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Anidride Carbonica e Agricoltura

Una politica che si concentra sulle emissioni di gas serra ignorando quasi totalmente il gigantesco assorbimento fotosintetico di CO2 operato dall’agricoltura conduce paradossalmente a scelte poco rispettose del clima

di Luigi Mariani

La vita sul nostro pianeta si fonda sul carbonio, il quale è oggetto di un ciclo molto complesso[1] di cui la CO2 atmosferica costituisce un anello fondamentale in quanto ingrediente chiave della  fotosintesi, la quale alimenta tutte le catene alimentari del pianeta[2]. Alla luce di ciò il concetto secondo cui “l’anidride carbonica è un pericoloso inquinante”, da anni inculcato in modo acritico nella popolazione mondiale è da considerare secondo la tassonomia degli idoli di Francis Bacon[3] come un “idolo del teatro”[4] che danneggia la collettività impedendole di prendere atto della duplice natura della CO2, al contempo gas serra e mattone fondamentale della vita sulla Terra, e di assumere decisioni coerenti con tale realtà.

La CO2 come gas a effetto serra

La CO2 e gli altri gas a effetto serra agiscono sul clima intercettando i fotoni emessi dalla superficie del pianeta e reirraggiando parte dell’energia così ricevuta verso terra, sempre in forma di fotoni. Tale fenomeno provoca un aumento della temperatura media di superficie della Terra di circa 33°C, portandola dai gelidi -18°C che si avrebbero in assenza di effetto serra e che impedirebbero la vita nelle forme attuali ai +15°C odierni, il che pone in luce un ulteriore idolo del teatro, quello della “lotta contro l’effetto serra”: se non vi fosse effetto serra il pianeta non sarebbe abitabile e dunque quel che si dovrebbe oggi contrastare non è tanto il fenomeno in sé quanto il suo potenziamento da parte dell’uomo. Da considerare inoltre che dei 33°C di effetto serra terrestre il 73% (24°C) si deve all’acqua in forma di vapore o di nubi e il 20% (6°C) alla CO2 (Lacis et al., 2010).

Oggi i livelli di CO2 atmosferici sono in aumento (figura 1) con un rilevante contributo antropico[1]  e gli effetti sulle temperature globali sono stimabili con l’equazione di Myhre (2018)[2] e la legge di Stefan Boltzmann[3] applicate allo strato emittente (atmospheric emission layer) posto in atmosfera a un’altitudine di circa 5 km (Held e Soden, 2000).

Figura 1 – Emissioni e assorbimenti totali di CO2 da parte di una coltura di frumento coltivata nel sud della Svezia e nutrita con livelli crescenti di azoto.

L’equazione di Myhre indica che nel passaggio di CO2 dai livelli pre-industriali (anno 1750 – 280 ppmv) al raddoppio (560 ppm, atteso per il 2090 circa) l’irraggiamento dell’atmosfera verso la superficie dovrebbe aumentare di 5.35*(560/280)= 3.71 W m-2, il che secondo la legge di Stefan e Boltzmann si traduce in un aumento delle temperature di circa 1°C. Tale effetto termico primario della CO2 è modificato dai feed-back, e cioè dai processi (incremento del vapore acqueo atmosferico, calo delle coperture nevose e glaciali, variazione nei tipi di copertura del suolo e nella copertura nuvolosa, accentuazione nell’effetto Planck, ecc.) che sono in grado di rafforzare o indebolire l’effetto termico di CO2 e che dovrebbero portare a +1.5/+4.5°C l’effetto termico finale atteso al raddoppio di CO2 rispetto ai livelli pre-industriali, con valori più probabili di  +2.6/+3.9°C (Shervood et al., 2020). Il più incerto fra tutti i feed-back è quello dovuto alle nubi, in relazione al quale si può grossomodo affermare che il pianeta si riscalderà se aumenteranno le nubi alte (cirri) mentre si raffredderà se aumenteranno le nubi basse (cumuli, strati). Al riguardo si deve tuttavia sottolineare che la previsione del feed-back radiativo da nubi è soggetta a una sensibile incertezza che costituisce la più rilevante fonte di errore nelle previsioni di global warming eseguite con modelli matematici a base fisica come gli EBM e i GCM (Wang et al., 2021).

La CO2 come gas della vita

Per cogliere in termini quantitativi il ruolo chiave della CO2 come gas della vita sul nostro pianeta, si deve anzitutto ricordare che il carbonio costituisce all’incirca il 45% della sostanza secca dei vegetali  (Linderholm et al, 2020), il 50% di quella degli animali (Bar-on et al, 2018, Supplementary material, pag. 61) e il 58% di quella dell’humus, per cui considerando i pesi atomici (44 per la CO2 e 12 per il carbonio) si ricava che per produrre 100 grammi di sostanza secca vegetale occorrono 45*44/12=165 grammi di CO2 e  analogamente ne occorrono 183 per produrre 100 grammi di  sostanza secca animale e 213 per produrre 100 grammi di sostanza secca dell’humus.

La tabella 1 riporta la distribuzione del carbonio nei 6 grandi regni in cui si suddividono gli esseri viventi: si noti da un lato l’incertezza esistente nelle stime e dall’altro la netta preponderanza della materia vivente vegetale e batterica (rispettivamente l’82.6% e il 12.8%) rispetto a quella degli altri regni. Verrebbe da dire che gli organismi autotrofi (attori della fotosintesi) e i batteri (da cui dipende la chiusura dei cicli degli elementi[1]) sono di gran lunga gli azionisti di maggioranza della  biosfera e che gli animali hanno il ruolo di comparse (0,4%) ed è in tale peculiarità che andrebbe forse ricercata la chiave per stabilizzare i livelli di CO2 atmosferici, come tempo fa suggerì il grande fisico Freeman Dyson, il quale sosteneva che la regolazione dei livelli atmosferici di CO2 è un problema di gestione dell’uso del suolo (Dyson, 1999).

La tabella 2 fornisce alcuni ulteriori dettagli per esseri umani, piante coltivate, animali domestici,  ecc.

La sottovalutazione della rilevanza del processo fotosintetico

Anni fa fui inviato a una trasmissione televisiva del mattino di RAI3 e lì ebbi ad affermare che  l’agricoltura – in quanto governo del ciclo del carbonio da parte dell’uomo tramite la gestione della fotosintesi e dei processi catabolici conseguenti[1] – potrebbe rivelarsi uno strumento decisivo per contenere l’aumento di CO2 in atmosfera. Al riguardo ricordo che un fisico presente in sala affermò che un problema tanto grave non si gestisce certo con i fiorellini… affermazione questa che la dice lunga su come il maistream valuti oggi la rilevanza ecosistemica dell’attività agricola. Su tale tema la mia linea di pensiero si sostanzia nel fatto che le emissioni agricole di gas a effetto serra (CO2, metano, protossido d’azoto) interessano carbonio in precedenza assimilato con la fotosintesi, il che si presta a 3 deduzioni principali:

  1. l’agricoltura emette solo una piccola parte di quanto ha in precedenza assorbito con la fotosintesi e con ciò si rivela del tutto peculiare rispetto agli altri settori socio-economici: la pubblicità di una grande casa automobilistica, per quanto accattivante essa sia, non potrà mai raccontarci che le auto assorbono CO2
  2. l’agricoltura è in grado di contenere l’aumento dei livelli atmosferici di CO2 potenziando la funzione fotosintetica e accumulando CO2 sia nei prodotti che genera sia, in misura minore, nel terreno. Al riguardo si rifletta sul fatto che l’agricoltura produce polimeri del carbonio (amidi, lignina, cellulosa, ecc.) che potrebbero trovare un sempre più largo impiego in luogo dei polimeri di origine fossile (idrocarburi) che secondo la teoria più accreditata sono il frutto dell’attività fotosintetica di organismi che vissero sulla Terra milioni di anni orsono
  3. anche per ragioni educative, ogni settore dovrebbe essere responsabilizzato rispetto al segmento del ciclo di CO2 che esso domina. In tal senso l’agricoltura dovrebbe essere ritenuta responsabile degli assorbimenti e delle emissioni che realizza fino al cancello dell’azienda mentre i prodotti che escono dall’azienda dovrebbero essere di competenza degli operatori a valle come l’agroindustria, il commercio, le filiere dell’energia e giù fino al consumatore finale (Frankelius, 2020; Linderholm et al, 2020).

L’agricoltura emette una piccola parte di quanto ha in precedenza assorbito

A livello globale, secondo stime riferite al 2005 di Krausmann et al. (2013), l’umanità si appropria ogni anno di 49 Gt di CO2 atmosferica di cui 7.2 Gt per mezzo dell’agricoltura, 4.4 Gt per mezzo dei pascoli e 1.8 Gt per mezzo delle foreste gestite. Tali dati sono stati da me attualizzati considerando prudenzialmente un incremento annuo del 2% nelle produzioni agricole e dell’1% nell’appropriazione da pascoli e foreste gestite, il che porta per il 2018 a una appropriazione complessiva di 59.5 Gt.  Secondo FAO (2020) le emissioni agricole globali per il 2018 assommerebbero dal canto loro a 9.3 Gt di CO2 (di cui 5.3 legate alle attività zootecniche e 4 legate ai cambiamenti nell’uso del suolo) e sarebbero dunque pari al 15.6% dell’appropriazione  della CO2 atmosferica a parte del settore agricolo-forestale (tabella 3).

(**) stime attualizzate al 2018 con il metodo illustrato nel testo.

(***) FAO, 2020.

Dati analoghi emergono se si approccia il problema a livello di singolo campo, come dimostrano ad esempio i dati di Linderholm et al. (2020) riportati in tabella 4 e figura 2 e che sono riferiti ad una coltura di frumento tenero in Svezia ottenuta apportando livelli crescenti di azoto: in rosso sono indicate le emissioni totali, in verde l’assorbimento totale e in blu l’assorbimento netto (assorbimento totale meno emissioni totali). Si noti che l’assorbimento totale di CO2 viene massimizzato con una concimazione azotata di 160 kg ha-1 , quantitativo prossimo a quello necessario per restituire l’azoto asportato da 80 q di granella al 13% di umidità e con un tenore proteico del 13% sul peso secco.

 

Figura 2 – Emissione e assorbimento totale di CO2 equivalente d un ettaro di frumento coltivato nel Sud della Svezia e soggetto a dosi crescenti di concimazione azotata (dati da Linderholm et al, 2020).

L’agricoltura e il contenimento dei livelli atmosferici di CO2

Il pianeta è soggetto da oltre un secolo a un progressivo incremento della biomassa per effetto della concimazione carbonica causata dai crescenti livelli di CO2 atmosferica. Tale fenomeno, noto come global greening, ha portato secondo i dati di Haverd et al. (2020) ad un sensibile aumento dell’assorbimento fotosintetico globale di CO2 da parte dei vegetali, passato da 105 Gt del 1905 alle 142 Gt del 2016 (+35%). Tale incremento è confermato da Campbell et al. (2017) e di esso beneficiano in modo rilevante gli ecosistemi naturali (foreste praterie, ecc.) e la stessa agricoltura, il cui sensibile incremento delle rese (+3/+5% l’anno per le grandi colture – mais frumento, riso e soia – oggi responsabili del soddisfacimento del 64% del fabbisogno calorico umano) si deve in parte al global greening mente la parte più rilevante è dovuta al progresso nella genetica e nelle tecniche colturali. La rilevanza dell’assorbimento di CO2 da parte di vegetazione naturale  e colture è attestata dal caratteristico andamento a denti di sega dei livelli di CO2 (figura 1), la quale ogni anno nel nostro emisfero manifesta un calo di 6-8 ppmv in coincidenza con il periodo estivo, allorché le piante coltivate e spontanee sono in piena attività (Zeng et al., 2014).

La CO2 atmosferica è facilmente assorbita dalle piante e dalle acque oceaniche fintanto che permane all’interno dello strato limite planetario, strato che alle medie latitudini interessa  mediamente i primi 1-2 km al di sopra del suolo e che è soggetto al rimescolamento diurno indotto dalla turbolenza termica (Stull, 1997; Charlson, 2000). Se dallo strato limite la CO2 viene trasferita nella libera atmosfera (strato compreso fra 1-2 e 10-12 km di quota)[1] l’attingimento da parte dei vegetali o degli oceani si fa assai più difficile, per cui la CO2 vi persiste a lungo, anche perché le temperature che incontra non sono sufficientemente basse per produrne la condensazione. Per tale ragione la metavita di CO2 nella libera atmosfera è stimabile in circa 120 anni (https://meteor.geol.iastate.edu/gccourse/forcing/lifetimes.html). Da ciò deriva l’importanza del fatto che la CO2 venga assorbita dalla vegetazione fintanto che si trova nello strato limite planetario, il che spiega l’utilità di mantenere nei campi una copertura vegetale continua (colture da reddito e cover crops) in grado di intercettare CO2.

Un gigantesco equivoco sul ruolo dell’agricoltura

Fra gli “idoli del teatro” ricade senz’ombra di dubbio lo schema adottato in sede IPCC[2] (Linderholm et al, 2020), secondo il quale l’impatto climatico della produzione agricola viene contabilizzato in base alle emissioni, dovute soprattutto agli animali domestici (in primis i ruminanti), alla produzione dei concimi di sintesi di cui in agricoltura si fa ampio uso e ai cambiamenti di uso del suolo. Tale schema considera solo una piccola frazione del carbonio catturato in agricoltura e cioè quello stoccato nel suolo (Soil organic carbon SOC) mentre sono del tutto trascurate le enormi quantità di carbonio stoccate negli alimenti e in altri beni di consumo (fibre tessili, legname, materie plastiche di origine agricola, ecc.) e nelle energie rinnovabili, frutto ad esempio di biodigestione o gassificazione. Da ciò deriva che la produzione agricola, per quanto essenziale per la popolazione, sia sempre più percepita dai governi come un peso, in quanto generatore di emissioni di CO2 e di altri gas serra. Ciò, specie nei paesi più sviluppati, si traduce in politiche  miranti a deprimere la produzione agricola interna e ad esternalizzare l’approvvigionamento di cibo e beni di consumo  (Linderholm et al, 2020).

Per cogliere la fenomenologia sopra descritta basta considerare che nelle attività regolatorie delle emissioni antropiche dei gas a effetto serra l’impatto climatico della produzione agricola viene oggi valutato ricorrendo a metodologie di tipo LCA (Life Cycle Asssessement) che considerano le emissioni e non l’assorbimento fotosintetico, fenomeno questo che viene costantemente ignorato dalla legislazione mentre dovrebbe oggi essere collocato al centro dell’impianto normativo. Si tratta di un dato di fatto deteriore e che è stato giustamente stigmatizzato da Frankelius (2020) e Linderholm et al. (2020), i quali sottolineano che la linea stabilita in sede IPCC si traduce da un lato in un’avversione preconcetta ai concimi di sintesi e alla zootecnia e dall’altro  nell’espansione delle aree coltivate.

Più nello specifico i concimi di sintesi sono ritenuti dannosi al clima in virtù dell’elevato fabbisogno energetico per la loro produzione, il che è miope in quanto solo nutrendo adeguatamente le colture esse ci ripagano assorbendo quantità rilevanti di CO2 atmosferica. Alla demonizzazione non sfuggono poi le attività zootecniche, le quali sono viste solo come grandi emettitori mentre dovrebbero invece essere viste come parte di un ciclo che le vede emettere quantitativi di gas a effetto serra che costituiscono solo una parte dell’anidride carbonica assorbita dall’agricoltura con la fotosintesi, come sottolineano Rotz e Hristov in un loro scritto del 2019 dal significativo titolo “Cattle are part of the nature’s carbon cycle” (figura 3).

Figura 3 – Il ruolo della zootecnia nel ciclo del carbonio in agricoltura (Rotz e Hristov, 2019 (b)).

Con uno schema che tiene conto solo dei costi (emissioni) e non del reddito (assorbimento fotosintetico), la conclusione inevitabile è che le attività agricole dovrebbero esser ridotte, il che si tradurrebbe nella diminuzione della produzione alimentare globale. Al riguardo l’articolo 2 dell’UNFCCC avverte che la produzione alimentare non dovrebbe essere minacciata dalle misure di mitigazione del clima, ma nel dibattito politico questo richiamo viene sempre più spesso ignorato.

Si tenga peraltro conto che la linea di pensiero che domina in sede IPCC tende a favorire l’espansione delle agricolture biologiche a bassa efficienza che richiedono il doppio o il triplo della terra rispetto all’agricoltura convenzionale per produrre la stessa quantità di beni e dunque per assimilare la stessa quantità di CO2. Ferma restando la libertà degli agricoltori di produrre nel modo in cui meglio credono (a patto che ciò avvenga nel pieno rispetto delle leggi e offrendo al consumatore quanto pattuito) i governi dovrebbero contenere l’espansione delle agricolture bio per i seguenti motivi strategici (Ferrero et al., 2021):

  1. la scarsità di terreni coltivabili rappresenta il principale fattore limitante per la futura sicurezza alimentare
  2. l’espansione dell’agricoltura biologica, auspicata ad esempio dalla Commissione Europea nelle politiche del green deal (farm to fork, ripristino della natura), condurrà inevitabilmente all’espansione dei terreni coltivati con cambiamenti di uso del suolo forieri di grandi emissioni di gas serra
  3. nel caso specifico dell’Europa la contrarietà di molti cittadini, da sempre avversi all’agricoltura e amanti dei boschi (che pure negli ultimi decenni stanno crescendo a dismisura), porterà presumibilmente all’espansione delle aree coltivate in altre parti del mondo, dando luogo ad un caso esemplare di “green washing”, denunciato ad esempio da Fuchs et al. (2020).

Conclusioni

Il compito principale dell’agricoltura è produrre cibo, beni di consumo ed energia sfruttando il processo di fotosintesi. Alla luce di ciò il fatto che il sequestro del carbonio operato tramite la fotosintesi non sia considerato nei calcoli d’impatto dell’agricoltura sul clima costituisce un grave vulnus non solo per l’agricoltura stessa ma per l’intera collettività, in quanto l’agricoltura non può dispiegare appieno il proprio potenziale di mitigazione del cambiamento climatico e la propria azione a favore della sicurezza alimentare globale.

In sintesi dunque, una politica che si concentra esclusivamente sulle emissioni di gas serra ignorando quasi del tutto il gigantesco assorbimento fotosintetico operato dalle colture sta paradossalmente portando la collettività a decisioni sempre meno rispettose del clima.

[1] È il più complesso ciclo biogeochimico presente sul nostro pianeta.

[2] a tale regola sfuggono solo gli organismi chemio-autotrofi.

[3] Fancis Bacon fu uno strenuo oppositore dell’autorità di Aristotele nella scienza, il che lo accumuna a Galileo. Nel 1620 Bacon pubblica il Novum Organum sive indicia vera de interpretatione naturae in cui traccia un nuovo metodo mediante il quale dev’essere condotta la costruzione del sapere e come alternativa alla logica aristotelica (i cui scritti costituivano l’Organon) propone una logica fondata sull’induzione e volta all’ottenimento di assiomi mediante progressive generalizzazioni fondate sulla sistematica interrogazione sperimentale della natura.

[4] Gli idoli sono i pregiudizi che minano il sapere impedendo un’interpretazione realistica della natura (Dizionario di filosofia Treccani, 2009). In particolare gli idoli del teatro sono definiti da Bacon come “concetti che penetrano negli animi degli uomini dai vari sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamiamo idoli del teatro perché consideriamo tutte le filosofie che sono state ricevute o create come tante favole presentate sulla scena e recitate che hanno prodotto mondi fittizi da palcoscenico. Non parliamo solo dei sistemi filosofici che già abbiamo o delle antiche filosofie e delle antiche sètte perché è sempre possibile comporre e combinare moltissime altre favole dello stesso tipo: le cause di errori diversissimi possono essere infatti comuni. Né abbiamo queste opinioni solo intorno alle filosofie universali, ma anche intorno a molti princípi e assiomi delle scienze che sono invalsi per tradizione, credulità e trascuratezza” (Bacon, 1620 – XLIV).

[5]  Una recentissima stima eseguita con modelli indica che sarebbe di origine antropica il 52% della CO2 oggi presente in atmosfera mentre del rimanente 48% di origine naturale il 33% proverrebbe dagli oceani e il 15% dalle terre emerse  (Pressburger et al., 2023). Sempre secondo  Pressburger et al. nel periodo 1961-2020 la quota antropica ha presetnato un lievissimo trend negativo (-0.01/decade).

[6] Si tratta dell’equazione logaritmica DeltaE=5.35*ln(C/C0) ove DeltaE è la variazione nell’energia emessa dall’atmosfera verso terra (forcing radiativo), C è il contenuto atmosferico in CO2 in un dato istante espresso in parti per milione (es: attualmente siamo a 425 ppmv) e C0 è il livello di CO2 pre-industriale (280 ppmv).

[7] Per un corpo nero cui può essere assimilata l’atmosfera tale legge è: E=sigma*T^4 ove E è l’energia emessa, T è la temperatura assoluta e sigma è una costante.

[8] Vari batteri sono altresì attori del processo di fotosintesi. E’ questo il caso dei cianobatteri che sono ritenuti i più antichi organismi foto sintetici del pianeta: le loro più antiche tracce in rocce organogene risalgono a 3450 milioni di anni fa (Allwood et al., 2009).

[9] Processi  di degradazione della sostanza organica che hanno luogo in primis nel suolo.

[10] Il trasferimento nella libera atmosfera si verifica ad esempio ad opera della convezione profonda (deep convection) che porta allo sviluppo delle grandi nubi convettive (cumuli congesti e cumulonembi).

[11] L’IPCC è l’Intergovernamental Panel on Climate Change.

Bibliografia

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Zeng et al 2014. Agricultural Green Revolution as a driver of increasing atmospheric CO2 seasonal amplitude, Nature,  vol 5015, 20 nov. 2014.

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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

30 Comments

  1. Gianni

    Aggiungo un’altra immagine per mostrare quanto la fasulla airborn fraction dell’IPCC “has remained nearly constant”.

    Immagine allegata

  2. Gianni

    Grazie Luigi per aver preso il tempo di rispondere al mio commento.

    Il problema che ho tentato di segnalare non sta nella definizione di airborne fraction, che è giusta, ma nella sua modalità di calcolo, “f/a”, in cui “f” è l’incremento annuo nella CO2 atmosferica e “a” è la CO2 da emissioni antropiche immessa in atmosfera.

    Questa modalità di calcolo implica che tutto l’incremento della CO2 atmosferica (una ventina di Gt per anno) è dovuto alle emissioni umane (una quarantina di Gt per anno), e che conduce a veicolare il falso messaggio di una airborn fraction di circa il 50%, cioè approssimativamente la metà delle emissioni umane resterebbe nell’atmosfera.

    Ho riunito nell’immagine allegata tutte le cifre e i passaggi necessari al calcolo della airborne fraction, che danno il valore di 2.25%.

    Ringrazio in anticipo per farmi sapere se il ragionamento è sbagliato o se ci sono errori.

    Immagine allegata

  3. Gianni

    Vorrei riflettere con Luigi (e tutti gli interessati) sulla frase “sarebbe di origine antropica il 52% della CO2 oggi presente in atmosfera”. Il lavoro di Pressburger et al. (2023) in realtà definisce (correttamente) la “airborne fraction” come “an estimate of the amount of anthropogenic CO2 emissions that accumulate in the atmosphere”. Quindi quella proporzione riguarda la parte delle emissioni antropiche che resta in atmosfera, non la parte antropica di tutta la CO2 attualmente presente nell’atmosfera.

    Tuttavia la modalità di calcolo è sbagliata – “the change in atmospheric carbon divided by the sum of emissions in the same period (Ballantyne et al 2012)” – ed è il frutto del pregiudizio antropocentrico veicolato dall’IPCC, per cui circa il 50% delle emissioni antropiche rimarrebbe nell’atmosfera.
    Il ragionamento (sbagliato) è il seguente: 40 Gt di CO2 antropica è emessa ogni anno, circa 20 Gt di CO2 si accumulano nell’atmosfera, quindi questo accumulo è di origine antropica e corrisponde a circa il 50% delle emissioni umane.

    Questo ragionamento viola il principio di indistinguibilità delle molecole. Nessun fenomeno fisico noto permette di distinguere (e quindi selezionare) le molecole di CO2 (una volte miscelate) in base alla loro origine antropica o naturale, quando lasciano l’atmosfera. Utilizzando solo la differenza (input – output), questo argomento ignora gli input naturali. Se i deflussi rimuovono dall’atmosfera l’equivalente del 50% delle molecole di origine antropica in arrivo, rimuovono anche l’equivalente del 50% delle molecole naturali in arrivo.

    Sulla base delle cifre attualmente disponibili:
    Amount of annual anthropogenic CO2 emissions: 40 Gt CO2 yr-1
    Natural (hydrosphere and biosphere) CO2 emissions (IPCC 2021 AR6, WG1): 792 Gt CO2 yr-1
    Total (natural and anthropogenic) CO2 emissions: 792 + 40 = 832 Gt CO2 yr-1
    Annual atmospheric CO2 accumulation: 832 – 813 = 19 Gt CO2 yr-1
    Net CO2 emission ratio: 19 / 832: 2.3%
    Amount of annual anthropogenic CO2 emissions remaining in the atmosphere: 40 · 2.3%: 0.9 Gt CO2 yr-1
    Amount of annual natural CO2 emissions remaining in the atmosphere: 792 · 2.3%: 18.1 Gt CO2 yr-1

    0.9 (anthropogenic) + 18.1 (natural): 19 Gt CO2 yr-1 (annual atmospheric CO2 accumulation)

    Quindi delle 40 Gt di CO2 di origine antropica immesse ogni anno nell’atmosfera, se ne accumulano 0.9, da cui:

    Airborne fraction: = 0.9 / 40 ≈ 2.25% (non ≈ 50%)

    Ho tratto questi chiarimenti da https://www.science-climat-energie.be/2024/01/12/airborne-fraction-1-2 (in francese). Il dibattito è aperto.

    • Luciano

      Se confermati i suoi numeri, andrebbe rettificato l’articolo da parte dell’autore.

    • Luigi Mariani

      Caro Gianni,
      grazie per lo stimolante commento e scusami se solo oggi trovo il tempo di risponderti.
      Anzitutto la airborne fraction è da intendere come “the ratio of the increase in atmospheric CO2 and CO2 emissions from anthropogenic sources” (Cawley, 2011 – pag. 22).
      Alla luce di tale definizione e alla luce del fatto che le molecole di CO2 sono indistinguibili sono pienamente d’accordo con te nel considerare una forzatura stabilire una equivalenza fra “airborne fraction” e “emissioni antropiche che restano in atmosfera”, equivalenza che traspare ad esempio dalla frase “Over the past six decades, the average fraction of anthropogenic CO2 emissions that has accumulated in the atmosphere – referred to as the airborne fraction – has remained nearly constant at approximately 44%.” (IPCC, AR6 – Cap. 5 – executive summary – pag 676).
      Come sai la mia ricerca non verte sui bilanci globali del carbonio ma su fenomeni a scala ben più ridotta (campi coltivati o giù di lì). Ho tuttavia cercato di approfondire la questione partendo dai dati da te riportati e provandomi a dare risposta a quattro domande:
      1. frazione della CO2 atmosferica di origine antropica
      2. frazione della CO2 antropica annualmente sottratta all’atmosfera
      3. airborne fraction
      4. rilevanza del contributo antropico ai livelli di CO2 atmosferici

      Dati
      a. CO2 da emissioni antropiche immessa in atmosfera: 40 GT anno-1
      b. CO2 da emissioni naturali immessa in atmosfera: 792 GT anno-1
      c. CO2 totale immessa in atmosfera: 832 GT anno-1
      d. CO2 totale sottratta all’atmosfera: 813 GT anno-1
      e. CO2 che corrisponde a 1 ppmv di CO2 atmosferica: 8.61 GT
      f. Incremento annuo nella CO2 atmosferica (media 2011-2020): 2.503 ppmv =21.57 GT di CO2

      Airborne fraction
      Dovrebbe essere grossomodo pari ad f/a=53.9%.
      Cawley (2011 – pag. 22) con un single box model la stima del 58% e IPCC (AR6 – Cap. 5 – executive summary – pag 676) la indica come pari al 44%.

      Frazione della CO2 atmosferica di origine antropica
      Poiché le emissioni antropiche sono crescenti e le molecole sono indistinguibili, la componente antropica della CO2 atmosferica dovrebbe oggi essere inferiore al valore limite di 40/(40+792)=4,8%. Segnalo anche la stima operata da Cawley, 2011 con un single box model e che ha ottenuto un valore del 3,34%.

      Frazione delle CO2 antropica annualmente sottratta all’atmosfera
      Se ogni anno viene sottratto il 98% della CO2 immessa (813/832 = 0.98%) lo stesso accadrà per la CO2 antropica e dunque saranno sottratte 40*0.98 = 39.09 GT.

      Rilevanza del contributo antropico ai livelli di CO2 atmosferici
      In presenza delle emissioni antropiche l’incremento annuo dovrebbe essere grossomodo pari a:
      CO2atm(t+1)=CO2atm(t)+792+40-813=+19 GT
      In sostanza sarebbero le emissioni antropiche che portano il bilancio in positivo determinando la crescita annua dei livelli atmosferici di CO2 di 19 GT. In assenza di emissioni antropiche l’incremento annuo sarebbe invece negativo:
      CO2atm(t+1)=CO2atm(t)+792-813=-21 GT
      e dunque gli assorbimenti da oceani e terre emerse farebbero scendere i livelli atmosferici di CO2 fino a raggiungere un nuovo equilibrio che non dovrebbe essere lontano dalle 280 ppmv.

      Riferimenti citati nel testo
      Cawley G.C., 2011. On the Atmospheric Residence Time of Anthropogenically Sourced Carbon Dioxide, Energy & Fuels, October 2011, 34 pp. (https://www.researchgate.net/publication/263946928)
      IPCC AR6 – Chapter 5, Global Carbon and Other Biogeochemical Cycles and Feedbacks, 144 pp.

  4. graziano murru

    Trovo veramente incredibile che l’agricoltura venga messa sul banco degli imputati come una delle principali cause di emissione di gas climalteranti.
    A sostegno di ciò voglio portare un semplice confronto di consumi di combustibili fossili tra un Boing 737 (aerobus comune nei voli nazionali) ed un’azienda agricola di mia conoscenza.
    Utilizzando dati facilmente reperibili su internet, un Boing 737 con un serbatoio per il Kerosene di 26000 litri viaggiando a velocita di crociera ha un consumo è di circa 4500 litri/ora; pertanto il serbatoio si esaurisce in poco meno di 6 ore (una giornata)

    L’azienda agricola di cui parlo (della quale conosco il titolare) , è ubicata nel Nord Sardegna ed è dotata di trattrici per agricoltura di precisione e attrezzi vari per la preparazione del terreno, semina, diserbo, concimazione, trattamenti fitoterapici, raccolta della granella e della paglia.
    Quest’azienda coltiva annualmente 115-120 ettari di seminativi, rappresentati pressoché costantemente da grano duro e leguminose da granella. La coltivazione non si sviluppa su un unico corpo ma è frazionata in più corpi distanti anche diversi km l’uno dall’altro, per cui nel consumo di gasolio occorre computare oltre a quello delle operazioni colturali anche quello necessario agli spostamenti trai i vari settori aziendali.
    Ebbene per sostenere queste coltivazioni il consumo di gasolio si attesta mediamente intorno ai 13.000 litri/anno.
    Facendo il conto della serva il nostro aerobus consuma in un solo giorno una quantità di combustibile fossile (mi si perdoni l’equivalenza tra kerosene e gasolio) che tale azienda consuma in 2 anni per tutte le operazione colturali che svolge dalla preparazione del terreno alla raccolta. Il risultato si commenta da solo.
    Se il professor Mariani volesse approfondire l’argomento sarei lieto di offrire la mia collaborazione, ma i dati sui consumi di gasolio agricolo possono essere facilmente reperibili in qualsiasi regione d’Italia. Un solo consiglio: è necessario prendere in esame aziende agricole serie che utilizzano il gasolio per le sole attività agricole…..
    Cordiali saluti

  5. Giuseppe

    A più di un mese dalla pubblicazione del post desidererei fare una domanda al prof. Mariani. Diversi anni fa lei in un articolo valutò al 40% il contributo antropico, ne sono certo (mi scuso per non dare il riferimento preciso), ora da questo post si deduce che la pensa diversamente: ha dunque cambiato idea? Lo stesso cambiamento di valutazione del fenomeno appare anche da contributi di altri autori sempre in questo sito. La cosa è ovviamente assolutamente lecita, anzi: indica un atteggiamento non ideologico e autenticamente scientifico. Però è così, purtroppo.

  6. Luebete

    Ultimo commento.
    Avevo letto che (spiego male, spero si capisca), data la frequenza specifica a cui assorbe energia la CO2, questa sia praticamente già assorbita tutta e quindi un eccesso di CO2 concretamente non concorre ad assorbire ulteriore energia e quindi non concorre all’aumento di temperatura.
    E’ corretto?

  7. Luebete

    Altro commento: non esistono anche feedback negativi?
    Se aumenta la temperatura a seguito dell’aumento della concentrazione di CO2 aumenta la latitudine e altitudine alla quale sono possibilit coltivazioni o inverdimenti più “sequestranti” e questo compensa in parte le emissioni. Inoltre se nei mesi freddi la temperatura è più alta anche il metabolismo vegetale potrebbe essere più alto e quindi sequestrare più CO2.

  8. Luebete

    Io però non ho capito un concetto.
    Con l’attività agricola si sequestra carbonio dell’atmosfera, però poi questo carbonio ritorna in atmosfera per effetto di combustione o motabolismo. Quindi l’effettivo effetto non dovrebbe trascurabile?
    Quindi quanta CO2 rimane “accantonata” a seguito dell’attività vegetale? Se cresce una pianta e poi non la tocco per secoli, quella CO2 sarà accantonata, ma se cresce una spiga di grano che poi mangio e trasformo in CO2 non accaontono molto.

  9. Benedetto Rocchi

    Grazie a Luigi Mariani per l’eccellente articolo. Da economista agrario che ha fatto l’agronomo prima di diventare economista non posso che essere sgomento del modo con cui si parla di agricoltura in relazione al clima (e più in generale all’ambiente). La logica evidenziata da Mariani è la stessa con cui si quantifica il valore dei servizio ecosistemici delle aree agricole. La funzione di carbon sequestration delle aree agicole non viene considerata: guardatevi la tabella a pagina 8 e la figura a pagina 9 di questo report pubblicato da Eurostat nel 2021, con una prima stima monetaria dei servizi ecosistemici nell’Unione Europea, secondo gli standard contabili ONU. Le aree agricole non contribuiscono in alcun modo alla carbon sequestration. A mio giudizio poi la metodologia sovrastima il ruolo dei servizi ecosistemici nella “crop provision” per un errore logico della metodologia, un altro modo per diminuire il valore della attività agricola.

    • Luigi Mariani

      Gentile professor Rocchi,
      grazie per il commento!
      Le chiedo la cortesia di indicarci il link al report Eurostat 2021 cui fa riferimento.

  10. andrea beretta

    Egregio Luigi
    Volevo chiederle un parere sull’interpretazione della Legge di Lambert-Beer, secondo la quale la capacità di assorbimento da parte di un gas delle radiazioni diminuisce (logaritmicamente) all’aumentare della concentrazione del componente stesso, fino ad annullarsi oltre un certo valore (diciamo un asintoto). Quindi al di là di quel valore la CO2 assorbirebbe allo stesso modo, quale che sia la sua effettiva concentrazione. Cosa ne pensi?
    Grazie

    • Luigi Mariani

      Gentile Andrea,
      quanto lei segnala è in effetti espresso dall’equazione di Myhre che è una logaritmica, che dunque tende asintoticamente a un massimo che però è molto, molto elevato (oltre i 30 W m-2).

  11. Climascettico

    E’ abbastanza chiaro che ci sia la volontà, con la scusa delle emissioni climalteranti, e soprattutto della sottrazione di habitat di ridurre l’attività agricola in Europa, da una parte stanno spingendo l’opinione pubblica a vedere gli agricoltori come degli inquinatori ed usurpatori della natura, dall’altra la propaganda ambientalista, quella che ricordiamo fino a 10 anni fa incensava l’agricoltura biologica spinge per alimenti da coltura cellulare, d’altro lato il legislatore comunitario e nazionale sta da anni mettendo mille vincoli ambientali e burocratici che di fatto rendono la nostra agricoltura sempre meno competitiva e dipendente dai sussidi pubblici.
    Gli stessi che si lamentano del fatto che la nostra agricoltura non è competitiva e non innova, sono gli stessi che difendono questo sistema che rende impossibile la vita di chi vuole fare impresa, d’altronde sono gli stessi che hanno tifato per la nostra deindustrializzazione.

  12. Giuseppe

    …mi scuso…ovviamente “sic”

  13. Pier Luigi

    In una trasmissione dell’anno scorso di “Linea Verde” il conduttore, parlando della CO2, ha detto testualmente: “questo gas maledetto”.

    • Luigi Mariani

      Se è così maledetta perché non si propone di abolirla? Se non ci fosse la CO2 che bel mondo sarebbe: la vita del pianeta si ridurrebbe a qualche batterio chemio-autotrofo qua e la….

  14. A. de Orleans-B.

    Magnifico saggio “panoramico “, da conservare come riferimento sul tema, grazie!
    Un milione di copie andrebbero distribuite nelle scuole…

  15. Maurizio Rainisio

    Mi pare che questa animazione della NASA possa essere una conferma ulteriore https://svs.gsfc.nasa.gov/5110/#media_group_312180
    Per come la vedo se non ci fosse la CO2 prodotta da combustibili cosiddetti fossili con ci potrebbe essere il consumo di CO2 dovuto ad agricoltura e foreste.

    Un’altra considerazione è che la produzione globale di cibo, dagli anni ’60 è cresciuta di pari passo con la CO2. Ci sono sicuramente anche altre cause, ma la correlazione è simile a quella con le temperature.

    Immagine allegata

    • Luigi Mariani

      Senza dubbio aumento di CO2 e produzione di cibo sono correlati positivamente. Tuttavia il contributo di CO2 all’aumento delle rese delle grandi colture è secondario, nel senso che grossomodo la CO2 è cresciuta del 54% rispetto al periodo pre-industriale (da 280 a 430 ppmv) ed analogamente dovrebbero grossomodo essere aumentate le rese. Fato sta però che le rese sono aumentate di 5-6 volte dall’inizio del XX secolo e dunque la spinta prevalente dev’essere stata tecnologica (genetica e tecniche colturali)

  16. Michele Lodigiani

    Articolo interessantissimo dall’inizio alla fine. Una considerazione e una domanda:
    – Particolarmente interessante il fatto che nel bilancio della CO2 l’optimum si riscontri con un livello di fertilizzazione che corrisponde approssimativamente all’optimum produttivo, alla faccia della demonizzazione dell’agricoltura tecnologica.
    – In che misura IPCC e altri trascurano l’assorbimento di CO2 da parte del sistema agricolo? non lo considerano proprio o lo sottostimano? nel primo caso saremmo al delirio: sarebbe come valutare la redditività di un’azienda considerando solo i costi e non i ricavi.

    • Ale69

      Bellissimo articolo Prof. Mariani. Ma infatti!! Perchè si tende a omettere l’assorbimento della CO2 da parte della realtà agricola mondiale!? Bisognerebbe battere il chiodo su questo e insistere per avere per lo meno delle risposte sufficienti; troppo comodo cosí! A.

    • Luigi Mariani

      Caro Michele,
      ad oggi si considera solo lo stoccaggio nel terreno e non nei prodotti agricoli -> solo i costi e non i ricavi, come scrivi tu.

  17. Giuseppe

    Gentile Signor Mariani,
    rimango allibito di fronte alla stima -da lei indicata e quindi condivisa- di un effetto termico probabile per il 2090 (a un raddoppio di CO2) di +2.6/+3.9 gradi. Ma è tantissimo! Alla faccia dei falsi catastrofismi! Hic stantibus rebus, francamente non so più cosa pensare
    Giuseppe

    • Mauro M.

      In pratica gennaio del 2090 nella tua/mia città sarà come ottobre 1990…purtroppo da quel che ormai pare chiaro, il contributo antropico è determinante per l aumento delle temperature. Chi è causa del proprio male pianga se stesso…

    • Luigi Mariani

      Quel che oggi condividiamo è anche l’elevato livello di incertezza: il range più ampio (1.5/4.5 °C al raddoppio) fu definito negli anni 70 ed è tutt’ora sul tappeto.

  18. Alessandro Muzii

    Le mie reminiscenze liceali mi porterebbero a ritenere che la CO2 sia uno dei gas più pesanti presenti in atmosfera. Questo mi rende chiaro come tale molecola possa essere facilmente disponibile entro i primi 2000mt di quota. Se così non fosse sarebbe da chiedersi come l’evoluzione dei vegetali abbia avuto così grande successo sfruttando il carbonio presente in CO2 per la fotosintesi. Al contrario, mi sfugge il modo in cui , pur considerando il rimescolio delle masse d’aria dovuto ai moti convettivi, possa concentrarsi ai limiti superiori della troposfera ove esercitare un ruolo di gas serra in maniera così incisiva.

    • Luigi Mariani

      Concordo con lei che CO2 è pesante e in assenza di rimescolamento ristagna in vicinanza del suolo causando problemi anche gravi in vicinanza di rilevanti sorgenti di emissione. La mia ipotesi è che nella libera atmosfera CO2 persiste a lungo (comportandosi dunque come un well mixed GHG) in quanto tale strato (mediamente compreso fra 1 e 10 km di altitudine) è soggetto a intensi rimescolamenti.
      Al riguardo ho trovato in rete questo:
      https://www.wtamu.edu/~cbaird/sq/2023/09/19/why-dont-the-gases-in-the-atmosphere-separate-out-according-to-mass/

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