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Un effetto serra al contrario che raffredda l’Antartide

Giusto in tema di dibattito ormai concluso, un’interessante ipotesi lanciata e ampiamente discussa in una tesi di dottorato diffusa da Judith Curry nell’ambito di un post in cui ha presentato anche altri due lavori sul tema del bilancio radiativo. Il periodo in evidenza qui sotto viene dalla tesi.

Questo lavoro mostra che i Gas Serra, in particolare la CO2, causano frequentemente dei massimi relativi nelle emissioni ad onda lunga al Top dell’Atmosfera su di una particolare regione del plateau antartico orientale. A questo effetto ci si riferisce con il termine effetto serra negativo, dal momento che questi massimi corrispondono ad un flusso radiativo al Top dell’Atmosfera che eccede le emissioni ad onda lunga della superficie sottostante. Oltre che in Antartide, questi spettri di emissione si verificano sopra le nubi che arrivano più in alto, in modo particolare sull’ITCZ e, molto occasionalmente, nell’Artico sulla Siberia e sulla Groenlandia. Il plateai antartico è l’unico posto del pianeta con medie mensili di effetto serra da CO2 negativo. A questi risultati si arriva con l’aiuto delle osservazioni satellitari degli spettri di emissione della radiazione ad onda lunga.

E’ cosa nota che, nonostante gli sforzi fatti per individuare dei segnali di riscaldamento anche in Antartide, il sesto continente, Penisola Antartica esclusa, non abbia visto le temperature aumentare, anzi, per una porzione non banale del territorio le ha viste anche scendere. Sin qui, le ipotesi più gettonate per spiegare questo apparentemente anomalo comportamento del Polo Sud, sono stati il depauperamento dello strato di ozono e il conseguente rafforzamento del vortice polare, dinamica individuabile in un cambiamento dell’indice circolatorio dell’emisfero sud, il Southern Annular Mode.

Nella tesi di dottorato di cui sopra si propone una diversa spiegazione: l’Antartide non si scalda perché la superficie è più fredda della bassa atmosfera, quindi l’aumento della concentrazione di anidride carbonica, che favorisce anche un aumento dell’emissività della radiazione ad onda lunga verso lo spazio, fa sì che il bilancio tra la quantità di radiazione emessa verso l’alto e quella trattenuta sia negativo, esattamente il contrario di quanto avviene in tutto il resto del pianeta, dove la superficie è generalmente più calda dell’atmosfera.

Tale effetto, derivante dalla particolare conformazione del profilo termico verticale della temperatura nella colonna d’aria sovrastante il plateau antartico, non è efficacemente rappresentato dai modelli di simulazione, specie in ordine all’intensità ed all’estensione verticale dell’inversione termica (la temperatura diversamente dal resto del pianeta aumenta con la quota) tra la superficie e la media troposfera. Un mancanza non banale, non tanto perché le simulazioni finiscono quindi per restituire delle previsioni che scaldano anche l’Antartide quando questo non accade, quanto perché mette in evidenza un problema di rappresentazione delle modalità di redistribuzione del calore, sia sul piano orizzontale (circolazione), sia su quello verticale (bilancio radiativo).

Chissà se questa ipotesi così interessante ma decisamente acerba – si tratta di un dottorato – diventerà mai una pubblicazione soggetta a referaggio. magari potrebbe interessare a Science, ammesso e non concesso che chi dirige la rivista dimentichi per un solo momento che il dibattito è concluso.

Comunque, per chi volesse il documento è qui sotto, in pdf.

Antarctic specific features of the greenhouse effect

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Published inAttualitàClimatologia

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