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Mese: Novembre 2013

Disastri naturali e clima che cambia, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

L’argomento di oggi è per noi decisamente fuori stagione. Parliamo infatti di incendi e, salvo casi che sarebbe veramente difficile collegare all’isteria da clima, nei mesi della pioggia normalmente non ci dobbiamo confrontare con questo genere di problemi. Nei mesi più aridi però il problema lo abbiamo eccome, per cui magari affrontare il tema a mente fredda 🙂 potrà tornare utile.

 

Per farlo basta guardare dall’altra parte del pianeta, dove ovviamente sta arrivando la bella stagione, in Australia. Qualche settimana fa sono passate anche sui nostri media parecchie notizie di incendi distruttivi proprio laggiù. Segno inequivocabile del cambiamento climatico, si sono subito affrettati a sentenziare i più bravi. Sicché, dal momento che questa litania comincia anche a diventare noiosa, avevo deciso di non riportare la notizia su CM.

 

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Ciclone Haiyan, la cronaca climatica sterile dopo la tempesta

Purtroppo, con una puntualità e una precisione incredibili, il tifone Haiyan ha devastato le Filippine, giungendo sulla terraferma con un’intensità che se si fosse trattato di un ciclone tropicale sviluppatosi in Atlantico sarebbe stata oltre il massimo grado della scala di riferimento.

 

Ora si parla del ‘ciclone più distruttivo di sempre‘ e di ‘evento senza precedenti‘. Naturalmente a vanvera. Tra immagini raccapriccianti e situazioni tragiche, si innestano anche i commenti ora di questo ora di quell’esperto in materia. Heidi Cullen che Wikipedia identifica come “Capo climatologo e CEO ad interim di Climate Central, organizzazione no profit di analisi e divulgazione di ricerca scientifica sul clima“, quando ancora Haiyan era poco al largo delle Filippine ha twittato la sua opinione, identificando nella elevata temperatura delle acque di profondità della zona l’origine di tanta potenza. A seguire la NOAA, che diffonde un comunicato stampa che recita così:

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Le Temperature dell’Oceano Pacifico negli ultimi 10.000 anni

Negli ultimi 10000 anni l’oceano pacifico è stato quasi sempre più caldo (e dunque più ricco di energia) rispetto ad oggi,  con l’unica eccezione della piccola era glaciale. Inoltre l’optimum climatico medioevale (MWP) e la piccola era glaciale (LIA) sono stati  eventi globali. Queste alcune fra le conclusioni più salienti dell’articolo oggetto di questo breve commento, conclusioni rispetto alle quali è d’obbligo comunque mantenere un atteggiamento prudente.

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In un lavoro uscito pochi giorni orsono su Science a firma di Rosenthal et al. (2013) si analizzano le temperature oceaniche di superficie – Sea Surface Temperatures SST – e dello strato sottosuperficiale – Intermediate Water Temperature IWT (a 500 m e fra 600 e 900 m di profondità). Rosenthal et al. hanno operato in Indonesia nella zona dello Stretto di Makassar e del mare di Flores (figura 1), un’area oceanica nota nel suo complesso come Indonesian Troughflow e che a detta degli autori è fra le più rappresentative in assoluto rispetto al contenuto energetico oceanico globale.  Più nello specifico gli autori hanno analizzato il rapporto fra magnesio e Calcio presente nei foraminiferi bentonici  Globigerinoides ruber (D’Orbigny, 1839) e Hyalinea balthica (Schröter, 1783), il primo rappresentativo per lo strato superficiale ed il secondo per quello sottosuperficiale giungendo a ricavare dati di temperatura riferiti agli ltimi 1000 anni e dunque all’intero Olocene.

 

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Un mese di meteo – Ottobre 2013

IL MESE DI OTTOBRE 2013

 

Andamento circolatorio (**)

La topografia media del livello barico di 850 hPa del mese di ottobre mostra l’Italia cento-settentrionale interessata da un regime circolatorio atlantico sintomo del prevalere di condizioni di variabilità perturbata con rapidi passaggi di depressioni. Il meridione appare invece interessato da un promontorio anticiclonico subtropicale da sudovest con asse (in rosso sulla carta) proteso dalla Tripolitana verso i Balcani. Nel contesto di tale quadro circolatorio medio si sono manifestate una serie di strutture meteorologiche a più bassa persistenza i cui tratti più salienti sono descritti in tabella1.

 

01-31 ottobre 2013 850 hPa

 

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Utilities meteorologiche

La pubblicazione del nostro Outllok, del suo seguito e della previsione basata sull’indice OPI continuano a generare interessanti spunti di discussione. Molti di questi afferiscono a specifiche richieste di previsioni più o meno dettagliate, alle quali rispondiamo sempre nelo stesso modo: non si può fare, almeno non attualmente. Altri, e sono quelli più interessanti, si pongono il problema dell’uso che si potrebbe fare di questi tentativi. Per esempio Luigi Mariani in suo commento si è posto una domanda interessante. Carlo Colarieti ha successivamente  risposto, ampliando il concetto e fornendo ulteriori spunti di riflessione. Vi riporto di seguito entrambi i passaggi aspettando le vostre impressioni.

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Commento di Luigi Mariani

Inviato il 09/11/2013 alle 08:40

Alla luce del considerazioni fin qui svolte, emerge che l’outlook non è prodotto da lasciare in mano ad utenti finali (es: il giornalista che vuol raccontare come sarà il tempo per Natale o il turista che vuol programmarsi la settimana bianca a febbraio o ancora il gestore di scorte energetiche che deve fare contratti per l’inverno successivo). La domanda che possiamo allora farci è se in base alle uscite dell’outlook sia  possibile confezionare dei prodotti per utente finale in forma di bollettini (ovviamente su base probabilistica). Io credo francamente di si ma su questo mi farebbe piacere sentire il suo giudizio.

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E la risposta di Carlo Colarieti

 

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L’Outlook di CM, alcune precisazioni.

Rivolgendomi a tutti coloro che hanno commentato o che semplicemente hanno letto l’outlook e hanno avuto delle perplessità o delle difficoltà interpretative, vorrei proporre delle riflessioni al fine di  sgombrare il campo da alcune imprecisioni che si commettono quando si leggono i vari outlook e i prodotti ad esso collegati, quali le mappe di anomalie, così come nel nostro caso.

 

Le previsioni stagionali sono allo stato dell’arte dei tentativi di prognosi a mesi di distanza che hanno dei grandiosi limiti dovuti principalmente:

 

  • alla scala temporale su cui si lavora;
  • alla molteplicità delle variabili in gioco anche a macroscala (di cui molte ancora poco note nella loro dinamica evolutiva);
  • alle tecniche usate per il loro trattamento.

 

Tutto appare ancora abbastanza pionieristico. Queste previsioni, infatti, differiscono in maniera sostanziale dalle tecniche deterministiche usate normalmente in caso di previsione meteorologica. Infatti più che di previsioni stagionali dovremmo parlare di “probabili schemi circolatori stagionali”. Le mappe degli outlook non possono quindi essere interpretate come se fossero prodotti usciti da una qualunque corsa di un qualsiasi modello meteorologico.

 

Le mappe prodotte per le anomalie stagionali vogliono tentare di fotografare un possibile comportamento prevalente dell’atmosfera in relazione a delle forzanti  endogene ed esogene al sistema terra che imprimono, concedetemi il termine, un determinato carattere alla circolazione stessa. Infatti, normalmente, si rappresentano le anomalie di alcune limitate variabili che appunto si prestano meglio a descrivere questi scostamenti. Per questo non è opportuno attribuire alle anomalie disegnate dalle mappe stagionali uno schema fisso valido per l’intero periodo rappresentato.

 

Il giusto approccio è invece quello di decifrarle attribuendogli il valore di indicazione di uno schema di circolazione che è frutto delle relazioni tra le forzanti conosciute ed esaminate in grado di determinare un probabile impianto circolatorio prevalente o comunque tale da determinarne il peso maggiore.

 

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CO2, cibo per le piante ma non solo

L’anidride carbonica è l’elemento chimico alla base della fotosintesi, sia essa prodotta naturalmente o meno, comunque piace alle piante. Tanto da accrescerne notevolmente lo sviluppo all’aumentare della sua concentrazione. Questo è un fatto noto del quale però si sente parlare molto poco. Ancora meno, non è difficile capire perché, si sente parlare del beneficio di cui l’umanità può aver goduto in termini di disponibilità di risorse alimentari primarie proprio grazie all’aumento della concentrazione di CO2 e alla lunga fase climatica favorevole iniziata al termine della Piccola Età Glaciale (1350-1850 circa), giunta per altro ad interrompere soltanto temporaneamente un altro periodo favorevole ancora più lungo innescatosi al termine dell’ultima glaciazione.

 

Molto di più invece si sente parlare del Costo Sociale del Carbonio, ovvero dei costi che potenzialmente l’umanità potrebbe dover fronteggiare a causa dei cambiamenti climatici innescati dall’aumento delle temperature medie superficiali, posto che questo aumento e quei cambiamenti siano per buona parte ascrivibili all’aumento della concentrazione di anidride carbonica.

 

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La serie storica di copertura nevosa dell’emisfero nord e il cambiamento climatico brusco del 1987

Giorni orsono Guido Guidi, nel post dedicato all’ottobrata ed al nuovo indice circolatorio OPI, ha segnalato un  sito della Rutgers University dedicato alle coperture nevose. In tale sito, alla pagina, è presente una interessante tabella che riporta i dati mensili di fonte NOAA delle superfici innevate nell’emisfero boreale per il periodo 1966 – 2013 su cui ho mi è parso interessante condurre alcune analisi del tutto preliminari di cui qui sotto riporto i metodi impiegati ed i risultati ottenuti.

 

Anzitutto per ragioni di qualità dei dati (i dati dei primi anni solo parzialmente presenti e con alcuni spikes), ho preferito analizzare i soli dati dal gennaio 1973 al dicembre 2012. Da tali dati mensili ho ricavato gli innevamenti medi annuali espressi in milioni di kmq. Le medie, ad una prima analisi visuale, mostrano la presenza di un evidente discontinuità (alias change point, alias breakpoint), con l’innevamento che cala drasticamente a decorrere da fine anni ’80. Per sostituire all’analisi visiva un criterio più oggettivo ho applicato il test di Bai e Perron presente nel software Strucchange di R Cran e che è deputato all’individuazione di discontinuità singole o multiple. Il test, i cui risultati sono illustrati in figura 1,  individua un’unica discontinuità che con una confidenza del 99% ricade fra l’aprile 1986 ed il settembre 1988 (linea orizzontale rossa) e che ha come momento più probabile di accadimento il marzo 1987. Il livello  di confidenza molto alto (99%) ed il fatto che la banda di confidenza sia così ristretta rendono il test assai probante. Si noti che in virtù del “gradino” del 1987 la nevosità media annua passa dai 25.6 milioni di kmq del periodo gennaio 1973- marzo 1987 ed i 24.7 milioni di kmq del periodo aprile 1987-dicembre 2012.

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La Previsione Stagionale per l’inverno sulla base dell’indice OPI

Soltanto qualche giorno fa abbiamo pubblicato un post che descrive il lavoro di ricerca sull’Indice OPI portato avanti da Riccardo Valente, Alessandro Pizzuti, Filippo Casciani e Andrea Zamboni del Centro Meteo Toscana. Poi è arrivato il nostro outlook, appena giovedì scorso. Ora, terminato il mese di ottobre, Riccardo, Alessandro e Andrea hanno finalizzato la loro analisi e prodotto una previsione per la prossima stagione invernale. Naturalmente siamo felici di ospitarla su CM al fine di stimolare la discussione anche tra i nostri lettori. L’approccio è concettualmente molto simile, ma il processo di analisi e prognosi è differente e, come leggerete tra poco, lo sono anche i risultati, sebbene sussistano comunque molte analogie, specialmente riguardo alla zonalità accentuata che dovrebbe caratterizzare l’inizio della stagione fredda e al segno che si pensa possa assumere tendenzialmente l’indice AO.

Nel post che segue c’è inoltre una premessa che mi sento di condividere appieno, ma è decisamente meglio che leggiate per vostro conto, perciò, ecco qua.

gg

 

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PREVISIONE STAGIONALE PER L’INVERNO 2013/2014 SU BASE OPI

 

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Il ciclo di 60 anni, i dati NOAA e il mal di pancia dei soliti noti

A maggio 2013 è uscito un lavoro di S. Akasofu (pdf disponibile qui). Sembra essere la stesura finale di una ricerca del 2009, pubblicata in rete (54 MB), seguita da un articolo del 2010 su Natural Science (1.6 MB, qui). L’articolo del 2010 è stato commentato su CM e sulla stessa rivista, da Dana Nuccitelli di Skeptical Science (qui il commento sul blog) e dA altri tre ricercatori che cercano di dimostrare l’impostazione totalmente sbagliata delle premesse e delle conclusioni di Akasofu (tra cui una lezioncina su come un fit lineare sia diverso da un fit parabolico). La pubblicazione ha provocato anche le dimissioni di un menbro del comitato editoriale della rivista, con tanto di giustificazione a mezzo post su Skeptical Science.

 

Akasofu in vari interventi viene qualificato come un “ottuagenario” e “pensionato” che, pur avendo un background fisico (è stato direttore dell’International Arctic Reasearch Center dell’Università dell’Alaska a Fairbanks), ha presentato nel suo lavoro un argomento “very unphysical” affermando che il riscaldamento globale è semplicemente il risultato di un recupero del pianeta dalla LIA. Ancora, si dice che sia riuscito a pubblicare questo lavoro del 2013 dopo che una sua collaboratrice è diventata direttore della rivista; che ha una qualificata reputazione nel campo delle aurore boreali … ma in climatologia …; insomma, le solite cose che, tutto sommato, lasciano il tempo che trovano.

 

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Atlantico: Uragani non pervenuti

“E’ stata davvero un tipo di annata molto strana nell’imprevedibile mondo dei cicloni”. Così tal Jeff Masters, esperto di uragani a Weather Underground. Ad appena un mese dalla fine della stagione degli uragani in Atlantico, stagione che nominalmente termina il 30 novembre, una sola tempesta tropicale è arrivata ad interessare la Florida e in atlantico si è visto un solo uragano, giunto appena all’intensità della categoria 1, ossia il primo gradino della scala di riferimento.

 

Per cui, a meno che l’ultimo mese della stagione, statisticamente quello meno significativo, non presenti delle sorprese, il record di giorni ‘a secco’ di uragani per le coste USA è destinato a salire come prima non era mai accaduto. Eventi meno frequenti ma più intensi? Non si direbbe, dato che anche l’indice normalmente utilizzato per valutarne la potenza (Accumulated Cyclone Energy – ACE), è appena al 33% della norma.

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