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Nullius in Verba – Fatti e dati in materia di clima

  1. PREMESSA1

“Nullius in verba2” (o, se si preferisce, “stiamo ai dati e lasciamo da parte gli artifici retorici, alias slogan“) è il motto della celeberrima associazione scientifica britannica Royal Society (https://it.wikipedia.org/wiki/Royal_Society), la quale fin dalla sua fondazione, avvenuta il 28 novembre 1660 per iniziativa di John Evelyn, ha lo scopo di promuovere l’eccellenza scientifica per il benessere della società.

Questo motto è tornato alla mente mentre a margine delle trattative della COP21 di Parigi assistevamo alla messa in onda sui principali mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali di una “fine del mondo prossima ventura” fatta di mari che salgono, deserti che avanzano, ghiacci che fondono, ondate di caldo inarrestabili e bombe d’acqua.

Di fronte a tale alluvione retorica non basta limitarsi ad attendere che la stessa si esaurisca. Pertanto noi di Climatemonitor abbiamo ritenuto necessario redigere un “Appello alla ragione” ponendo una serie di paletti basati su letteratura scientifica recente e che ci pare necessario richiamare al fine di ristabilire l’“Est modus in rebus” cui ci richiamava Orazio (Satire 1, 1, 106-107), evitando che sia la spinta emotiva a condizionare decisioni che dovrebbero essere assunte su base razionale e cioè a partire da dati di buona qualità interpretati in modo equilibrato.

Partendo pertanto dall’idea che il cambiamento è una delle caratteristiche strutturali più profonde del sistema climatico terrestre, obiettivo finale del documento è da un lato quello di discutere i cambiamenti climatici degli ultimi due secoli e dall’altro quello di discuterne gli effetti ecosistemici. Per tale ragione il documento è organizzato per aree tematiche costituite da anidride carbonica, temperature globali, eventi estremi, mortalità, agricoltura ed ecosistemi naturali.

 

  1. ANIDRIDE CARBONICA

Secondo i dati rilevati a Mauna Loa (NOAA, 2015) i livelli atmosferici di CO2 sono passati da 315 ppmv del 1958 alle 400 ppmv odierne con un incremento medio di 1.5 ppmv/anno. Tale incremento è soggetto ad una sensibile ciclicità stagionale per effetto della quale la CO2 cala di circa 6 ppmv ogni anno in coincidenza dell’estate boreale per poi risalire all’avvicinarsi del’inverno boreale. Tale fenomeno è sintomo dell’efficacia della vegetazione spontanea e coltivata nell’incamerare CO2 trasformandola in biomassa.

L’anidride carbonica è il principale gas serra emesso dall’uomo e tramite il processo di fotosintesi è il mattone essenziale della vita sul nostro pianeta. In proposito invito tutti alla seguente riflessione: I 70 grammi di pasta di cui a pranzo si nutre un consumatore medio italiano corrispondono 70 * 44/30 = 103 g di CO2. Insomma: niente CO2 niente cibo3.

Sarebbe auspicabile dunque interrompere il “lavaggio del cervello” in nome del quale la CO2 viene indicata come un veleno in quanto ciò è anzitutto contrario alla verità. In proposito è intuibile  che se non si coglie l’essenza dell’anidride carbonica non si potrà mai pensare di controllarne i livelli atmosferici.

 

  1. TEMPERATURE GLOBALI

 3.1 Trend in atto

Dopo la fine della piccola era glaciale, fase fredda che ha interessato più direttamente il periodo compreso fra il XVII e la prima metà del  XIX secolo, le temperature globali hanno ripreso a salire (“grazie a Dio”, perché fare agricoltura prima che la “perfida azione dell’uomo” iniziasse ad alterare il clima era assai più proibitivo rispetto ad oggi).

Circa l’andamento delle temperature globali al suolo, secondo il dataset internazionale Hadcrut4 per il periodo 1850-2015 (CRU di East Anglia University e Hadley Center), ad una fase di aumento che ha avuto il proprio apice nel 1878 (+0.5°C rispetto al 1850)  ha fatto seguito una fase di decremento con minimo nel 1911 (-0.2°C rispetto al 1850). Ad un nuovo incremento fino al 1945 (che si è collocato a +0.5°C rispetto al 1850) è seguita una diminuzione protrattasi fino al 1976 (anno che a livello globale si colloca a soli +0.1°C rispetto al 1850). Dal 1977 al 1998 le temperature globali sono di nuovo aumentate portandosi nel 1998 a +0.85°C rispetto al 1850. Dal 1998 ad oggi infine si è osservato un lieve aumento residuo che tuttavia non trova conferma nei dati da satellite MSU relativi alla bassa troposfera, e che indicano piuttosto la sostanziale stazionarietà delle temperature globali dopo il 1998.

Occorre evidenziare che la salita delle temperature fino ai valori odierni è stata tutt’altro che continua, nel senso che a un trend di incremento pari a +0.85°C dal 1850 ad oggi si è costantemente sovrapposta una ciclicità sessantennale che ha mostrato minimi negli anni 1850, 1910, 1977 e massimi negli anni 1878, 1945 e 1998. Inoltre si è assistito ad una accentuata variabilità interannuale con la rapida alternanza di annate più calde e più fredde.

Oggi sappiamo che la ciclicità sessantennale è imposta da una ciclicità delle temperature marine che per il Nord Atlantico è espressa dall’indice AMO, fenomeno del tutto naturale, la cui presenza è dimostrata per lo meno per gli ultimi 8000 anni (Knudsen et al 2011). La grande variabilità interannuale è anch’essa un fenomeno del tutto naturale e che deriva dall’alternarsi di regimi circolatori diversi. La sua presenza anche remota ci è mostrata ad esempio dalla serie storica delle date di vendemmia in Borgogna dal 1370 ad oggi (Labbé e Gaveau, 2013).

Sul trend di +0.85°C non possiamo invece escludere l’influenza umana legata all’emissione di gas serra di origine antropica (anidride carbonica, metano, protossido d’azoto) cui si sovrappongono fenomeni naturali come l’attività solare. In tal senso fra le possibili interpretazioni citiamo quella di Ziskin & Shaviv (2012) i quali applicando un Energy Balance Model, hanno stimato che il 60% del trend crescente delle temperature osservato nel XX secolo è di origine antropica ed il 40% e di origine solare. Anche se la scienza non procede di regola per “colpi di maggioranza”, occorre evidenziare che le valutazioni di Ziskin & Shaviv sono confortate dal fatto che il 66% dei 1868 ricercatori operanti in ambito climatologico e intervistati da Verheggen et al. (2014) ha espresso l’idea che le attività antropiche siano all’origine di oltre il 50% dell’aumento delle temperature globali registrato dal 1950 ad oggi.

3.2 Aspetti paleoclimatici

Lo studio del paleoclima ci indica che l’olocene è stato interessato da episodi caldi (gli optimum postglaciali) fra cui rammentiamo il grande optimum postglaciale, l’optimum miceneo, l’optimum romano, l’optimum medioevale e la fase di riscaldamento attuale. A tali fasi si sono alternate fasi di “deterioramento” segnate da cali termici ed avanzate glaciali. Per inciso l’uso di “optimum” e “deterioramento” non è affatto casuale e gli optimum erano così chiamati i quanto la vita era più facile, la mortalità più ridotta e le fonti di cibo ed energia più abbondanti. Lo stesso padre spirituale della teoria dell’Anthropogenic Global Warming (AGW), Svante Arrhenius, vedeva nel riscaldamento globale da CO2 un fenomeno positivo poiché in grado di rendere più vivibili e meglio fruibili per l’uomo i gelidi areali nordeuropei, sogno questo che si starebbe oggi avverando.

 

  1. EVENTI METEOROLOGICI ESTREMI

4.1 Eventi termici estremi

Alle medie latitudini dell’emisfero Nord gli eventi termici estremi sono stazionari nel periodo 1979-2012 (Screen & Simmonds, 2014).

Le analisi condotte sulla serie storica delle temperature di Milano Brera indicano invece un aumento delle ondate di caldo sull’Europa dopo il 1987 (Mariani, 2015).

4.2. Eventi pluviometrici estremi

Qui le cose sono assai meno chiare anche per la progressiva riduzione della qualità delle serie storiche di dati che rende proibitivo esprimere valutazioni in merito a serie storiche orarie. Ciò detto occorre rilevare che le evidenze osservative indicano che nella maggior parte delle aree mondiali non vi sono segnali di incremento nell’intensità degli eventi estremi. In proposito una ricerca pubblicata sul Journal of Climate nel 2013 a firma di Westra e altri ricercatori ha verificato le tendenze delle precipitazioni massime annue di un giorno per il periodo dal 1900 al 2009 (110 anni in tutto). Il lavoro è stato riferito ad un totale di 8326 stazioni terrestri che i ricercatori hanno ritenuto di “alta qualità” ed ha portato a concludere che il 2% delle stazioni mostra un decremento nelle piogge estreme,  l’8% un incremento e il 90% non presenta alcuna tendenza significativa.

Si segnala inoltre che:

  1. I già citati Screen & Simmonds ( 2014), lavorando su un dataset di rianalisi relativo alle medie latitudini dell’emisfero Nord hanno evidenziato la sostanziale stazionarietà degli eventi pluviometrici e termici estremi nel periodo 1979-2012
  2. Mariani e Parisi (2013), analizzando un vasto dataset di dati pluviometrici giornalieri per stazioni dell’area euro-mediterranea per il periodo 1973-2010 ed utilizzando lo schema di analisi proposto da Alpert et al. (2002) hanno evidenziato l’infondatezza dell’aumento parossistico delle piogge estreme giornaliere affermato dagli stessi Alpert et al. in un lavoro del 2002
  3. Fatichi e Caporali (2009), lavorando sulle serie storiche di precipitazione di 785 stazioni della Toscana per il periodo 1916-2003, hanno posto in evidenza l’assenza di trend nel regime precipitativo medio e nell’intensità degli eventi estremi di 3,6 e 12 h in pressoché tutte le stazioni analizzate
  4. Pinna (2014) analizza le piogge estreme per l’area mediterranea e per la Toscana evidenziando l‘assenza di trend rilevanti riferibili agli eventi pluviometrici estremi.

4.3 Eventi alluvionali

Diversi studi paleoclimatici evidenziano che la frequenza degli eventi alluvionali in Europa è stata sensibilmente più bassa durante le fasi calde (es: optimum romano, optimum medioevale)  che durante quelle fredde (es: piccola era glaciale) (Wirth et al., 2013).  Istruttiva può essere inoltre l’analisi del numero delle grandi alluvioni del Po (8 eventi noti nel XVIII secolo, 20 eventi nel XIX, 18 nel XX e 2 finora nel XXI).

4.4 Cicloni tropicali

Nel 2011 Maue ha pubblicato sulla rivista scientifica Geophysical Research Letter uno studio sulla frequenza dei cicloni tropicali e sull’energia da essi liberata. I dati ottenuti con il metodo descritto in tale studio sono costantemente aggiornati  sul sito http://models.weatherbell.com/tropical.php. Da essi si evince che l’energia media annua liberata dai cicloni tropicali espressa in unità ACE è stata di 664 nel decennio 1971-80, di 716 nel 1981-90, di 857 nel 1991-2000, di 723 nel 2001-2010 ed infine di 689 nel 2011-15, il che evidenzia l’esistenza di un trend complessivo improntato alla decrescita dell’energia liberata da tali eventi estremi.

 

  1. EFFETTI ECOSISTEMICI

5.1 Ghiacciai artici e antartici

Secondo il database http://arctic.atmos.uiuc.edu/cryosphere/ dell’Università dell’Illinois, le superfici glaciali artiche e antartiche stanno comportandosi in modo diversificato.

Artide: mostra un calo generalizzato delle superfici glaciali marine dal 1997 al 2007, anno dopo il quale si assiste ad una relativa stabilizzazione. Secondo i dati forniti dal Polar Science Center dell’Università di Washington a tale stabilizzazione delle superfici ha fatto seguito dal 2010 la stabilizzazione del volume del ghiaccio marino cui è seguito dal 2012 un incremento del volume stesso (http://psc.apl.uw.edu/research/projects/arctic-sea-ice-volume-anomaly/).

Antartide: manifesta una graduale espansione a partire dagli anni ‘90 ed il guadagno in volume di ghiaccio oggi eccede le perdite (Zwally H.J. etal, 2015). Nello specifico i dati ICESat 2003–08 mostrano guadagni in massa annui di 82 ± 25 Gt che riducono l’aumento del livello del mare di 0.23 mm per anno mentre i dati dell’European Remote-sensing Satellite (ERS) 1992–2001 indicano un guadagno annuo simile (+112 ± 61 Gt).

Spingendosi indietro nel tempo si deve segnalare che i sondaggi eseguiti sulla calotta glaciale groenlandese dalla NASA mostrano che la massa glaciale groenlandese proviene in gran parte dall’olocene o dalla fase glaciale di Wurm, mentre pochissimo proviene dall’interglaciale precedente e nulla è più antico (Mc Gregor et al., 2015). A ciò si aggiunga che sulla scogliera di Orosei è presente un battente di 125mila anni orsono che è di 8 metri al di sopra del livello marino attuale e che dimostra come le calotte glaciali fossero a quel tempo in gran parte fuse (Antonioli e Silenzi, 2007). Tutto ciò dimostra la potenza degli interglaciali precedenti al nostro nello sciogliere le calotte glaciali e ci spinge a domandarci quale fosse la causa che ha dato luogo a così imponenti processi di fusione delle calotte polari in assenza delle emissioni di CO2 umane. Una domanda che per ora resta senza risposta e che costituisce una delle più palesi eccezioni alla teoria dell’Anthropogenic Global Warming (AGW).

5.2 Ghiacciai montani

Tali ghiacciai sono con poche eccezioni  in arretramento come risulta dal catasto globale del World Glacier Monitoring Service (http://wgms.ch/latest-glacier-mass-balance-data/). Tale fenomeno è in atto dagli anno ’80 del XX secolo dopo una fase di avanzamento che aveva interessato la maggior parte dei ghiacciai a partire dagli anni ’50 ed è evidente per quanto riguarda i ghiacciai alpini.

Occorre comunque rammentare anzitutto che l’estensione dei ghiacciai dipende da un bilancio apporti-perdite che è legato non solo dalla temperatura ma anche alle precipitazioni. Ciò detto si deve dire che recenti lavori scientifici hanno evidenziato che durante l’Olocene in ambito alpino si sono registrate diverse fasi con copertura glaciale inferiore rispetto a quella attuale, tant’è vero che per alcuni ghiacciai si parla di neo-glaciazione dopo un’estinzione avvenuta nel corso dell’optimum medioevale (per inciso si parla di neo-glaciazione anche per l’unico ghiacciaio appenninico, il ghiacciaio del Calderone nel gruppo del Gran Sasso).

Più in particolare secondo Hormes et al. (2001) nelle Alpi centrali i ghiacciai sarebbero stati più arretrati rispetto ad oggi per ben 8 volte dopo la fine dell’ultima era glaciale e cioè nei periodi 9910–9550 BP4, 9010–7980 BP, 7250–6500 BP, 6170–5950 BP, 5290–3870 BP, 3640–3360 BP, 2740–2620 BP e 1530–1170 BP. Inoltre Goehring et al. (2011), applicando a rocce oggi esposte un metodo di datazione basato su 14C/10Be hanno ricavato che il ghiacciaio del Rodano dopo la fine dell’ultima glaciazione è stato meno esteso di oggi per 6500+/-2000 anni e più esteso per 4500+/-2000 anni. Tali evidenze potrebbero rivelarsi utili sia per giustificare la traversata delle Alpi da parte di Annibale nell’autunno dle 218 a.C. (Newmann, 1992) o le eccezionali condizioni dei passi  alpini fra valle d’Aosta e Vallese documentata dagli studi di Umberto Monterin (Crescenti e Mariani, 2010).

5.3 Mortalità da eventi termici estremi

A livello globale la mortalità nella popolazione da eventi termici estremi è nettamente più spiccata per il freddo che per il caldo. Uno studio a livello globale condotto da Gasparrini et al. (2015) e pubblicato su Lancet giunge alla seguente conclusione: ” La maggior parte del carico di mortalità globale correlato alla temperatura è riconducibile al contributo di freddo. Questo dato di fatto ha importanti implicazioni per la progettazione di interventi di sanità pubblica volti a ridurre al minimo le conseguenze sulla salute di temperature negative, e per le previsioni di effetti futuri degli scenari del cambiamento climatico.”

In sostanza l’aumento delle temperature globali si sta traducendo in una diminuzione della mortalità da eventi termici estremi che è evidenziata per l’Europa (Healy, 2003) e per gli USA. Ciò non toglie che non si debba prestare attenzione ad evitare la mortalità da caldo, soprattutto per quel che riguarda gli areali urbani, il cui disagio termico è tuttavia ascrivibile a fattori di carattere locale quali l’isola di calore urbano.

5.4 Mortalità da disastri naturali

La Federazione Internazionale delle Croci Rosse e Mezzalune Rosse (http://www.ifrc.org)   ha pubblicato l’edizione 2015 del proprio “World disasters report”, che riporta dati su disastri naturali e tecnologici per il decennio 2005-2014 e che è consultabile all’indirizzo http://ifrc-media.org/interactive/wp-content/uploads/2015/09/1293600-World-Disasters-Report-2015_en.pdf

Dal report risulta che il 2014, con un totale di 518 disastri naturali contro una media decennale di 631, è stato l’anno con il numero minimo di disastri di tutta la serie considerata e che minimo è risultato anche il numero dei morti (13847 contro una media di 83934). Il natural disaster database (http://www.emdat.be/) mostra dati analoghi con numero di disastri naturali in rapido calo dopo un picco toccato nel 2000 ed il numero di morti che, seppur con grande variabilità da un anno all’altro presenta un trend generale improntato al calo.

5.5 Livello degli oceani

Il sito http://climate.nasa.gov/vital-signs/sea-level/ riporta dati CSIRO (serie da boe 1870-2000) e Nasa (serie satellitari 1993-2015). Si osserva che dal 1870 al 2000 il livello è salito di 20 cm il che corrisponde ad un incremento di 1.5 mm/anno.

I dati da satellite (reperibili anche qui; http://sealevel.colorado.edu/) indicano invece che dal 1993 al 2015 l’aumento totale è stato di 8 cm, il che corrisponde ad un incremento di 3.24 mm/anno.

5.6 Acidificazione degli oceani

Le superfici marine avevano pH di 8.2 / 8.3 nel pre-industriale mentre oggi l’acidità è calata a 8.1 e dovrebbe portarsi a 7.7 / 7.9 nel 2100). I livelli di certezza riguardanti la risposta degli ecosistemi marini al calo del pH sono più bassi.  A tale proposito occorre citare il lavoro di Georgiou et al. (2015) il quale con un esperimento di arricchimento in CO2 dell’oceano ha dimostrato la capacità dei coralli di garantire l’omeostasi in termini di pH durante la calcificazione ,il che implica un elevato grado di resilienza rispetto all’acidificazione degli oceani. Peraltro gli autori scrivono  che tale fenomeno non era stato fin qui posto in evidenza perché si era operato solo in ambienti di laboratorio senza mai eseguire verifiche sperimentali in “campo aperto”.

5.7 Produzione di cibo

Grazie alle innovazioni tecnologiche introdotte in agricoltura nei settori della genetica e delle tecniche colturali, cui si sono associate la mitezza del clima a valle della piccola era glaciale ed i crescenti livelli di CO2, le produzioni delle culture che nutrono il mondo (mais, riso, frumento, soia) sono aumentate in termini prima impensabili, quintuplicandosi o sestuplicandosi negli ultimi 100 anni. Tale fenomeno è tuttora in corso tant’è vero che le statistiche FAO (http://faostat3.fao.org) indicano che nel periodo che và dal 1961 al 2013 la produttività del frumento è triplicata, passando  da 1.24 t/ha a 3.26 t/ha (+200% e cioè +3.8% l’anno), la produttività del mais è quasi triplicata, passando da 1.9 a 5.5 t/ha (+183% e cioè +3.5% l’anno), quella del riso è più che raddoppiata, passando da 1.9 a 4.5 t/ha (+140% e cioè +2.6% l’anno) e più che raddoppiata è infine quella della soia che è passata da 1.2 a 2.5 t/ha (+119% e cioè +2.3% l’anno). Peraltro il sensibile incremento delle rese ettariali delle principali colture agrarie cui assistiamo da oltre un secolo ha ridotto la percentuale di esseri umani sottonutriti passati dal 50% della popolazione mondiale nel 1945 al 37% del 1971 e al 10.7% della stessa nel 2015. Sempre secondo la FAO (http://faostat3.fao.org/home/E) il numero di sottonutriti, si è ridotto dagli 1,01 miliardi del 1991 ai 793 milioni del 2015.

Al riguardo si sottolinea che:

  1. un “clima impazzito” non potrebbe in alcun modo giustificare incrementi produttivi tanto significativi
  2. se il riportare con una bacchetta magica la CO2 ai livelli per-industriali è per molti un sogno, per chi scrive è un vero incubo in quanto la produzione annua delle colture agrarie calerebbe grossomodo del 20-30% (Araus, 2003; Sage, 1995; Sage & Coleman, 2001), dando luogo una catastrofe alimentare senza precedenti.

Per quanto riguarda le produzioni zootecniche la produzione globale di carne presenta un regolare trend in salita che ha portato da 71 milioni di tonnellate del 1961 a 310 milioni del 2013 mentre la produzione di latte nello stesso periodo è passata da 344 a 769 milioni di tonnellate.

Un dato interessante e per molti versi complementare rispetto alla produzione agricola è costituito dalla produzione da pesca commerciale e da allevamenti di pesce.  Secondo i dati FAO (2014) il prodotto della pesca commerciale è cresciuto con regolarità passando dai 25 milioni di tonnellate di pescato del 1950 ai 89 milioni di tonnellate del 1988, anno a partire dal quale la produzione globale si è stabilizzata. In sostanza dagli anni ‘70 si coglie una correlazione positiva molto stretta fra l’andamento delle temperature globali e il quantitativo di pescato. Al contempo si sta assistendo a una crescita molto robusta della produzione di pesce da allevamento che nel 2012 ha raggiunto quantitativi di circa 67 milioni di tonnellate, sempre più vicini a quelli ottenuti dalla pesca del selvatico che sempre nel 2012 hanno raggiunto le 91.3 milioni di tonnellate, di cui 79.7 provengono  da pesca in acque marine.

5.8 Global greening

Il fenomeno è anch’esso effetto degli accresciuti livelli atmosferici di CO2, in virtù dei quali  non solo le piante crescono di più ma sono anche meno esposte al rischio di siccità in quanto, trovando più facilmente la CO2 nell’atmosfera, possono permettersi si produrre meno stomi limitando così le perdite idriche. Il global greening sta oggi facendo arretrare i deserti in tutto il mondo (sia i deserti caldi delle latitudini tropicali sia quelli freddi delle latitudini più settentrionali) come ci dimostrano in modo inoppugnabile le immagini satellitari (Hermann et al., 2005; Helldén e Tottrup, 2008; Sitch et al. 2015).

 

  1. ASPETTI TECNOLOGICI

6.1 Teoria AGW e modelli previsionali

Uno dei pilastri della teoria dell’Anthropogenic global warming è costituito dalla simulazione delle temperature future basate su modelli matematici, soprattutto i modelli di tipo GCM, e che sono divulgate attraverso i report dell’IPCC.

Tali previsioni si sono rivelate fin qui molto deboli essendo risultate affette da rilevanti sovrastime. Più in particolare se si confrontano le previsioni al 2012 con i dati osservativi raccolti dal dataset globale GISS – Nasa, la sovrastima è del 53% per le previsioni del report IPCC del 1990  e si riduce al 9% per quelle del report IPCC del 1995 per poi risalire al 20% nei report IPCC del 2002 e del 2007 (Pielke, 2008; Pielke, 2013). Le cause di tali sovrastime sono state analizzate e discusse da Fyfe et al (2013).

Si ravvisa inoltre l’opportunità che nei modelli GCM si introduca l’effetto iride adattivo (Lindsen et al., 2001) come feedback negativo in grado di diminuire l’elevata sensitività dei modelli stessi, secondo quanto evidenziato da Mauritzen e Stevens i quali operando sul modello ECHAM4 hanno evidenziato la maggiore efficacia di un GCM in cui tale meccanismo è stato inserito.

6.2 Stato delle reti osservative

Se il monitoraggio da satellite viene progressivamente potenziato, lo stato delle reti osservative al suolo è preoccupante in quanto molte stazioni tendono a ricadere in aree influenzate dall’effetto delle isole di calore urbano e inoltre vaste aree del pianeta sono tutt’ora non monitorate. Un esempio lampante di quest’ultimo fenomeno è offerto da un’area del Sahel con superficie di 4 milioni di km2 (oltre 13 volte l’Italia)  in riferimento alla quale Dai et al. scrissero nel 2003 per l’International Journal of Climatology un articolo scientifico dedicato alla siccità. In tale area nel 2003 risultavano operative solo 35 stazioni pluviometriche contro le 102 del 1991 e le 188 del 1971. In proposito si noti che con i dati di sole 35 stazioni è difficile descrivere la pluviometria di una delle regioni italiane, altro che quella di un’area così vasta come quella indagata. Questo per inciso la dice lunga anche sull’attenzione che la comunità internazionale sta in realtà dedicando a tali problemi.

Importante sarebbe allora che sul modello della rete di boe ARGO con le quali si misurano la temperatura e lo stato energetico degli oceani, si potesse realizzare una rete di stazioni al suolo omogenea ed estesa all’intero pianeta. Ciò richiederebbe uno sforzo internazionale che sarebbe sicuramente ripagato dal guadagno in termini di conoscenza che se ne avrebbe.

 

  1. PRIORITÀ E CONCLUSIONI

L’elenco sopra riportato ci porta ad una visione chiaroscurale in cui le luci sono in complesso più delle ombre.

Tuttavia aldilà di come si vogliano leggere i dati qui presentati ci preme evidenziare che sarebbe auspicabile per tutti utilizzare al meglio quel ben di Dio che è costituito dalla CO2 atmosferica. Occorrerebbe provare ad immaginare un futuro veramente verde in cui un’agricoltura resa molto più produttiva grazie alle innovazioni nella genetica (OGM inclusi) e nelle agrotecniche possa divenire la  fonte principale di sostanza organica per l’industria energetica, delle materie plastiche, ecc..

E’ inoltre cruciale:

  1. privilegiare azioni di adattamento al cambiamento climatico le quali si stanno rivelando molto efficaci come mostra ad esempio la diminuzione delle vittime da disastri naturali e l’aumento della vita media a livello globale
  2. tornare ad investire in modo coordinato e standardizzato in sistemi di monitoraggio meteorologico su cui oggi si sta investendo poco e male il che porta al progressivo degrado delle reti osservative.
  3. Stimolare le attività di ricerca e innovazione tecnologica al fine di incrementare l’efficienza energetica dei diversi settori e delle diverse filiere produttive, favorendo altresì l’adozione di un mix di fonti energetiche sostenibile in termini economici, sociali ed ambientali.

 

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____________________________________

Note

  1. Documento a cura di Luigi Mariani e revisionato in base ai commenti emersi in sede di discussione e per i quali si ringraziano: Donato Barone, Uberto Crescenti, Alberto Ferrari, Gianluca Fusillo, Gianluca Alimonti, Ernesto Pedrocchi, Guido Guidi, Carlo Lombardi, Enzo Pennetta, Sergio Pinna e Franco Zavatti.
  2. La frase “Nullius in verba” è tratta da una delle Epistole di Orazio e più precisamente da un passaggio in cui l’autore si paragona a un gladiatore che, essendosi ritirato dalle arene, è libero dal controllo di qualsiasi padrone. Queste sono le parole nel contesto originale: “Nullius addictus iurare in verba magistri, quo me cumque rapit tempestas, deferor hospes“.
  3. 44/30 è il rapporto fra i pesi atomici della CO2 (44) e del gucosio CH20 (30).
  4. BP=Before present (anni orsono)
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13 Comments

  1. […] Ma la vera chicca dell’articolo sta nei “temporali tropicali” che pare ci colpiscano con “rovesci improvvisi, intesi e brevi” come conferma l’ingegner Antognazza, appositamente intervistato, il quale ci spiega che è tutta colpa del surriscaldamento globale. Su questo argomento non entro perché se n’è parlato a iosa su CM. Posso solo ricordare quanto su tale tema ho scritto mesi orsono nel mio “Nullius in verba”. […]

  2. […] Ma la vera chicca dell’articolo sta nei “temporali tropicali” che pare ci colpiscano con “rovesci improvvisi, intesi e brevi” come conferma l’ingegner Antognazza, appositamente intervistato, il quale ci spiega che è tutta colpa del surriscaldamento globale. Su questo argomento non entro perché se n’è parlato a iosa su CM. Posso solo ricordare quanto su tale tema ho scritto mesi orsono nel mio “Nullius in verba”. […]

  3. Splendido.
    E come spesso accade, noi di Attività Solare, ripubblichiamo anche questo articolo posticipato di 24 ore… sperando di aumentare il numero di lettori sia per questo blog che per il contenuto dell’articolo.

    La gente, troppo presa dal lavoro, dalla fretta, dalla necessità di apparire, finirà col “non respirare più” se qualche pinco pallino dovesse affermare che è l’Ossigeno a provocare l’aumento della temperatura (che non c’è).

    Per chi fosse interessato… guardate il confronto delle SST a distanza di 1 anno che ho pubblicato. Si sta preparando qualcosa di “mostruoso”…. con un raffreddamento “semi-permanente” che vedrà, soprattutto nel prossimo inverno 2016-2017, eventi che definire “epocali” potrebbe essere riduttivo!
    Ma al momento preoccupiamoci di questo inverno!

    😉

  4. Flavio

    Bellissimo lavoro, da far leggere nelle aule scolastiche. E anche in parlamento… e in Vaticano.

    Complimenti.

    • REinaldo Sorgenti

      Totalmente d’accordo!
      Grazie, grazie, grazie Luigi per il tuo egregio, serio ed encomiabile lavoro.

  5. Alessandro

    Sono interessato al paragrafo 4.1 riferito alla stazione di Brera (Mariani 2015).
    Dove posso leggere qualcosa in merito?

    • Luigi Mariani

      Gentile Alessandro,
      quello citato è un post uscito su Climate Monitor:
      Mariani L., 2015 Le Ondate di Caldo – Alcuni Dati per Milano, Climate Monitor, (http://www.climatemonitor.it/?p=38481)
      Il lavoro è citato in bibliografia ma è purtroppo finito appiccicato ad un riferimento percednte, per cui si vede male.
      Luigi Mariani

    • Alessandro

      Grazie Luigi, proprio quello che cercavo!
      nel tuo ultimo commento dell’articolo ho trovato le risposte ai miei dubbi.

  6. teo

    Io ti apprezzo Luigi, e tu sai quanto, per questa tua ‘pervicacia’ nel cercare di mettere in risalto i fatti. Fatti che gli ‘altri’ dimenticano o vogliono dimenticare, o vogliono non vedere. Questo accecamento ai miei occhi risulta cosi’ incredibile, impensabile, tanto da avermi allontanato dalla discussione climatica. Apprezzo la tua forza sapendo che spendi tempo, energie, e credo anche un poco di salute, nel continuare a cercare di far filtrare questa visione, suffragata dai dati che riporti, nella comunita’ scientifica. Questa comunita’ pero’ risponde facendo risolini, ovvero dicendo “ma come puoi pensare di aver ragione se tutti, proprio tutti (il 97%) si dice un’altra cosa?”. E lo sai che nulla vale cercar di far capire che anche se sbagli il ruolo che ricopri e’ intrensecamente parte della scienza: il ruolo del dubbio verso il mainstream, verso il consenso. No, troppa fatica, che semmai verra’ premiata tra 20-30 anni quando qualcuno si porra’ la domanda “ma erano matti intorno all’anno 2000 a non accorgersi che la loro teoria non stava in piedi, che quella che predicavano non era fisica ma statistica, che la statistica descrive ma non spiega?”. Lunga vita a te Luigi che io, anche un poco per scherzo, ti vedo gia’ immortalato con una statua, quella statua che gia’ campeggia in una piazza di Ferrara, novello Savonarola.

    • Luigi Mariani

      Caro Teo,
      ti ringrazio che l’attenzione e per l’empatia. Da parte mia cerco di restar fedele a quel minuscolo distillato di verità che sta nella bellissima frase di Marguerite Yourcenar citata da Guido come augurio per il 2015:
      http://www.climatemonitor.it/?p=37134
      La frase è tratta dal romanzo “L’opera al nero” ed è pronunciata dal protagonista, Zenone, una sorta di prototipo dello scienziato moderno che nel romanzo fa una brutta fine (https://it.wikipedia.org/wiki/L'opera_al_nero).
      Si dice che per la figura di Zenone l’autrice si sia ispirata alla vicenda di Michele Serveto (https://it.wikipedia.org/wiki/Michele_Serveto) medico che fuggì dalla Spagna per sottrarsi all’inquisizione cattolica e si portò a Ginevra, ove fu processato e messo al rogo dai calvinisti. Non vorrei con questo spingermi a dire che i tempi odierni sono simili a quelli terribili di Serveto – Zenone; tuttavia quando si assiste alla vicenda del meteorologo francese licenziato dalla TV pubblica per aver scritto un libro in cui contesta la teoria AGW (http://www.tempi.it/riscaldamento-globale-si-puo-criticare-pubblicamente-il-catastrofismo-climatico-in-francia-no) e si osserva con raccapriccio che nessuno dei tanti progressisti pronti a marciare per ”salvare il pianeta” prende le sue difese, qualche brivido alla schiena corre, e questo ci deve sempre più motivare ad esercitare il nostro diritto-dovere di critica alla teoria dominante (anche perché questo finirà si spera per liberarla di tutti gli elementi di debolezza che la caratterizzano oggi).
      Luigi

    • Caro Paolo,
      grazie per la segnalazione del link del Cicap: una mia risposta era inevitabile!
      Gianluca

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