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L’importanza di saper riconoscere le nuvole

Il WMO annuncia il nuovo International Cloud Atlas

Like fishes inhabiting the bottom of an ocean, we are insensible to much of what passes over our heads. 

Luke Howard

L’Organizzazione Meteorologica Mondiale (alias World Meteorological Organization – WMO)  ha annunciato che nel 2016 pubblicherà la nuova edizione dell’International Cloud Atlas. Questo importante annuncio costituisce l’occasione per riflettere sui corpi nuvolosi, che sono fra gli elementi chiave della meteorologia.

Perchè è importante saper dare un nome alle nubi

Circa le motivazioni che dovrebbero spingere chi si interessi di meteorologia o climatologia o il  semplice appassionato di scienze naturali ad acquisire un buon livello di conoscenza dei corpi nuvolosi ve n’è anzitutto una di tipo estetico, in quanto il cielo è senza dubbio fra i più affascinanti e commoventi spettacoli della natura. Inoltre l’osservazione delle nubi ha importanti implicazioni pratiche in campo meteorologico (anche previsionale) e climatologico.

Per quanto riguarda gli aspetti meteorologici ricordo che ai diversi tipi di corpi nuvolosi si accompagnano fenomeni peculiari di cui le nubi sono traccianti o precursori: si pensi ad esempio ai temporali associati ai cumulonembi ovvero al foehn associato agli altocumuli lenticolari ed ai rotori di sottovento o ancora alle condizioni di stabilità anticiclonica associate ai cumuli di bel tempo. Ciò ha ancor oggi significativi risvolti previsionali fornendo ad esempio un supporto per le previsioni a brevissima scadenza di attività temporalesca locale, che i modelli numerici faticano non poco a simulare.

Per quanto attiene poi agli aspetti climatologici ricordo che le nubi hanno un ruolo chiave nel ciclo dell’acqua e nel bilancio energetico globale e sono altresì uno dei più complessi protagonisti della fisica dell’atmosfera e della macchina del clima. In ogni istante la Terra è coperta per circa il 60-70% da nubi, la cui presenza modula la radiazione solare ricevuta alla superficie, modificando così il bilancio energetico del pianeta e la moltitudine di processi a questo associati. In termini quantitativi, secondo dati attinti qui l’effetto della copertura nuvolosa sulla radiazione a onda corta solare è stimato in -47.3 W m-2 (è in sostanza la quota riflessa verso lo spazio o albedo planetario) mentre l’effetto sull’emissione a onda lunga terrestre è di +26.2 W m-2 per cui l’effetto netto di raffreddamento legato alle nubi è stimabile in -21.1 W m-2. Si noti che l’intero effetto sul forcing del raddoppio di CO2 rispetto ai livelli pre-industriali è stimato in +3.7 W m-2 (il 5.7% di 21.1), per cui per annullarlo del tutto basterebbe un aumento delle copertura nuvolosa del 5.7% mentre una diminuzione delle nubi della stessa entità raddoppierebbe l’effetto di forcing di CO2.

Un’ulteriore motivo d’interesse discende dal fatto che il tempo atmosferico è il core business di chiunque si occupa di meteorologia e climatologia per cui, come un medico specializzato in pneumologia dovrebbe comunque saper riconoscere le ossa del bacino, così il meteorologo e il climatologo dovrebbero sempre saper distinguere senza esitazioni un Cumulus humilis da un C. mediocris o da un C. congestus.

La miglior sintesi di quanto scritto in questo paragrafo sta forse nella frase che il meteorologo Andrea Baroni pronunciò ad un corso di agrometeorologia tenutosi a Roma nel  1984 ed al quale ebbi la fortuna di partecipare: “un buon meteorologo deve conoscere ed amare le nuvole”. E conoscere comporta mettere in pratica un’arte che non implica solo il riconoscere a vista il tipo di nubi ma anche l’individuare alcune importanti caratteristiche di tali corpi condensati quali la composizione, l’altezza della loro base, la loro estensione verticale, il  meccanismo di genesi  ed il loro probabile sviluppo nonché infine la velocità del vento intorno ad esse ed al loro interno (MacIntosh e Thom, 1982).

Per riconoscere le nuvole occorre una tassonomia

L’attuale sistema internazionale di classificazione delle nubi adottato dal WMO è descritto nella basilare pubblicazione denominata International Cloud Atlas, la cui prima edizione risale al 1886 e fu curata da Hugo Hildebrand Hildebrandsson, Albert Riggenbach e Léon Teisserenc de Bort, membri della Clouds Commission dell’International Meteorological Committee (l’attuale WMO). Le edizioni successive dell’atlante datano rispettivamente 1911, 1932, 1939, 1956, 1975 e 1987.

A coloro che fossero interessati all’International Cloud Atlas segnalo che:

  • il pdf del volume 1 (manual on the observation of clouds and other meteors) è disponibile qui
  • il pdf del volume 2 (guida fotografica al riconoscimento, con foto splendide, molto ben commentate) è disponibile qui

L’Atlante del WMO si fonda sul sistema di classificazione introdotto all’inizio del 19° secolo da Luke Howard e che era basato sull’altezza della base delle nubi. Howard presentò il suo sistema in una conferenza tenuta a Londra nel 1803 e la sua frase posta all’inizio di questo breve scritto è per molti versi assai più vera oggi di quanto non lo fosse quando Howard la pronunciò.

Per inciso a chi volesse conoscere la biografia di Luke Howard consiglio il libro “L’invenzione delle nuvole” di Richard Hamblin (2001).

Nell’intraprendere la sua attività, Howard si ispirò al monumentale lavoro tassonomico che Linneo  aveva svolto per il regno vegetale ed animale ed in virtù del quale ad esempio la nostra specie si chiama Homo sapiens sapiens L. ove Homo indica il genere, il primo sapiens la specie, il secondo sapiens la sottospecie e la sigla L. indica il classificatore (in questo caso L. significa Linneo).

Si spiega così la suddivisione delle nubi in quattro generi principali designati in latino e cioè cirrus (ricciolo, frangia), cumulus (ammasso), status (coperta) e nimbus (nuvola). Tali nomi sono ancor oggi in uso, da soli oppure combinati (es. stratocumulus) ovvero preceduti dal prefisso alto (es: altocumulus) ed in tal modo si giunge ai dieci generi riassunti nella  figura che è tratta da una mia vecchia dispensa di agrometeorologia. Al genere si associa la specie, per cui ad esempio avremo Altocumulus (genere) e perlucidus (specie).

Mariani_nubi

Il richiamo a Linneo e a Howard serve anche per ricordaci quella miriade di tassonomisti il cui oscuro lavoro di classificazione è uno dei maggiori fondamenti dell’attuale attività scientifica; la scienza è infatti in primis l’arte di osservare il reale e costruirne modelli ma non potrebbe certo esistere se non esistessero le tassonomie.

Bibliografia

  • Hamblin R., 2001. L’invenzione delle nuvole, Rizzoli
  • Mariani L., 2002. Agrometeorologia, Clesav, Milano, 292 pp.
  • Mc Intosh D.H. and Thom A.S., 1972. Essentials of meteorology. Wikeham Publications ltd., London, 239 pp.
  • WMO, 1975. International Cloud Atlas – Volume 1 – Manual on the observation of clouds and other meteors, URL library.wmo.int/pmb_ged/wmo_407_en-v1.pdf (sito visitato il 14 giugno 2015)
  • WMO, 1987. International Cloud Atlas – Volume 2 (with 196 pages of photographs, 161 in colour and 35 in black and white). URL library.wmo.int/pmb_ged/wmo_407_en-v2.pdf (sito visitato il 14 giugno 2015).
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Published inAmbienteAttualitàClimatologiaMeteorologia

6 Comments

  1. max pagano

    per quel che riguarda la foto del canyon, che per la precisione si chiama ANTELOPE CANYON, nel Navajo Park – http://navajonationparks.org/htm/antelopecanyon.htm – , la spettacolarità del risultato visivo, come dicevate voi, è dovuta all’erosione combinata sia di acqua (il fiume che arrivava al Lago Powell) ma anche, secondariamente, di vento; si chiamano in gergo SLOT CANYONS;
    il fascino e la bellezza, oltre che nei giochi di luce naturali, sta nell’ irregolarità delle pareti e nelle spettacolari geometrie delle stratificazioni e laminazioni incrociate dei sedimenti di arenaria; questa “irregolarità” è dovuta alle diverse resistenze meccaniche all’erosione da parte dei vari strati (arenarie più o meno grossolane, più o meno cementate, più o meno inclinate, etc);

    nota a margine: le visite in questo canyon, suddiviso in realtà in due “tronconi”, superiore e inferiore, sono possibili solo con le guide del parco, perché in occasione di temporali molto violenti, il flusso d’acqua può in pochissimo tempo raggiungere entità e velocità tale da mettere a rischio la vita dei malcapitati turisti: è quello che successe nel 1997, quando 12 turisti persero la vita colti all’improvviso da uno di questi “flash floods”;

    sulla forma stratificata delle nubi, non so che dire, effettivamente sembra un processo analogo, non saprei però a cosa attribuire le diverse resistenze all’ “erosione” dell’aria, o se in questo caso possono influire anche differenze di temperatura a quote diverse, differenze di velocità delle correnti…. comunque bellissime e affascinanti, sull’Etna se ne formano molte e spesso, e in concomitanza con le fasi più attive delle eruzioni, permettono di godere e scattare fotografie a un panorama unico 😉

  2. A. de Orleans-B.

    Caro Prof. Mariani, debbo confessarLe che ho “giocato in casa”, perché le lenticolari sono uno dei miei “ascensori” per il volo a vela. Ho con loro il rapporto che un pescatore ha con l’oceano, molto differente rispetto a quello che ha un oceanografo con l’oggetto del suo studio.
    .
    Provo a illustrarlo: con la tramontana, tanti anni fa quando il traffico aereo ancora non lo proibiva, ho raggiunto 10.300 metri di quota sottovento al Terminillo, e prima di pensare che sia tanto, il record italiano dell’ing Guidantonio Ferrari, con vento da ovest sottovento all’Abetone, è di oltre 12.000 metri e quello mondiale oltre 15.000!
    .
    Il volo in aliante davanti ad una lenticolare è di una bellezza quasi indescrivibile: l’aliante sembra stazionario in un’aria perfettamente calma e solo le lancette dell’altimetro e i timpani che “scrocchiano” ricordano che la salita può superare i 15 m/s… ma sempre guardinghi, un rotore, una turbolenza improvvisa presa a velocità eccessiva può letteralmente scardinare il più robusto degli alianti, già per progetto ben più resistenti di un normale aereo a motore.
    .
    A chiunque di noi la natura può regalare dei momenti bellissimi e spesso nascosti finché non ci “apriamo” per imparare a goderli!

  3. Luigi Mariani

    Mi complimento con Maurizio e Alvaro per le apprezzabilissime considerazioni. Circa le nubi della foto sono in grado di dirvi che si tratta di altocumuli lenticolari a lenti multiple sovrapposte (contessa del vento è il nome che diamo a queste strutture qui in Italia). Posso anche dirvi che queste nuvole si formano al di sotto delle creste delle onde stazionarie che si generano a valle dei rilievi soggetti a foehn. L’aria in effetti le leviga in modo analogo all’arenaria mostrata nell’altra splendida foto, frutto di un processo erosivo dovuto al’acqua, fluido assai diverso dall’aria e che e che ha operato su scale temporali del tutto diverse. Ciò detto non sono come vedete riuscito a scalfire l’enigma posto da Maurizio e le considerazione di Alvaro mi paiono le più pregnanti.
    Luigi

  4. Maurizio Rovati

    Grazie Alvaro. Tornando alle immagini, e facendo mie le parole di Pizzul, aggiungo che “è tutto (tassonomicamente) molto bello!” ed anche poetico 😉 …

    • A. de Orleans-B.

      “Simpatico accostamento”, pensai leggendo la domanda di Maurizio e spensi il computer per andare a dormire.
      .
      Ma rieccomi qua a scrivere, perché, ripensandoci, la sua domanda mi sembra in linea con l’ultimo, splendido paragrafo del Prof. Mariani e particolarmente suggestiva per quanto segue.
      .
      Primo, perché le due foto mostrano due “sculture” create da fluidi in movimento — pur con scale temporali così diverse, da qualche ora per le nubi lenticolari a qualche millennio per il canyon nell’arenaria.
      .
      Secondo, perché le due le foto visualizzano proprio una “erosione”, in senso lato, di precipitati visibili: dalle goccioline di acqua create nella fase ascendente dell’onda atmosferica e poi erose – disperse per evaporazione nel fluido gassoso – alle particelle di sabbia asportate dal flusso d’acqua.
      .
      Ma terzo – e vero motivo di queste righe – per la straordinaria quanto unica facoltà umana, come ha mostrato Maurizio con la sua domanda, di collegare delle immagini così “esistenzialmente distanti” e di riuscire a porsi delle domande come la sua.

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