Sono da tempo abituato ad utilizzare le “lenti” di Cryosphere today – sito dell’Università dell’Illinois – per verificare in tempo pressoché reale i dati di copertura glaciale marina artica e antartica. Sono altresì conscio dell’esistenza di dati Nasa riportati al sito NSIDC, che forniscono statistiche analoghe. Di recente tuttavia, la lettura del lavoro di Meier et al. (2013) mi ha spinto ad interrogarmi sulle ragioni della discrepanza fra le due fonti che si percepisce confrontando a occhio i rispettivi diagrammi. Ma procediamo con ordine.
Il lavoro di Meier et al. recupera i dati del satellite in orbita polare Nimbus I relativi alla copertura glaciale del 1964, aggiungendo così un dato importante ai dati da satellite fin qui disponibili e che avevano inizio nel 1979. Dall’articolo si evince in sostanza che, con riferimento alla copertura glaciale di settembre (mese che nell’emisfero nord corrisponde al minimo annuale di copertura glaciale marina) si può dire quanto segue:
- In Artide l’estensione dei ghiacci marini di settembre è rimasta costante dal 1979 al 1998, con valori prossimi a quelli misurati da Nimbus I nel 1964. Il calo ha inizio con l’intensissimo ENSO (El Nino) del 1998 ed è evidente che con le temperature (e magari anche i venti) attuali il sistema non è più in equilibrio, per cui prosegue la progressiva contrazione delle superfici minime estive.
- In Antartide l’estensione dei ghiacci marini registrata nel settembre 1979 appare in sensibile calo rispetto all’estensione misurata da Nimbus I del 1964. Inoltre si conferma il ben noto trend positivo in atto dal 1979 ad oggi. Anche in questo caso dunque con le temperature (e magari i venti) attuali il sistema non sembra più in equilibrio ma la tendenza è opposta a quella in atto in Artide ed è cioè improntata alla crescita.
A questo punto veniamo al problema delle diversità esistenti fra i grafici di Cryosphere today e quelli di NSIDC: come si evince dalla figura che riporto in questo post, il trend dell’estensione glaciale marina minima di settembre di Cryosphere today è qualitativamente simile a quello di NSIDC (figura 7 di Meier et al.). Quantitativamente invece la perdita totale di superficie ghiacciata stimata da Cryosphere today è di 3 milioni di km2 mentre quella stimata da NSIDC è di 4 milioni di km2 (da 7.5 e 3.5 milioni dal 1979 ad oggi).
A tale proposito, cercando sulle FAQ del sito NSIDC, alla voce “What is the difference between sea ice area and extent?”, credo di aver trovato una spiegazione plausibile. Qui in particolare sta scritto “Cryosphere Today, reports ice area; NSIDC primarily reports ice extent”. In altri termini, adottando il paragon del gruviera, Cryosphere today misura solo il formaggio mentre NSIDC misura formaggio + buchi, il che a prima vista indurrebe a pensare che la metodologia usata da Cryosphere today sia più accurata di quella di NSIDC. A che scopo infatti misurare anche i buchi? Ad esempio l’albedo lo fa il ghiaccio, non i buchi…
Occorre peraltro segnalare che sulla faq di NSIDC si scrive anche che “Scientists at NSIDC report extent because they are cautious about summertime values of ice concentration and area taken from satellite sensors. To the sensor, surface melt appears to be open water rather than water on top of sea ice. So, while reliable for measuring area most of the year, the microwave sensor is prone to underestimating the actual ice concentration and area when the surface is melting. To account for that potential inaccuracy, NSIDC scientists rely primarily on extent when analyzing melt-season conditions and reporting them to the public. That said, analyzing ice area is still quite valuable. Given the right circumstances, background knowledge, and scientific information on current conditions, it can provide an excellent sense of how much ice there really is “on the ground.” Tale citazione ci rimanda all’incertezza di queste misure, di cui ci ha parlato in passato Tore Cocco in questa sede, ed al fatto che NSIDC possa non avere del tutto torto.
La discrepanza evidenziata potrebbe a mio avviso consentire di dedurre che a settembre la superficie dei buchi nella copertura glaciale artica ammonta a circa 1 milione di km2, valore senz’altro ragguardevole e di cui penso occorra tener conto nei modelli quando si descrive la variazione di albedo indotta dalla diminuita copertura glaciale estiva.
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(1) Meier W. N., Gallaher D., and Campbell G. G., 2013. New estimates of Arctic and Antarctic sea ice extent during September 1964 from recovered Nimbus I satellite imagery, The Cryosphere, 7, 699–705. (http://www.the-cryosphere.net/7/699/2013/tc-7-699-2013.pdf
Caro Donato,
sul sito NASA http://earthobservatory.nasa.gov/Features/SeaIce/page2.php si dice che il pixel con cui viene rilevata la copertura glaciale (usando misure satellitari nel campo delle microonde, che non soffrono di problemi di copertura nuvolosa o di visibilità notturna) è di 25×25 km. Da ciò deduco che il problema di accuratezza non è tanto legato agli aspetti geometrici (che come tu dici sono risolti da tempo) quanto all’inadeguatezza del pixel rispetto alla dimensione dei “buchi del gruviera”.
Ciao.
Luigi
“Cryosphere Today, reports ice area; NSIDC primarily reports ice extent”
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Area ed estensione dei ghiacci marini artici ed antartici sono riportati un po’ in tutti i siti più o meno specializzati. Le due grandezze sono, in genere, piuttosto diverse e nel post le ragioni sono piuttosto ben spiegate.
Nel leggere il post, però, sono stato assalito da un dubbio relativo al problema dell’incertezza. Il dato dell’area (o dell’estensione) sembra relativamente semplice da determinare: si tratta di una porzione di superficie ellissoidica (approssimativamente sferica 🙂 )per cui non credo che esistano grosse difficoltà visto che si tratta di un problema che la geodesia ha affrontato da anni. Nonostante ciò esistono delle incertezze anche consistenti tra i vari istituti che si occupano dei dataset di area ed estensione dei ghiacci marini (soprattutto relativamente ai ghiacci artici). Se questo succede per l’area, cosa dobbiamo pensare del volume? Qui le cose sono enormemente più complesse e se il sensore a microonde dei satelliti fornisce dati ballerini sull’estensione delle aree in fusione, cosa dobbiamo pensare degli accelerometri e dei radar ad apertura sintetica installati sui satelliti che si occupano di gravimetria?
Da pochi decenni abbiamo cominciato ad indagare in modo sistematico il nostro pianeta, a misurarlo in modo molto più dettagliato che in passato, a rilevare grandezze che una volta potevamo solo stimare in modo più o meno grossolano, a valutare tecniche di misura originali ed estremamente innovative ed a calcolare gli errori sistematici e/o accidentali da cui sono affette queste misure. Si tratta di operazioni molto complesse che sono oggetto di dibattito anche acceso nella comunità scientifica. La stima delle masse glaciali sulla base dei dati gravimetrici satellitari, per esempio, è affetta da incertezze enormi a causa di grossi problemi nella modellazione matematica del problema, però, le notizie relative alla fusione di qualche millimetro di ghiaccio in Groenlandia vengono sparati da tutti i media del mondo senza alcuna cautela e senza nessuna precisazione come indice della prossima scomparsa delle calotte glaciali terrestri (spesse migliaia di chilometri).
Mah, è proprio vero, viviamo in un mondo schizofrenico in cui l’importante non è il senso di quanto si dice o si scrive, ma quanto si dice o si scrive: le chiacchiere sono assurte al ruolo di protagoniste assolute dei nostri tempi!
Ciao, Donato.