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Strutture di blocco e anomalia termica sull’Italia dell’aprile 2011

Di fronte all’ondata di caldo che ha interessato la parte più occidentale del Continente Europeo e il Nord Italia in particolare, la prima tentazione è quella di chiamare in causa il GW utilizzando la schema interpretativo usato da Gore con riferimento all’ondata di caldo del 2003 (Chase et al., 2006).

L’anomalia degli ultimi giorni è stata infatti consistente. Si pensi ad esempio che secondo misure amatoriali da me effettuate a Milano, i 30°C di massima sono stati superati per tre giorni consecutivi (giorni 7, 8 e 9 aprile) mentre il valore più alto reperibile nelle statistiche di Brera (Buffoni et al., 1996) è il 29.8 °C registrato il 20 Aprile 1949. Le due strutture circolatorie (quella del 1949 – verificata qui su Wetter Zentrale – e quella odierna) sono simili e cioè caratterizzate da un grande promontorio anticiclonico subtropicale con asse nord-sud esteso dal Nord Africa verso le Isole Britanniche (figura 1).

Figura 1 – La struttura circolatoria a 500 hPa (circa 5500 m di quota). Le frecce rosse indicano il verso del flusso (fonte università del Wyoming)

In tali condizioni il Nord Italia è esposto ad un regime di correnti settentrionali con lieve effetto favonico. In tale struttura gli effetti avvettivi e quelli di compressione tendono a rendere particolarmente intenso il fenomeno, il quale presenta una rilevante componente di mesoscala che in questo caso trascureremo, limitandoci qui di seguito alla macroscala.

Un inquadramento tecnico a macroscala del fenomeno richiede che si prendano in considerazione le strutture meteorologiche che hanno dato luogo all’anomalia termica e cioè una struttura di blocco (blocking system) che secondo un sistema di classificazione generalmente accettato (figura 2) può essere considerato di tipo omega. Si entra pertanto nel campo di strutture circolatorie responsabili di anomalie meteorologiche di diverso tipo quali anomalie calde, anomalie fredde, fasi piovose o nevose persistenti e fasi siccitose.

Figura 2 – Schema di classificazione delle strutture di blocco (da Jeff Haby - http://www.theweatherprediction.com/blocking/ - modificato).

Per interpretare correttamente il concetto di blocco occorre considerare che la forma media della circolazione alle medie latitudini del nostro pianeta si caratterizza per la presenza di un regime di correnti occidentali lievemente ondulate (regime zonale). Tale regime è molto favorevole agli scambi fra latitudini tropicali e alte latitudini in quanto è caratterizzato dal regolare transito di sistemi frontali che miscelano aria subtropicale con aria artica. Basta tuttavia guardare una carta della circolazione emisferica per cogliere che il regime zonale è frequentemente “turbato” dalla presenza di grandi depressioni o grandi anticicloni di tipo dinamico (presenti cioè in troposfera a tutte le quote) che “bloccano” la circolazione occidentale costringendola a percorsi più o meno tortuosi.

In ragione di ciò alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi secondo cui la circolazione extra-tropicale veda nel tempo l’alternanza fra due regimi circolatori principali (Charney e DeVore, 1979; Holton, 2004) e cioè (a) un regime a flusso zonale forte e scarsa ondulazione più favorevole agli scambi energetici equatore – polo e (b) un regime a flusso zonale debole e molto ondulato (a lata presenza di strutture di blocco).

Le strutture di blocco sono più persistenti nell’emisfero nord che in quello sud, e dunque si può pensare che l’alternanza terre-oceani e la presenza di grandi catene montuose siano fattori predisponenti di grande importanza. A tale conclusione ci conduce anche l’osservazione secondo cui la frequenza dei blocchi nell’emisfero Nord è massima a 0°E (area europea) e a 180°E (figura 3). Nel caso europeo l’effetto delle Montagne Rocciose, che tendono a generare un’onda stazionaria nelle correnti occidentali, e l’influenza dell’Oceano Atlantico (Seager et al., 2002) hanno evidentemente un ruolo di grande rilevanza.

Figura 3 – Analisi della NOAA della frequenza dei blocchi nell’emisfero boreale e nelle diverse stagioni (metodo: con riferimento ai dati di rianalisi NCEP-Ncar per il 1950-2000 si è applicato l’indice di blocco di Tibaldi e Molteni (1990) rilevando la frequenza dei giorni con blocco per le quattro stagioni (DJF, MAM, JJA, SON) e per l’emisfero Nord. (fonte: http://www.cpc.ncep.noaa.gov/products/precip/CWlink/blocking/seasonal_nh/seasonal_nh.shtml).

Dei blocchi colpisce la persistenza (dell’ordine delle settimane) e la capacità di rigenerarsi su una stessa area (dell’ordine di mesi o, in casi estremi, per più anni). Se si pensa ad esempio alla struttura di blocco che ha prodotto la rovente estate del 2003, la stessa si è mantenuta sostanzialmente immutata sull’area europea della metà di giugno alla metà di agosto, salvo alcuni cedimenti (es: quello del 28 giugno) seguiti da un pronto ripristino.

Un caso analogo ma ben peggiore è quello che condusse alla dust bowl negli Usa negli anni 30 del XX° secolo. In quel caso l’anomalia pluviometrica negativa si ripresentò per più anni di seguito portando ad una situazione di tipo catastrofico (per gli Usa si è trattato della peggiore siccità del XX° secolo).

In proposito è interessante citare la seguente analisi del climatologo americano Jerome Namias: “Le siccità non sono eventi a se stante ma fanno parte dei grandi pattern della circolazione generale dell’atmosfera, i quali nella loro configurazione normale determinano il clima mentre nelle loro fasi di deviazione massima dalla norma possono causare fenomeni calamitosi come siccità e alluvioni. Se ad esempio una grande area depressionaria sovrasta il Pacifico Nord Orientale al largo degli Usa mentre la parte occidentale degli Usa sono dominati da un’alta pressione, allora l’area continentale sarà contrassegnata da tempo asciutto. Se tale condizione persiste o si ripete spesso allora avremo un siccità. Tali eventi manifestano spesso un feed-back positivo” (Namias, 1981).

Cosa ci manca oggi in termini conoscitivi? Penso che occorrerebbe una maggiore attenzione alla climatologia delle strutture di blocco; in proposito i lavori che li riguardano sono ancora pochi. Ciò impedisce anche di analizzare l’eventuale relazione fra blocchi e GW.

Il fatto poi che l’Europa sia l’area dell’emisfero boreale più esposta ai blocchi dovrebbe far prestare un’attenzione particolare al tema della genesi e della persistenza di tali strutture.

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Bibliografia

  • Buffoni L., Chlistovsky F., Maugeri M., 1996. 1763-1995. 233 anni di rilevazioni termiche a Milano Brera, CUSL, Milano.
  • Charney, J.G. and J.G. DeVore, (1979), Multiple flow equilibria in the atmosphere and blocking, J. Atmos. Sci.,. 36:1205-1216
  • Chase T.S.,Wolter K., Pielke R.A. Sr., Rasool I.., 2006. Was the 2003 European summer heat wave unusual in a global context? Geophysical Research Letters, vol. 33, L23709, doi:10.1029/2006GL027470, 2006
  • Holton J. R., 2004. An introduction to dynamic meteorology, Elsevier, Academic Press, 535 pp.
  • Namias, J. 1981. Severe droughts in recent history. In Rotberg & Rabb (eds), Climate & History, Princeton Univ. Press, 117-132.
  • Seager R., Battisti D.S., Yin J., Gordon N., Naik N., Clement A.C., Cane M.A., 2002. Is the Gulf Stream responsible for Europe’s mild winters? Q. J. R. Meteorol. Soc. (2002), 128, pp. 2563–2586
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Published inAttualitàClimatologiaMeteorologiaNews

7 Comments

  1. Simone

    Salve a tutti,
    riguardo all’evento di caldo anomalo dello scorso 9 aprile, segnalo che anche a Melegnano (MI) si sono riscontrati chiare evidenze di una situazione favonica: umidità relativa nel pomeriggio compresa tra 10 e 15 % con temperatura dell’aria che ha raggiunto i 32.2 °C.

    Per quanto attiene i precedenti di un evento simile nella storia, analizzando i valori di Temperatura a 850 hPa da Rianalisi NCEP ho potuto constatare che un’ondata di caldo di tale portata trova riscontro solamente nell’Aprile 1949. Quell’anno per ben 7 giorni le T a 850 erano superiori a 12°C, lo stesso numero di giorni che stiamo riscontrando anche quest’anno. Nel 2007 si sono verificati solo 3 giorni con T > 12°c a 850hpa.

    Saluti,
    Simone Parisi

  2. luigi Mariani

    In effetti una analisi sulle serie del periodo 1921-1950 sarebbe molto interessante (ad esempio quella è una fase di grande aumento delle temperature artiche che i GCM non riescono a descrivere – ricordo in proposito un articolo di Gillet et al. uscito su Nature Geoscience nel 2008).
    I record storici di freddo (così come quelli di caldo) sono spesso legati alla dinamica dei blocchi.

  3. Piero

    negli anni 2000 abbiamo avuto l’estate piu’ calda(2003)..l’inverno piu’ mite(2007) l’estate piu’ calda in Russia(2010) e adesso questo aprile..
    ok sono episodi..anche se mai verificatosi in passato(parliamo di temperature record)
    pero’ i numeri ci dicono che le estati 2000 sono molto calde..
    Il record della città che più si è riscaldata spetta a Madrid, le cui medie estive sono aumentate di 2,2° centigradi. A Londra, invece, il primato di aumenti per le massime: più 2 gradi. A Roma la temperatura media in estate è cresciuta di 1,2° in 30 anni, passando da 22,6° C per il periodo 1970-74 a 23,8°C per il periodo 2000-2004. Nella classifica dei più forti rialzi delle temperature massime, Londra è seguita da Atene e Lisbona. Nella graduatoria delle temperature medie, la capitale spagnola precede Lussemburgo (2°), Stoccolma, Bruxelles, Roma e Vienna.

    Reply
    Interessante Piero. Quanto pensi sia cambiata Roma in 30 anni?
    gg

    • Luigi Mariani

      Il mio scopo era in effetti quello di discutere del fenomeno in sé associandolo alle cause circolatorie immediate (dinamiche interne ad un un anticiclone di blocco).
      Tuttavia non ho in alcun modo problemi ad ampliare il campo d’indagine ai dati da lei citati.

      Tali dati (anche se in parte “sporcati” dall’effetto sempre crescente dell'”isola di calore urbano” contro cui si sta facendo pochissimo in termini di contrasto) mi paiono complessivamente coerenti con il cambiamento di fase della circolazione anulare alle medie latitudini del nostro emisfero che è segnato dal cambio di fase della NAO (1987) e che si è tradotto in un sensibile incremento delle temperature europee le quali fra il 1987 ed il 1998 manifestano un caratteristico “gradino” di +1 / +1.5°C, per poi stabilizzarsi col il cambio di secolo.

      E’ curioso rilevare che il “gradino” non parrebbe l’effetto dall’incremento di CO2 in atmosfera. Questo è per lo meno quanto attesta l’analisi presentata nell’articolo di Tzu-Ting Lo e Huang-Hsiung Hsu dal titolo “Change in the dominant decadal patterns and the late 1980s abrupt warming in the extratropical Northern Hemisphere”, pubblicata su Atmospheric Science Letters (Volume 11, Issue 3, pages 210–215, July/September 2010 e già discussa su CM per merito di Guido Guidi (http://www.climatemonitor.it/?p=16685#comments).

      Tale ricerca infatti evidenzia che il “gradino” sopra citato non viene descritto in modo realistico dai modelli circolatori globali dell’IPCC “state of art” se si introduce l’incremento di CO2 del 20° secolo (incremento che parrebbe “mangiarsi” tutta la variabilità del sistema riducendolo al sistema che tutti i seguaci della teoria AGW sognano poiché vi vige la semplice regola “tanta CO2 tanta temperatura”) mentre il “gradino” stesso viene simulato in modo realistico se i modelli vengono fatti operare in modalità PI (pre – industriale) e cioè con CO2 costante a 285 ppm.

      Capire perché le temperature europee siano repentinamente aumentate a fine anni ’80 è un problema scientifico aperto e su cui varrebbe la pena orientare la ricerca.

    • Filippo Turturici

      Sarebbe utile anche poter fare un confronto completo coi dati del trentennio precedente, o meglio ancora del periodo 1921-’50, ovviamente con dati “depurati” dell’effetto UHI, per poter confrontare due periodi di NAO mediamente positiva sull’Europa.

      P.S. comunque abbiamo fatto anche qualche record storico di freddo nell’ultimo decennio, pur se con medie termiche decennali spesso più elevate.

  4. Fabio Campanella

    Ottimo articolo. Bravo! La gente più che dare sempre la solita colpa a le solite cose grazie ai giornali che catastroficamente (in tutti i sensi) disinformano, dovrebbe invece chiedersi e trovare le giuste cause su quello che accade. Aggiungo, se mi posso permettere, che l’effetto favonico che lei ha chiamato “lieve”, in realtà a parer mio è stata una delle principali cause del caldo anomalo sulla Pianura Padana. E’ stata quindi un’insieme di cause che mi rendo conto diventerebbe difficile spiegare alla gente comune ma tant’è… 😉

    Saluti
    Fabio Campanella

    • Luigi Mariani

      Gentile signor Campanella,

      nel ringraziarla molto per l’apprezzamento mostrato nei confronti del mio scritto, approfitto per precisare che l’uso da parte mia del termine “lieve foehn” tendeva a sottolineare il fatto che si è trattato di un episodio che presentava solo alcune delle caratteristiche del foehn, e mi spiego.
      Qui sotto i dati registrati nel breve periodo (dalle 14 alle 19.30 del 9 aprile scorso) in cui la stazione meteo Davis posta a Milano in via Celoria (città Studi – facoltà di Agraria) su un tetto a circa 15 m di altezza ha superato i 30°C durante l’episodio in esame (si noti il massimo termico di 31.9 raggiunto dalle ore 16.00 alle 16.30 del 9 aprile).

      hh T(°C) UR(%) D_W Vmax(m/s)
      14.00 29.9 29 WSW 1.61
      14.15 30.3 28 W 0.8
      14.30 31.2 24 SW 1.21
      14.45 31.6 16 ESE 1.61
      15.00 31.8 15 WNW 2.41
      15.15 31.7 15 WNW 2.41
      15.30 32 15 WNW 1.61
      15.45 32.2 15 WNW 1.61
      16.00 31.9 15 W 2.41
      16.15 31.9 15 WNW 2.41
      16.30 31.9 15 WNW 2.41
      16.45 31.8 15 WNW 2.82
      17.00 31.6 15 WNW 2.82
      17.15 31.6 15 WNW 2.82
      17.30 31.6 15 WNW 2.82
      17.45 31.3 15 WNW 2.82
      18.00 31.3 15 WNW 2.41
      18.15 31.3 15 WNW 2.01
      18.30 31.1 15 WNW 2.41
      18.45 30.8 15 WNW 2.41
      19.00 30.6 15 WNW 2.01
      19.15 30.3 16 WNW 2.41
      19.30 29.9 16 WNW 2.41

      Si nota che in coicidenza con il picco del caldo le umidità erano particolarmente basse (15% circa) mentre il vento era disposto da WNW, con velocità massime di oltre 2 m/s. Con il foehn concordano l’umidità molto bassa, la temperatura elevata e la direzione di provenienza del vento, mentre la velocità del vento ha valori che non sono alti a sufficienza per parlare di foehn deciso. Per questo ho preferito parlare di foehn lieve.
      Con un foehn lieve concordano anche:
      – l’assenza di muro di foehn aldilà delle Alpi
      – la forma della circolazione a 850 hPa con lieve “naso del foehn”.

      Ciò detto sono anch’io convinto che il lieve effetto favonico abbia avuto un peso determinante nel far superare la soglia dei 30°C a Milano; tuttavia per tradurre tale convinzione in una valutazione quantitativa occorrerebbe disporre di un modello a base fisica in grado di simulare il fenomeno discernendo i contributi provenienti dai diversi fattori causali attivi a macro, meso e microscala.

      E’ comunque del tutto evidente che la Valpadana sia un ambiente meteorologico del tutto peculiare (una sorta di laboratorio per fenomeni a mesoscala) per cui attribuire un significato più ampio ai fenomeni che vi si verificano espone sempre a grandi rischi.

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