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Una nuova stima della sensibilità climatica

Chi segue le vicende della polemica climatologica, sa che quella della sensibilità climatica all’equilibrio (ECS) è una delle questioni maggiormente dibattute. Si tratta, in parole molto povere, del modo in cui varia l’equilibrio radiativo del pianeta al raddoppio della concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre rispetto all’epoca pre-industriale. Essa si esprime come incremento della temperatura al raddoppio della concentrazione di CO2 atmosferica ed assume valori molto diversi a seconda dello studio che si prende in considerazione: secondo alcuni vale zero, secondo altri 6°C. Tra questi due estremi troviamo una miriade di valori intermedi con i relativi intervalli di incertezza. Tanto per fare un esempio “super partes” IPCC nel suo ultimo rapporto ha stabilito che ECS=3°C (ottenuto come media tra 1,5°C e 4,5°C). Tale valore è più basso di quello indicato in AR4 e ciò ha prodotto molti malumori. Studi recenti portano a valori di ECS ancora più bassi e vicini all’estremo inferiore dell’intervallo IPCC (1,5°C≈4,5°C).

Uno di questi studi  fu pubblicato, a firma di N. Lewis e J. Curry, su Climatic Dynamics nel settembre del 2014:

The implications for climate sensitivity of AR5 forcing and heat uptake estimates

In tale studio Lewis e Curry determinarono per la sensibilità climatica all’equilibrio (ECS) un valore di 1,64°C e per la risposta transitoria del clima (TRC) un valore di 1,33°C. Tale studio si basava, essenzialmente, sui dati di temperatura misurati a partire dal  1750 nell’Inghilterra centrale e sulle formule utilizzate nel modello di forcing radiativo dell’IPCC.

Da qualche settimana  N. Lewis ha pubblicato su Climate  Etc., il blog di J. Curry, un post che rappresenta un aggiornamento di Lewis e Curry (2014).

Updated climate sensitivity estimates

Tanto il valore della sensibilità climatica all’equilibrio che quello della risposta transitoria sono difficili da determinare, diciamo che essi sono stimati sulla base di alcune grandezze fisiche che determinano gli scambi radiativi tra il pianeta Terra e lo spazio interplanetario. La Terra riceve il calore dal Sole, si riscalda ed emette l’energia ricevuta sotto forma di radiazione infrarossa. Una parte di questa radiazione è intercettata dai gas serra (vapore acqueo, anidride carbonica, ozono e via cantando) e rinviata verso il basso ove viene riassorbita dalla Terra che si riscalda. Questo meccanismo spiega perché la Terra ha una temperatura che consente lo sviluppo della vita come la conosciamo, mentre ciò non succede sulla Luna o su Marte.

Appare evidente, quindi, che un aumento della concentrazione di gas serra altera lo scambio radiativo tra il pianeta e lo spazio.

Esistono, di contro, altri meccanismi che coinvolgono gli aerosol dispersi in atmosfera (di origine antropica e non) che schermano la radiazione solare impedendole di raggiungere la superficie terrestre e contribuendo a raffreddarla. Altri fattori che influenzano l’equilibrio radiativo terrestre sono le nuvole e l’uso del suolo, in quanto modificano l’albedo del pianeta.

La linea di pensiero principale che determina la climatologia odierna, vede nell’aumento di concentrazione dei gas serra la principale causa che regola lo squilibrio radiativo in quanto capace di innescare processi a catena che culminano nell’aumento delle temperature terrestri e provocano, quindi, un mutamento climatico. Essendo la causa dell’aumento della concentrazione di gas serra prevalentemente antropica il mutamento climatico attuale è definito antropico. La cosa buffa di tutto questo ragionamento è che non siamo in grado di sapere con certezza di quanto aumenterà la temperatura terrestre a causa dell’aumento della concentrazione dei gas serra e, per la precisione, di quello che viene considerato il principale gas serra, ovvero della CO2.

Gli studiosi che si riconoscono nella linea di pensiero principale della ricerca climatologica, determinano i valori della sensibilità climatica all’equilibrio e della risposta transitoria sulla base degli output dei grandi modelli di circolazione globale che tengono conto degli effetti dei gas serra e degli aerosol mediante parametri ben precisi: la potenza termica che non viene dissipata a causa del cosiddetto effetto serra e quella che non riesce a raggiungere la Terra a causa dell’albedo delle nuvole, degli aerosol e del suolo terrestre. Nei rapporti che periodicamente IPCC pubblica, sono contenute le formule per calcolare il valore delle forzanti radiative legate ai vari fenomeni fisici presi in considerazione.

Lewis et al., 2014 ha utilizzato le formule contenute nell’ultimo rapporto pubblicato da IPCC (AR5) per calcolare la forzante radiativa, ma invece di applicare i valori trovati alle simulazione dei modelli di circolazione globali, ha pensato di utilizzarli per valutare l’aumento di temperatura misurato effettivamente dal 1750 fino al 2011. Secondo me l’idea non è malvagia in quanto consente di testare la bontà delle ipotesi effettuate nella migliore tradizione del metodo scientifico sperimentale. Posto, infatti, che il meccanismo fisico ipotizzato sia corretto, le temperature misurate devono variare sulla base delle ipotesi formulate. Nella fattispecie la ricostruzione storica dei valori della concentrazione di CO2 e degli altri gas serra a partire dall’era pre-industriale e fino ad oggi, dovrebbe consentire di calcolare le forzanti radiative nel corso del 20° secolo, di una parte del 19° secolo e di quello attuale. Applicando le forzanti radiative così calcolate dovremmo essere in grado di replicare l’andamento delle temperature terrestri e del contenuto di calore degli oceani che gli scienziati hanno misurato.

Lewis et al., 2014 ha operato proprio in questo modo per ricostruire le temperature ed il contenuto di calore degli oceani a partire dal 1850 e fino al 2011. Nel suo post Lewis ha aggiornato i calcoli eseguiti nel 2014 inserendo anche il periodo successivo al 2011 e fino al 2015 ottenendo valori di ECS e TCR, per così dire, “aggiornati”. Non ha modificato in nulla il procedimento del 2014 che, pertanto, resta sempre valido.

Non ho intenzione di dilungarmi nella descrizione di tutti i processi analitici posti in atto dall’autore e ben illustrati nel post, ma vorrei soffermarmi un attimo sulla metodologia utilizzata per giungere alla determinazione dei valori di ECS e TCR.

Gli autori hanno individuato delle “basi” di partenza, ovvero degli intervalli temporali di temperature da cui prendere le mosse. Tali basi sono state più di una e la ragione si può spiegare in modo piuttosto agevole. Le serie di temperature disponibili sono misurate solo nominalmente in quanto esse rappresentano il frutto di lunghe e complesse operazioni di omogeneizzazione e di depurazione degli errori sistematici che affliggono i dati grezzi. Qualcuno storcerà il naso, ma c’è poco da discutere: questo ci passa il convento in quanto non esiste, né esisterà mai, un unico strumento di misura ed un unico osservatore in grado di misurare le temperature o altre grandezze fisiche per decine o centinaia d’anni. Alternandosi strumenti ed osservatori, è assurdo pretendere di poter avere dati oggettivi ed uniformi: bisogna per forza omogeneizzarli. Sui procedimenti di omogeneizzazione si può discutere all’infinito (io lo faccio in continuazione, per esempio), ma è un processo che va fatto. Sul come possiamo discutere, ma sulla necessità del processo no.

Se gli autori avessero considerato una sola base di partenza, avrebbero potuto incappare in un periodo in cui le temperature, nonostante l’omogeneizzazione, fossero afflitte da un errore sistematico positivo (sopravvalutazione delle temperature) o negativo (sottovalutazione delle temperature). Usando basi o finestre di partenza diverse si capisce che è possibile diminuire la probabilità di ottenere risultati dipendenti dalla scelta della base e, quindi, poco oggettivi.

Nella fattispecie Lewis ha individuato tre basi di partenza:

  1. a) 1859-1882
  2. b) 1850-1900
  3. c) 1930-1950

A tali basi di partenza ha fatto corrispondere altrettanti periodi finali:

  1. a) 1995-2015
  2. b) 1980-2015
  3. c) 1995-2015

Per ognuna di queste coppie di valori ha calcolato la differenza di temperatura superficiale T) (finale meno quella della base), il valore della forzante radiativa F) ed il valore della variazione della quantità di calore assorbita dal pianeta Q) (essenzialmente il contenuto di calore degli oceani).

Sulla base di tali parametri ha stimato il valore della sensibilità climatica all’equilibrio e quello della risposta transitoria. Tutto ciò è consegnato nella tabella che segue (tratta dal post di Lewis sul blog di J. Curry).  In grassetto i valori della sensibilità climatica all’equilibrio e della risposta transitoria considerati più realistici.

 

Climate Sensitivity Lewis e Curry 2016

L’esame della tabella consente di affermare che i valori dell’ECS e della TCR stimati nel 2014 sono consistenti con quelli stimati nel 2016, in altri termini non si hanno variazioni sostanziali di tali parametri al trascorrere del tempo.

Nella tabella sono riportati, infine, altri valori dei parametri di calcolo e dei risultati, effettuati con metodologie individuate da altri autori e tutti tendono a coincidere con i valori calcolati da Lewis.

Qualche considerazione conclusiva mi sembra necessaria. La prima riguarda il valore di ECS: è senza dubbio alcuno nettamente inferiore al valore medio calcolato da IPCC.  Ad onor del vero IPCC non ha fornito alcun valore centrale, ma considerando l’intervallo fornito in AR5, appare sensato attribuire all’ECS il valore 3°C. Questo significa che se la stima di Lewis fosse corretta, sarebbero da rivedere tutti gli scenari delineati da IPCC e che sono alla base delle decisioni politiche assunte in occasione delle varie Conferenze delle Parti dell’ONU, compresa la COP21 di Parigi.  Il valore di ECS stimato da Lewis, infine, rientra nell’intervallo IPCC (1,5°C-4,5°C) attestandosi su valori prossimi a quello inferiore e questo non è un fatto da poco.

Qualche perplessità mi viene, comunque, dalla scelta delle basi e del periodo finale. Leggendo il testo del post ho avuto l’impressione che il periodo finale sia stato scelto in base a criteri non oggettivi: sembra che scegliendo il periodo 1980-2015 vi fosse maggior accordo tra i risultati invece che per il periodo 1971-2015. La cosa non è molto chiara, ma contentiamoci del bicchiere mezzo pieno.

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Published inAttualitàClimatologia

2 Comments

  1. Franco Zavatti

    Caro Donato, grazie per questo tipo di post che trovo molto apprezzabile: in particolare la parte didattica, scritta in modo pacato e molto chiaro, sulla sensibilità climatica, argomento che io non ho mai approfondito, considerandola – lo ammetto, in modo spregiativo- come il contenitore di quasi tutto ciò che non conosciamo; essenzialmente un fattore moltiplicativo che lega la CO2 alla temperatura (vestito di volta in volta con modelli diversi di alta sartoria), sulla base di ipotesi a priori non verificate ( o non verificabili). Infatti mi sembra di vedere una tendenza, di ECS o TCR, verso un valore unitario cioè, secondo la mia idea, verso l’inutilità della grandezza e quindi verso la non preponderanza della CO2 nei confronti del riscaldamento attuale.
    Magari mi sbaglio, e sono sicuro che hai scritto il post proprio per me :-), per farmi capire.
    Continuerò a rileggerlo, aiutato da una gamba ingessata, in attesa della “Luce”.
    Ciao.Franco

    • Donato

      Caro Franco, innanzitutto voglio esprimerti il mio dispiacere per la gamba e formularti un caloroso augurio di pronta guarigione.
      .
      Tornando al tema del post non posso che concordare con te circa il significato di ECS e di TCR. Si tratta di una specie di “scatola nera” in cui si immette la concentrazione di CO2 e da cui emerge la temperatura. I ricercatori si stanno dannando l’anima intorno ad esse e credo che ne abbiano stimato molte decine di valori. Questo testimonia la grande incertezza che le contraddistingue e l’aleatorietà dei metodi di stima. Esse rappresentano una specie di sotto prodotto delle simulazioni climatiche in quanto vengono stimate a valle del processo di valutazione delle temperature globali sotto i vari scenari di emissione e danno un’idea della dipendenza del modello utilizzato dalla CO2. Il fatto che IPCC abbia abbassato il valore minimo dell’intervallo di variazione in cui sono comprese, significa che i modelli tendono ad essere meno sensibili alla concentrazione di CO2. Il fatto che non ha indicato, come in passato, il valore mediano, sta a significare l’imbarazzo che la cosa comporta. Tutta una serie di lavori di recente pubblicazione tendono a ridimensionare tanto ECS che TCR (anche G. Guidi pochi giorni fa ci ha informati di un nuovo lavoro in cui ECS si avvicina a 1) e ciò significa che in futuro, molto probabilmente, i valori di queste “grandezze” tenderanno a ridursi ulteriormente. Con ogni probabilità dovrà essere ritoccato anche il valore massimo dell’intervallo di variazione in cui sono comprese. Ci troveremmo di fronte, in altri termini, ad un clima molto meno sensibile alla CO2 di quanto si creda oggi. Non ci resta che attendere. 🙂
      Ciao, Donato.

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