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In attesa dell’estate ‘rovente’ (che non c’è) facciamo un ripassino

Quella del 2016, iniziata dal punto di vista astronomico da una ventina di giorni (dal punto di vista meteorologico fate voi…1° giugno?), dovrebbe essere un’estate rovente. Anzi, c’è chi l’ha prevista addirittura furente. Diciamola tutta, sin qui, tragedia non pervenuta, ad ennesima dimostrazione del fatto che su certi argomenti – leggi che tempo farà tra tre mesi – meglio tacere e sembrare stupidi che parlare e togliere ogni dubbio. Qualcuno, ne sono certo, starà già pensando di ricorrere al diritto all’oblio sulla rete, per far sparire i paginoni a tinte dantesche sbandierati qualche mese fa.

Un anticiclone della Azzorre in buona forma e una fascia di westerlies ben piazzata sull’Europa centro-settentrionale ci stanno regalando sin qui la più classica delle estati mediterranee. Per di più, a breve, proveremo probabilmente anche il brivido di una rottura, con il passaggio di un cavo d’onda delle westerlies un po’ più basso di latitudine e conseguente aria più fresca in arrivo.

Per cui, non potendo far cronache di calura anomala reale, meglio ricorrere come sempre al virtuale. Eccovi servito un bel paper di attribuzione degli eccessi di mortalità dell’estate del 2003 allo stress termico indotto dall’omonima estate, quella sì, decisamente anomala.

Attributing human mortality during extreme heat waves to anthropogenic climate change (anche su Science Daily)

Capirete però che sia ben difficile chiedere a quanti sono allora passati a miglior vita se sentivano caldo al momento del trapasso, per cui, meglio far fare ai modelli. Così, facendo girare numerosi modelli climatici riportati alla scala regionale (pratica notoriamente inservibile) e combinandone i risultati con modelli di impatto delle condizioni climatiche sulla mortalità, si scopre, inequivocabilmente, che un buon numero di quelli che sarebbero dovuti morire, sarebbero morti per il caldo. Due le città prese in esame, Londra e Parigi, con percentuali di trapassi attribuibili allo stress termico rispettivamente del 20% e del 70%.

A quanto pare già nel 2003 si respirava aria di Brexit 😉

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Published inAttualità

2 Comments

  1. Luigi Mariani

    Perchè qualche lettore non pensi che quando faceva più freddo le cose andassero meglio in termini di mortalità, cito da “Nullius in Verba”, pubblicato su questo sito alcuni mesi orsono, il seguente brano:

    Uno studio a livello globale condotto da Gasparrini et al. (2015) e pubblicato su Lancet giunge alla seguente conclusione: ” La maggior parte del carico di mortalità globale correlato alla temperatura è riconducibile al contributo di freddo. Questo dato di fatto ha importanti implicazioni per la progettazione di interventi di sanità pubblica volti a ridurre al minimo le conseguenze sulla salute di temperature negative, e per le previsioni di effetti futuri degli scenari del cambiamento climatico.”
    In sostanza l’aumento delle temperature globali si sta traducendo in una diminuzione della mortalità da eventi termici estremi che è evidenziata per l’Europa (Healy, 2003) e per gli USA.
    Ciò non toglie che non si debba prestare attenzione ad evitare la mortalità da caldo, soprattutto per quel che riguarda gli areali urbani, il cui disagio termico è tuttavia ascrivibile a fattori di carattere locale quali l’isola di calore urbano.

    Riferimenti
    Gasparrini A. et al., 2015. Mortality risk attributable to high and low ambient temperature: a multicountry observational study, The lancet, vol. 386, July 25, 2015.
    Healy J.D., 2003. Excess winter mortality in Europe: a cross country analysis identifying key risk factors, J Epidemiol Community Health, 2003;57:784–789
    Mariani L. (a cura di), 2016. “Nullius in Verba – Fatti e dati in materia di clima”, su climate monitor, http://www.climatemonitor.it/?p=40263

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