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Non solo clima e non solo nuke

Siamo sconcertati, credo tutti. Siamo disorientati, credo tutti. Di fronte agli avvenimenti di questi ultimi giorni ci sarebbe ben poco da dire, se non che ciò che la Natura da la Natura riprende.

Sarà per questo che non si riesce a parlare delle solite cose. Come credo stia accadendo per la gran parte dei nostri lettori, in questi giorni impegnati con noi a gestire la cronaca degli avvenimenti in Giappone.

Credo ci sia da porsi un paio di domande: lo show deve andare avanti? La risposta è sì, facendo tesoro della lezione. E quanto ci vorrà perché si torni alla solita routine? Dipende da quanto si deciderà di surfare -letteralmente- sull’onda dello Tsunami per argomentare le proprie posizioni.

Hanno già cominciato in molti per la verità. E scopriamo con rammarico che al riguardo stiamo dimostrando di primeggiare, come ci fa notare Piero Vietti sul suo blog mettendo a confronto le prime pagine dei nostri quotidiani con quelli esteri.

Ho come l’impressione che di qui in avanti molte opinioni cambieranno. Nulla di male, purché questo avvenga perché si è imparato qualcosa in più, non per reazione emotiva. Perché il rischio che questo accada è alto, non fosse altro perché ad essere così duramente colpita è stata una nazione che pur essendo dall’altra parte del Pianeta fa parte di quelle che sentiamo più vicine. E questo genera un sentimento di prossimità che in altre occasioni non si è manifestato.

Un esempio. Il terremoto di Haiti dell’anno scorso si stima che abbia provocato 260.000 vittime, colpendo in un modo o nell’altro, oltre 4 milioni di persone. I numeri per quel che è accaduto in Giappone non sono ancora fermi, ma potrebbero essere inferiori per un ordine di grandezza o ancora meno -per fortuna. Però si è aggiunta la paura per quanto sta accadendo alle centrali nucleari e, malgrado -ancora per fortuna- di vittime sin qui non ce ne siano state, il livello di coinvolgimento emotivo è decisamente più elevato.

Ormai più di tre anni fa, abbiamo pubblicato il nostro primo post che trattava di argomenti connessi con l’energia nucleare. In quella sede, questa fonte energetica era inquadrata come un raccordo che avrebbe potuto consentire di arrivare a tecnologie rinnovabili più efficienti ed affidabili nel medio-lungo periodo. Il post ricevette critiche e consenso più o meno in pari quantità e la comunità di CM – allora molto più ristretta- cominciò a giovarsi dello strumento del dibattito per acquisire informazioni e formarsi delle opinioni.

Oggi scriveremmo le stesse cose? Qualcuno pensa che gli eventi recenti abbiano minato quanto si sapeva in termini di sicurezza sulle centrali nucleari e che la Natura abbia voluto ricordarci quanto è più forte di noi e quanto pericoloso possa essere sfidarla. Eppure, razionalmente, da questa sfida oggi non possiamo sottrarci, perché facendolo commetteremmo forse un errore ancora più grave. Con le tecnologie rinnovabili ancora decisamente insufficienti a soddisfare la fame di energia del mondo, la rinuncia allo sfruttamento dell’atomo convoglierebbe inevitabilmente le risorse verso le fonti fossili e questo, che abbia avuto o possa avere in futuro effetti sul clima o meno, sarebbe comunque un problema. Innanzi tutto geopolitico e, ancora peggio, ambientale.

Ma ci sono le radiazioni! Sì, ci sono, quante e dove andranno non lo sappiamo ma ci sono. Quanto danno possono fare? Qualcuno si è mai chiesto quante ne sono andate in giro per il mondo tra gli anni ’50 e ’60 per effetto degli esperimenti bellici sulle armi nucleari? Ma da allora il mondo è rinsavito! Ora c’è il trattato di non proliferazione! Sì, è talmente rinsavito che le oligarchie e i tiranni medio-orientali e nord-africani stanno prendendo a cannonate le loro stesse popolazioni per mantenere il controllo dei serbatoi di greggio del Pianeta, di cui per inciso il Giappone è il terzo consumatore mondiale. Poi magari toccherà al gas e al carbone, mentre la pentola dei metalli rari indispensabili alle tecnologie rinnovabili sta già bollendo.

Siamo in ballo gente, ci tocca ballare se si vuole mantenere lo statu quo.

Oppure no, si può decidere di cambiare musica, ma lo si deve fare sul serio.

Piuttosto che dilaniarsi in uno sterile e strumentale dibattito nucleare sì, nucleare no, si decida no. Per primi? Sì, per primi. Una volta per tutte, ricordando che questo non è mai accaduto, perché la scelta del 1987 non venne per volontà popolare ma per scelta politica, perché i quesiti referendari non proibirono l’uso dell’energia nucleare ma resero più difficile la realizzazione degli impianti. Quanto seguì fu un’interpretazione politica, legittima in quanto tale, discutibile in quanto tale, tanto che l’esito del terzo quesito è stato largamente disatteso per esempio.

Per cui, sotto. Rinunciare alla quota di energia che arriva da oltreconfine se prodotta con impianti nucleari segnerebbe la fine di quegli impianti costruiti apposta per noi. Un primo passo. Trasferire tutto il trasporto delle merci sul mare, via Tirreno e Adriatico. Niente con più di quattro ruote sulle nostre autostrade. Imporre per legge l’installazione di caldaie a condensazione e di impianti fotovoltaici domestici. Senza incentivi di sorta. Costruire termovalorizzatori e rigassificatori, potenziare la ricerca sulle smart grid, indispensabili a gestire fonti energetiche intermittenti ed altamente diversificate. Al diavolo Kyoto e dintorni, una decarbonizzazione di fatto, non di mercato. E, infine, tirare la cinghia, e tanto, per un tempo indefinito.

Si può fare? Forse, ma se mai si comincia mai si finisce.

Sono due posizioni antitetiche, ma in questo caso la verità non è nel mezzo, visto che in mezzo a questo guado ci stiamo da 25 anni e non abbiamo fatto un solo passo verso la riva.

Cosa scegliete?

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Published inAttualitàNews

7 Comments

  1. Gianfranco

    Dite ” tirare la cinghia, e tanto, per un tempo indefinito”. Non è che vi siete messi a fare allarmismo catastrofista (o se preferite catastrofismo allarmista)? Dai che poi le cose in un modo o nell’altro si aggiustano grazie all’intervento della Divina Provvidenza o, per chi preferisce, delle sacre leggi di mercato.

    Reply
    E chi ha detto che tirare la cinghia sia catastrofico? Si risolverebbero un sacco di problemi. Io credo sia una questione di scelte consapevoli. Se si sceglie di rinunciare a qualcosa è giusto conoscerne e affrontarne le conseguenze (ripeto, senza che queste debbano necessariamente avere accezione negativa).
    gg

  2. Fabrizio

    “Ma ci sono le radiazioni! Sì, ci sono, quante e dove andranno non lo sappiamo ma ci sono. Quanto danno possono fare? Qualcuno si è mai chiesto quante ne sono andate in giro per il mondo tra gli anni ‘50 e ‘60 per effetto degli esperimenti bellici sulle armi nucleari?”

    Si le misure ci sono. Sono state effettuate tramite la microradioattivita presente nelle bottiglie del Bordeaux.

    La contaminazione da Cesio 137 nelle campagne del Bordeaux a causa di Chernobyl e’ stata trascurabile rispetto ai test nucleari degli anni 50 e 60. Almeno 10 volte inferiore.

    Reply
    Molto interessante Fabrizio. Ci dai qualche coordinata?

    • Fabrizio

      Che la microradioattivita nei vini possa essere utilizzata per scoprire frodi e’ un fatto noto.

      Vedi l’articolo sul corriere del 22 marzo 2010
      http://www.corriere.it/salute/nutrizione/10_marzo_22/vino-annata-test-atomici_bec27f46-34c6-11df-b226-00144f02aabe.shtml

      Diversi anni prima ad un convegno di fisica era stato presentato un grafico molto interessante che mostra il rapporto tra l’incidente di Chernobyl i test nucleari degli anni 50 e 60.
      Almeno per quanto riguarda il Cesio137 (e’ quello piu pericoloso visto il tempo di dimezzamento di 30 anni … lo Iodio 131 ha un tempo di dimezzamento di 8 giorni)

      Questa mattina ho mandato a Claudio Gravina per email il grafico in questione.
      Se possibile linkatelo alla pagina.

      Avevo mandato lo stesso grafico al giornalista del Corriere,
      ma non lo hanno ne mostrato ne utilizzato per un articolo.

  3. Fabrizio Giudici

    A questo proposito, segnalo questo articolo del NYT, “Not in my (liberal) backyard”: http://www.nytimes.com/2011/03/13/weekinreview/13nimby.html

    Il giornale, di area liberal (tanto per essere chiari con chi non ha dimestichezza con l’inglese, è l’area di sinistra del Partito Democratico americano, la più favorevole alla “green energy”) denuncia tre esempi in cui in tre comunità parimenti “liberal” sono stati costituiti comitati di protesta contro un parco eolico marino (nel Massachusets), una riorganizzazione del traffico per favorire il trasporto pubblico (a Berkeley, California) e una pista ciclabile (ripeto: una pista ciclabile) a New York.

    Direi che questo estende i discorsi di questi giorni di Guidi e Botteri: oltre al rischio zero, in molti pensano di poter vivere in un mondo anche a costo zero, dove l’energia, i servizi e tutto quanto ci serve per vivere arrivano gratis et amore dei. I rischi e i costi, semmai, se li deve sobbarcare qualcun altro. Se non si combatte questo atteggiamento di de-responsabilizzazione “nel grande” (ad es. nel nucleare), il rischio è di ritrovarcelo anche nel piccolo (dall’inceneritore, al rigassificatore fino al parco eolico, ammesso per un attimo che possa servire a qualcosa).

    • Donato

      Costituire comitati di protesta è, ormai, una delle attività più diffuse nelle democrazie occidentali (almeno quelle europee e statunitensi). Si contesta praticamente tutto: la discarica, la strada, la linea elettrica, il parco eolico, la centrale fotovoltaica, la centrale a biomassa, le partite di calcio, gli arbitri, i politici, ecc., ecc.. Il guaio è che si tratta di proteste sterili in quanto, nella maggior parte dei casi, chi protesta non indica alcuna alternativa: no e basta. Dalle mie parti esiste ed è …. infinito, il problema dei rifiuti. Nessuno vuole la discarica ma, se chiedi a qualcuno di fare la raccolta differenziata, i primi a lamentarsi sono proprio quelli che la discarica non la vogliono. Se provi ad aprire, inoltre, un sacco di immondizia “differenziata” tutto trovi tranne quello che dovrebbe esserci. Secondo il mio modesto parere la causa di tutto è l’estrema sensibilità delle forze politiche alle pressioni dell’opinione pubblica. Che i politici siano sensibili agli umori dell’opinione pubblica è normale ma che reagiscano in modo così marcato anche agli “starnuti” dell’opinione pubblica mi sembra esagerato. Il problema, a mio avviso, deve essere ricercato nella conflittualità estrema della nostra classe politica che impedisce di individuare soluzioni condivise ai problemi che affliggono la nostra società. In questo contesto si inquadra il profondo pessimismo con cui osservo l’evolversi della situazione politica, sociale ed economica del nostro Paese.
      Ciao, Donato.

  4. Donato

    Una volta si diceva: o Franza o Spagna l’importante è che se magna. Oggi, possiamo esserne certi, si dirà o atomo o non atomo l’importante è che si possa consumare energia. L’unica cosa certa è che di fare sacrifici c’è poca voglia. Immaginiamo, infatti, che si concretizzi il secondo scenario ipotizzato da G. Guidi. Chi installerebbe le centraline fotovoltaiche,le caldaie a condensazione o migliorerebbe le prestazioni termiche delle proprie abitazioni senza incentivi? Se tutti si lamentano che le famiglie non riescono ad arrivare a fine mese, dove si trovano i circa 20.000 euro per installare i pannelli fotovoltaici, i 4.000 euro circa per installare una caldaia a condensazione, le decine di migliaia di euro per isolare meglio un fabbricato e cambiare gli infissi? Si dirà che lo Stato (sic!) deve aiutare. Con quali risorse? Per reperire tali risorse le strade sono due: aumentare le entrate (leggi nuove tasse) diminuire le uscite (leggi meno assistenza e meno servizi). Nessuna delle due strade indicate incontra i favori del cittadino (elettore).
    Quale politico avrà il coraggio di dire ai cittadini che bisogna chiudere le macchine in garage ed arrangiarsi con i mezzi pubblici o le biciclette? Anzi che bisogna proprio evitare di spostarsi giornalmente e vivere nel luogo in cui si lavora? Risultato: nessuna scelta! Tutto avanti come prima: tante, tantissime, chiacchiere e niente fatti. Nei prossimi mesi assisteremo a tante trasmissioni televisive di “approfondimento” sul tema nucleare con tantissimi esperti costretti a confrontarsi con “esperti” del calibro di Beppe Grillo (vedi annozero di ieri sera). Tantissimi “esperti” decanteranno le mirabilia delle energie alternative rinnovabili (fotovoltaico, eolico, geotermico, ecc., ecc.) rimproverando ai politici miopia ed incompetenza perché non le valorizzano (dimenticandosi di spiegare che sono costosissime e fuori mercato) Ed avanti così fino al referendum del 12 giugno. In quella data, come accadde anche nel passato, (la storia è ciclica, purtroppo!) il popolo sovrano, dopo mesi di bombardamento mediatico, deciderà che il nucleare non gli va bene, i politici si adegueranno e …. tutto sarà come prima. Fino a quando? Ovviamente fino alla prossima crisi energetica. Allora ricominceremo a stracciarci le vesti, a lamentarci delle scelte fatte sull’onda delle emozioni e bla, bla, bla. Nel frattempo continueremo ad acquistare energia elettrica termonucleare dall’estero (tanto costa poco, ci dice qualche “esperto” e viene prodotta “oltre la barriera delle Alpi”). L’altra sera, per esempio, sono rimasto di sasso nel sentire un “esperto” che ribatteva a un conduttore televisivo: è vero che una centrale in territorio sloveno o francese si trova a meno di 200 km dalle nostre città ma è meglio che stia a 200 km che a 80 km! In conclusione nulla cambierà e resteremo in mezzo al guado per molti altri decenni senza essere né carne, né pesce. Viva l’Italia!
    Ciao, Donato.

  5. giovanni pascoli

    Lo trovo un ottim posto soprattutto per le conclusioni. Bisogna avere un piano di sviluppo energetico su lunghi periodo che permetta la costruzione e lo sviluppo di una rete di produzione a scala nazionale. E mi sembra che l’Italia si differenzi dagli altri paesi non solo per le prime pagine dei giornali, ma anche per la mancanza di un piano energetico nazionale ad ampio resipro e condiviso da tutti indipendentemetne dallo schieramento politico. Un piano che dovrebbe esistere dal dopoguerra e dovrebbe essere attuato da almeno 60 anni. In mancanza di una strategia in questo campo rischiamo di aumentare la nostra dipendenza energetica dai paesi esteri, di rimanere tecnologicamente fermi e di dover inseguire una meta sempre più distante.

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