, cancella in pochi istanti (geologici) ciò che ha costruito in milioni di anni. Volere conservare in modo immutato un istante (geologico) dell’evoluzione della Terra (quello attuale) per le future generazioni è una pura utopia. Fa piacere che anche ai “piani alti” della conoscenza comincino a rendersene conto. Essere additati sempre come bruti insensibili che, per puro egoismo, vogliono precludere alle future generazioni di godere del nostro meraviglioso mondo, a lungo andare stanca e fa venire dei complessi. Certe letture, ogni tanto, sono necessarie e salutari.
    Ciao, Donato.

    • Luigi Mariani

      Caro Donato,

      leggendo i tuoi saggi commenti e quelli di altri amici come Guido Botteri o Guido Guidi o Fabio Spina o ….. mi viene spontaneo esprimere la seguente idea: non è che per cercare di mantenere una visione serena e realistica del reale potrebbe essere oggi utile creare un pool di persone (un sorta di Club di Roma fondato su nuove basi) che occupandosi di porzioni del reale fra loro complementari tentino di comporre periodicamente un quadro della realtà alieno da distorsioni ideologiche, magari pubblicandolo su CM?

      Forse è solo utopia ma varrebbe la pena di riflettere sull’opportunità di generare periodicamente un report aggiornato in merito ad alcune vere o presunte emergenze ambientali.

      Luigi

    • Luigi, parliamone. Ma lasciamo fuori i club e Roma.
      gg

    • donato

      Un’idea molto bella, ma estremamente impegnativa. Se ne può parlare, come scrive G. Guidi.
      Ciao, Donato.

    • Guido Botteri

      Donato, non entrerò nella questione se l’uomo sia “naturale” o no. Mi limiterò a far notare che se l’uomo fosse considerato “innaturale” perché modifica (spesso mitiga) la natura, allora che dire dei coralli che creano degli atolli ? E che dire degli operosi castori, e di tanti altri animali (batteri compresi) che modificano col loro operato la natura ? Se fosse reato, avremmo molti, insospettati colpevoli a piede libero, senza alcuna denuncia, perché a qualcuno interessa solo prendersela con l’uomo.
      Eppure, io che sotto sotto sono un romantico e un amante dell’ambiente (leggete la pagina facebook di Shelburn e ne avrete conferma), e che mi commuovo per un fiume che scorre maestoso tra rive alberate, o per una incantevole cascata dove magari (orrore) qualcuno getta l’immondizia (questo, sì, che è reato, per lo meno di civiltà!), o mi commuovo per un lago o per un paesaggio montano, o per il ridente paesaggio di colline e mare con tutte quelle allegre villette sparse per i pendii come pecorelle al pascolo, trovo che l’elemento umano (inteso come la sua opera) sia una parte essenziale della bellezza dei luoghi.
      Immaginate luoghi come Parigi, Londra, o tante città italiane d’arte (Venezia, Firenze, Napoli e tante altre) com’erano prima che l’uomo costruisse capolavori incredibili come Notre Dame, Tower Bridge, piazza San Marco e il ponte dei Sospiri, Piazza della Signoria a Firenze, o del Plebiscito a Napoli e tutti quei meravigliosi tesori d’Arte sparsi per il mondo, e così abbondanti in Italia…cosa erano sei mila anni fa ? Tuffatevi nel tempo, abbattete secoli e palazzi, distruggete (mentalmente) dipinti, statue, castelli, palazzi, ville, reggie…ed ogni cosa d’Arte che l’opera dell’uomo ha incastonato in un paesaggio altrimenti solo rurale… ma davvero pensate che l’uomo abbia rovinato la natura, o non l’ha forse, e di molto, abbellita ?
      E cosa sarebbe al mia Ravello senza le sue ville, i suoi fiori, che l’opera dell’uomo coltiva e cura, senza i suoi ruderi di interesse storico (ahi, qui la cosa mi tocca personalmente)…senza l’uomo, senza la sua opera, che ci andrei a fare a Ravello, o in qualsiasi altro posto dove oggi ci sono opere di interesse storico ?
      Ma è davvero tanto bella una landa deserta e senza alcun segno umano ? Avete mai confrontato un luogo disabitato dell’estremo nord, con uno di quei ridenti e coloratissimi villaggi norvegesi o canadesi ?
      Per un giorno o due, forse una settimana o un mese (per i più stressati) può piacere il deserto, là dove non c’è traccia di presenza umana, ma dopo un po’ urlerebbe nel vostro cuore il richiamo dell’allegria della civiltà umana.
      Confrontate Ravello estiva, piena di turisti, con la desolazione invernale, quando tanti ristoranti sono chiusi, non c’è un cinema, non c’è gente per strada, non si sente quel parlottare allegro di fondo ma solo un silenzio quasi inquietante. A chi può piacere ? Non certo a me.
      E se non credete alle mia parole, andateci a Ravello, in questi giorni, e tornateci a luglio o ad agosto, e mi saprete dire se un mondo senza uomini sia più bello o no.
      Secondo me.
      ps
      dimenticavo, se andate in lande desolate a vivere la natura incontaminata, non portatevi l’i-pod, né il cellulare… se natura deve essere, natura sia:
      né Mozart né i Beatles o i Pooh facevano parte della Natura, e né l’incompiuta, né l’hard rock sono stati cerati dalla natura…
      (anche le scarpe sono un prodotto dell’ingegno umano) 🙂

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