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Contenuto di calore degli oceani: la “parodia dell’AGW”

It’s a travesty that we can’t accouint for the lack of warming at the moment. Così recitava una delle mail del climategate a firma di Kevin Trenberth. Travesty, comunemente usato per definire una parodia, descrive qualcosa di grottesco, quasi una caricatura. In questo caso, Trenberth giudicava grottesco il fatto che dall’analisi del contenuto di calore degli oceani (OHC), ferme restando le regole del bilancio radiativo e altrettanto ferma restando l’ipotesi che le attività umane lo abbiano fortemente alterato, mancherebbe un sacco di calore all’appello.

Non c’è, e’ sparito. Dal momento che trattasi di energia, che notoriamente non si crea né si distrugge, sorge il dubbio che più che essere sparito quel calore non ci sia proprio mai stato. La sua presenza è infatti frutto dell’ipotesi e proiezioni dell’AGW, non delle osservazioni. Accade così che quando queste ultime arrivano i conti non tornano e qualcuno parla (a sproposito ma c’è da capirlo) di travesty.

Come è accaduto per la misurazione di tutti i parametri climatici, anche per il contenuto di calore degli oceani quelli recenti sono stati anni di grandi cambiamenti. In particolare nell’ultimo decennio è proseguita senza sosta la posa delle boe flottanti del sistema Argo, primo vero tentativo di realizzare un sistema di misura standardizzato ed omogeneo del comportamento della massa liquida del Pianeta. Prima di allora si usava un po’ di tutto, dalle boe alle bottiglie, passando per i secchi gettati dalle navi e poi recuperati per misurare la temperatura del loro contenuto. Tanto per il passato, quanto per il presente, i problemi di calibrazione degli strumenti sono tutt’altro che banali, figuriamoci quanto ossa essere problematico incollare tra loro le serie al fine di ottenere una rappresentazione continua del comportamento dell’OHC.

Bene, se nel fare questa operazione (anni 2002-2003) fosse venuto fuori un balzo dell’OHC mai osservato in passato, e successivamente il calore degli oceani avesse assunto un andamento piatto o statisticamente non significativo, avreste gridato al disastro climatico per il primo e all’errore per il secondo o avreste pensato a un errore nella continuità della serie per il primo e alla calma per il secondo?

La comunità del consenso sull’AGW, Trenberth compreso, ha evidentemente optato per la prima opzione. Adesso arriva una correzione dalla NOAA che abbassa la differenza 2002-2003 riducendo il “grande balzo in avanti” dell’OHC e accentua la parodia, perché la distanza tra quanto calore dovrebbe esserci pronto per incendiare il Pianeta secondo l’ipotesi AGW e quanto effettivamente ce n’è aumenta ancora.

Per inciso, da quando l’OHC lo si misura con le boe di Argo, il trend è piatto o in leggero declino se si tiene conto solo di questi dati, in leggero aumento invece se a questi si aggiungono anche quelli dei precedenti sistemi di misura piuttosto eterogenei. Questo noiosissimo piattume è lo stesso delle temperature medie superficiali globali. Non che non sia già accaduto in passato, ma quando qualcuno vorrà spiegarci come si sposa tutto questo con l’ipotesi di un forcing antropico sempre più pressante sarà sempre troppo tardi. Attenzione, la variabilità naturale a comando che confonderebbe ora il segnale antropico e sarebbe rimasta in disparte negli ultimi anni del secolo scorso è una spiegazione che forse la convenienza politica potrebbe accettare ma per la scienza fa acqua -è il caso di dirlo- da tutte le parti. La natura c’e’ sempre, siamo noi a non aver capito cosa fa.

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NB: da qui, su WUWT.

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Published inAttualitàNews

11 Comments

  1. luigi mariani

    caro Guido,

    gli oceani, come sostiene Roger Pielke, senior non sono altro che un grande accumulatore di energia, per cui il loro contenuto energetico sarebbe da preferire rispetto alle temperature di superficie in quanto maggiormente rappresentative dal punto di vista energetico globale. Tuttavia dalle misure di Argo mi pare evidente che temperature di superficie globali e contenuto energetico degli oceani sono fra loro coerenti per cui si può al momento continuare a ragionare di temperature di superficie.

    E a quest’ultimo proposito, nell’ultimo secolo abbiamo assistito all’alternanza di
    – periodi di 20 30 anni in cui temperature globali di superficie e trend della CO2 sono fra loro coerenti (CO2 e temperature salgono)
    – periodi di 20-30 anni in cui la correlazione appare nulla o negativa (CO2 sale a fronte di temperature che restano stazionarie o scendono).

    Possibile che questa strana altalena non abbia fatto rizzare le orecchie a chi si occupa di scienza del clima e venga di solito risolta allisciando i dati (Ipcc docet)?

    Potremmo pensare invece che il fenomeno sia sintomo di un “carattere profondo” del clima ed in particolare della presenza di robusti feed-back negativi (Lindzen) che tendono a “riportare a terra” il sistema prevenendo ogni eventuale “runaway greenhouse effect”.

    E come feed-back negativi non vedo niente di meglio che il vapore acqueo e le nubi, i grandi protagonisti dell’effetto serra terrestre.

    Si prenda ad esempio il Nino del 1998: se il sistema climatico funzionasse come pensano all’Ipcc, il sovraccarico di vapore acqueo indotto dall’attività convettiva legata a El Nino e dall’aumento delle temperature globali (che nel 1998 toccano il loro apice) avrebbe scatenato un’ulteriore incremento di temperature richiamando altro vapore acqueo, e così via fino alla morte del pianeta.

    Al contrario invece dopo il 1998 il sistema si è tranquillamente liberato del vapore in eccesso (con la pioggia) e anche le nubi si sono stabilizzate, per cui cui le temperare dopo il 1998 si sono comportate come come ben sappiamo, e cioè stabilizzandosi.

    Su questo occorrerebbe meditare (come sta facendo ad esempio da tempo Roy Spencer) evitando la pericolosa politica oggi in voga fra i “credenti” nell’AGW e che si sostanzia in:
    1. nascondere la testa sotto la sabbia in attesa che il GW riprenda a dominare la scena
    2. intorbidare le acque ritoccando qua e là i dati, allisciandoli dove occorre, in modo confondere l’opinione pubblica e continuare a tenere il mondo sulle spine
    3. intorbidare ulteriormente le acque utilizzando gli eventi estremi legati alla dinamica dei “blocchi” (siccità, alluvioni, ecc.) come “segno del clima che cambia”, trascurando in ciò le evidenze climatologiche che mostrano che tali eventi si sono verificati anche in passato (es: dust bowl statunitense degli anni ’30).

    Una tale politica (cui cooperano in modo evidentissimo i media) potrà essere spacciata come “nobile” (perché funzionale alla “salvezza del pianeta”) ma è quantomai ipocrita e deontologicamente scorretta sul piano morale e scientifico.

    Ciao.

    Luigi

    • md

      “Si prenda ad esempio il Nino del 1998: se il sistema climatico funzionasse come pensano all’Ipcc, il sovraccarico di vapore acqueo indotto dall’attività convettiva legata a El Nino e dall’aumento delle temperature globali (che nel 1998 toccano il loro apice) avrebbe scatenato un’ulteriore incremento di temperature richiamando altro vapore acqueo, e così via fino alla morte del pianeta.”

      e perchè? Se il feedback aumenta ad esempio del 50% la risposta termica iniziale allora avremo una serie covergente a 2(1+1/2+1/4+1/8….ovvero un raddoppio della risposta termica senza feedback e senza nessuna morte del pianeta)

    • Non dovrebbe essere 1+1.5+2.25+3.375+….?

      (domanda)

    • Luigi Mariani

      Non credo che la legge che descrive il feed back positivo da vapore acqueo sia del tipo citato dal lei, nel senso che:
      1. da un lato all’aumentare della temperatura il quantitativo massimo di vapore che può essere contenuto in una massa d’aria aumenta più che linearmente (feedback positivo)
      2. dall’altro il vapore acqueo condensa e precipita con estrema facilità (feedback negativo) liberando l’atmosfera dall’eccesso che si verifica ad esempio in occasione del Nino.
      Dovrebbe essere l’azione combinata di questi due meccanismi antagonistici e di altri meccanismi di feed-back anch’essi all’opera (legati ad esempio alle nubi) ad impedire che il sistema vada incontro ad un pernicioso “runaway greenhouse effect” (che per la precisione – e qui mi scuso per aver usato un termine troppo forte – non significa “morte del pianeta” ma solo grandi difficoltà per le forme di vita così come le conosciamo oggi).

    • agrimensore g

      Direi che più che stabilizzarsi sono ritornate giù (salvo poi risalire ancora successivamente).
      E’ questa la cosa che trovo un po’ strana per un sistema retroazionato positivamente, come descritto nell’AGWT: nella realtà, ad una variazione in un senso, corrisponde un’altra in un altro senso. Cioè non si forma una risposta a gradino a fronte di una forte perturbazione. Viceversa, il sistema sembra reagire in senso opposto.

  2. Donato

    Sempre la stessa storia! Ogni volta che le osservazioni differiscono dai modelli la colpa è delle osservazioni che danno dati sballati. Non ricordo bene se su questo blog o su qualche altro, qualche mese fa, uno dei commentatori ebbe a lamentarsi del fatto che in climatologia sono sempre tutti pronti a criticare ed a contestare mentre nelle altre branche della scienza i lavori dei ricercatori vengono accettati e (quasi) mai contestati. Ecco la risposta. Da nessuna parte, se i dati non concordano con l’ipotesi, si contestano i dati. Questo avviene solo in climatologia. Oggi ho letto su “Le Scienze” di gennaio 2011 (ahimé sono un po’ in arretrato) una bella intervista al premio Nobel per la fisica Weimberg. Il prof. Weimberg insieme a Salam è stato uno degli artefici del modello standard. Egli, però, non ha nessun problema ad ammettere che qualora i dati sperimentali dovessero dimostrare la non veridicità delle sue ipotesi, si aprirebbe la strada per altre ipotesi alternative. Qualora gli esperimenti condotti con LHC al CERN, sostiene, non dovessero rivelare le particelle da lui previste od altre ad esse alternative, verrebbero messe in evidenza INCONGRUENZE MATEMATICHE della teoria. Io non posso contestare una posizione del genere: è del tutto corretta. Se, però, mi si dice che i dati non sono corretti perché non confermano l’ipotesi contesto questa posizione. Non fa niente che mi definiscono negazionista, scettico o, peggio, ignorante che deve prima studiare vari trattati di climatologia e poi parlare.
    Ciao, Donato.

    • luigi mariani

      Caro Donato,
      in effetti tutte le scienze della natura dovrebbero avere la realtà come criterio ultimo di giudizio, altrimenti si creano delle metafisiche.
      Ciò non esclude che i modelli possano essere utili per evidenziare errori negli apparati di misura (ad esempio un modello per la ricostruzione della radiazione solare globale basato sull’escursione termica giornaliera può evidenziare incongruenze in serie storiche di misure radiometriche.
      Alla fine è sempre un problema di equilibrio; tuttavia alla fine per un ricercatore corretto l’ultimo criterio di giudizio dev’essere la realtà, non il modello.
      Luigi

    • Donato

      Completamente d’accordo con te. Come dicevano i nostri avi: la virtù sta nel mezzo.
      Ciao, Donato.

    • Donato

      errata corrige: per un refuso Weinberg è diventato Weimberg. Me ne scuso.

  3. md

    Ho qualche dubbio che il NOAA escluda tutte le rilevazioni percui non è possibile apportare la correzione altrimenti non mi spiego la discrepanza con la ricostruzione degli australiani:
    http://www.aviso.oceanobs.com/fileadmin/documents/OSTST/2010/Domingues.pdf

    Reply
    Abbi pazienza, io ho gli stessi dubbi, ma li estendo a entrambe le ricostruzioni. Cosa ti fa pensare che il bias negativo della NOAA sia più probabile di quello positivo della ricostruzione che hai linkato? Mi pare un po’ preconcetta come posizione. Oltretutto, forse mi e’ sfuggito, ma nel segnalare il problema del pressure sensor drift, non mi pare sia stato attribuito un segno all’errore.
    gg

  4. md

    o più semplicemente c’è qualche problemino con la flotta ARGO:
    http://journals.ametsoc.org/doi/abs/10.1175/2011JTECHO831.1

    Reply
    Attenzione, la correzione edita dalla NOAA ha riguardato, con riferimento ai dati Argo, esattamente quei “problemini” di cui si parla nel paper che hai linkato. Questo dovrebbe significare che nel farla, si siano attenuti alle indicazioni del paper, indicazioni che ritroviamo pari pari in questa pagina del progetto: http://www.argo.ucsd.edu/Acpres_drift_apex.html.
    Viene da pensare che quei problemini, visto come differiscono le curve prima/dopo avessero introdotto un bias positivo ancora più accentuato con l’inserimento dei dati Argo nella serie a partire dal 2003. E’ esattamente questo il punto. Il controllo qualità dei dati conferma la stazionarietà del trend, ma riduce il salto 2002-2003, ergo, di calore stipato negli oceani ce n’è meno di quanto si pensasse, ovvero meno, molto meno di quanto dovrebbe essercene secondo Trenberth e soci. Lo spike 2002-2003 andava investigato prima di suonare le trombe, non credi?
    gg

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