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La forzante solare è in grado di influenzare il clima terrestre?

Una delle discussioni più appassionanti nell’ambito del dibattito sul clima, riguarda l’influenza del Sole sul sistema climatico terrestre. In particolare si dibatte circa l’influenza sul clima terrestre dell’intensità dei massimi solari e della profondità dei minimi solari. Secondo alcuni la PEG o LIA, cioè il periodo freddo che ha caratterizzato gli anni compresi grossomodo tra il 17° secolo e gli inizi del 19° secolo, fu originata da una lunga serie di minimi solari meglio conosciuti come Minimo di Maunder.

Molti climatologi danno poco credito a questa attribuzione e, probabilmente a ragione, chiamano in gioco molte altre cause. Alcuni hanno cercato addirittura di negare l’esistenza della PEG o di ridimensionarla a fenomeno locale e, quindi, di scarso interesse globale. A mio modesto parere “in medio stat virtus” che, tradotto, significa che la PEG ha avuto molte concause tra cui anche il Sole. Dello stesso avviso, per esempio, sono gli autori di un articolo pubblicato sulla rivista THE HOLOCENE lo scorso mese di ottobre:

Solar forcing of climate during the last millennium recorded in lake sediments from northern Sweden di U. Kokfelt e R. Muscheler

L’abstract dell’articolo è consultabile a QUESTO indirizzo.

Nell’articolo si rendono noti i risultati dello studio condotto su un campione di sedimenti estratto dal piccolo lago di Inre Harsjon facente parte di una vasta zona umida sub-artica nel nord della Svezia. Il campione ha consentito di studiare un periodo di circa mille anni a partire dal presente.

Essenzialmente i due ricercatori hanno cercato di individuare delle correlazioni tra i minimi solari e le precipitazioni verificatesi nel periodo oggetto di studio. La calibrazione dei risultati ottenuti analizzando i sedimenti è stata effettuata sulla base di una lunga serie di misurazioni strumentali che coprono quasi tutto il 20° secolo.

I ricercatori hanno studiato due serie di campioni: una recuperata nel 2004 ed un’altra prelevata nel 2005. La risoluzione dei due campioni risulta compresa tra i 3 ed i 16 anni e quindi è piuttosto alta. Per la datazione dei campioni hanno utilizzato l’isotopo 210Pb e, per i macrofossili terrestri, l’isotopo 14C. I risultati ottenuti con i due metodi di datazione sono stati oggetto di un’analisi bayesiana che ha consentito di renderli confrontabili e, come vedremo, anche di aggiustarli.

Il principale parametro utilizzato nella ricerca è stato il cosiddetto residuo di accensione (IR) ovvero il quantitativo di materiale residuo dopo una combustione ad alta temperatura (550-950 °C).

Il residuo di accensione consente di valutare la percentuale di materiali minerali (non combustibili) di origine biologica e non. Mediante una metodologia piuttosto complessa basata sulla misura delle concentrazioni di 210Pb, i due studiosi hanno ricostruito l’andamento dell’IR nel tempo e, da esso, il record del materiale minerale di origine biologica non autoctono. Tale materiale, portato nel lago dal vento e dalle piogge, è stato quantificato mediante l’indice IR-BSi, ottenuto sottraendo ad IR la componente minerale di origine biologica autoctona o BSi, desunta da altri record studiati in precedenti lavori (principalmente Kokfelt 2010).

Mediante la misura delle variazioni dell’isotopo 14C, essi hanno ricostruito l’andamento dei cicli solari. Il 14C, infatti, risente del flusso di neutroni cosmici che, come sembra ormai assodato, viene modulato dall’attività solare.

I ricercatori, infine, hanno confrontato il diagramma delle variazioni dell’IR-BSi con le anomalie nella concentrazione dell’isotopo 18O (correlato alle temperature ambientali) desunte da analisi su foraminiferi prelevati da campioni del Mar di Norvegia. Sejrup 2010 studiando questi foraminiferi ha dimostrato infatti, che le temperature dell’acqua marina del mar di Norvegia sono fortemente correlate con i cicli solari per cui il confronto tra il diagramma dell’indice IR-BSi e quello delle anomalie nella concentrazione dell’isotopo 18O, consente di individuare un ulteriore elemento di controllo della bontà dell’IR-BSi quale proxi dei cicli solari e delle precipitazioni.

I confronti appena descritti possono essere meglio apprezzati nei grafici seguenti (tratti dall’articolo citato):

 

Il confronto tra i grafici dell’IR-BSi e quello dei cicli solari mostra un buon accordo tra la percentuale di materiali minerali di origine alloctona (trasportati, evidentemente, dalle acque che scaricavano i loro sedimenti nel lago e dai venti) ed i cicli solari ricostruiti sulla base delle variazioni delle concentrazioni di 14C nei macrofossili. Un buon accordo si evidenzia anche tra le concentrazioni di 18O nei foraminiferi del mar di Norvegia e l’indice IR-BSi.

Nella discussione e nelle conclusioni del loro articolo i due ricercatori sono dell’avviso di aver dimostrato che il numero di macchie solari è fortemente correlato con l’IR-BSi. In particolare i minimi di Wolf, Sporer e Maunder coincidono con altrettanti minimi del diagramma dell’IR-BSi.

Ad onor del vero la coincidenza è un po’ forzata come si vede dai grafici. Il diagramma dell’IR-BSi (linea tratteggiata), infatti, è stato aggiustato per adeguarlo ad alcune datazioni effettuate con il radiocarbonio e per migliorare la correlazione. Lo sfasamento tra i due diagrammi è giustificato dagli autori con incertezze connesse al collegamento tra le datazioni effettuate utilizzando il 210Pb rispetto alle datazioni effettuate attraverso il 14C.

La parte dello studio che più affascina, però, è quella in cui Kokfelt et al. 2012, cercano di dare una spiegazione fisica delle correlazioni individuate. Tale spiegazione, però, pur molto suggestiva, in realtà è piuttosto incerta (essi, infatti, la pongono in forma dubitativa). I due ricercatori prendono le mosse da  studi recenti (Gimeno et al., 2003; Kodera, 2002; Lukianova and Alekseev, 2004) che evidenziano come l’indice NAO possa essere messo in stretta correlazione con l’indice geomagnetico solare a-a. L’indice NAO, come risulta da misurazioni relative a buona parte del 20° secolo, nel periodo invernale tende ad assumere valori negativi durante i minimi solari. L’indice NAO, da parte sua, influenza notevolmente tanto le precipitazioni nell’area oggetto di studio, come dimostrano i rilievi eseguiti a partire dagli inizi del 1900 nella stazione meteorologica di Abisko, quanto le SST del mar di Norvegia. Durante i minimi solari del 20° secolo, infatti, i dati della stazione di Abisko dimostrano una dipendenza delle precipitazioni dai cicli solari: minori precipitazioni durante il minimo. Nel periodo estivo, invece, non vi è correlazione tra il numero di macchie solari e, quindi, i cicli solari e le precipitazioni, però esse in genere sono influenzate dalle condizioni dell’inverno precedente e, quindi in ultima analisi dalla NAO invernale, cioè dall’indice geomagnetico e, pertanto dai cicli solari.

Da tutto ciò Kokfelt et al. 2012 deducono che il Sole e più precisamente i cicli solari, siano i principali drivers del clima della Fennoscandia settentrionale.

Sulla base di quanto ho potuto capire, i due ricercatori credono di aver individuato una serie di concatenazioni che, partendo dai cicli solari e dall’andamento dell’indice geomagnetico, sono in grado di influenzare tanto l’indice NAO, quanto l’indice AO che determinano le condizioni climatiche (in particolare le precipitazioni) della regione settentrionale della Scandinavia. Se le precipitazioni sono basse, ovviamente, l’indice IR-BSi delle acque lacustri si mantiene basso in quanto viene meno l’apporto di sedimenti alloctoni.

Una conferma sperimentale di questa correlazione tra minimi solari e precipitazione è stata effettuata analizzando l’andamento delle precipitazioni atmosferiche nel periodo compreso tra il 1913 ed i giorni nostri (Abisko 1913-2000). Sulla base di tali dati si è visto che nei periodi di minimo solare, si registra una diminuzione delle precipitazioni estive nella zona intorno al lago indagato per cui l’indice IR-BSi diminuisce. Stabilito che IR-BSi è influenzato dai minimi solari, si può, con ragionevole certezza, desumere che l’andamento dell’indice dell’IR-BSi nei sedimenti del lago di Inre Harsjon costituisce un record di dati di prossimità sulla base dei quali studiare le correlazioni tra cicli solari e andamento delle precipitazioni e, in senso più esteso, tra cicli solari e variazioni del clima locale.

Per quel che riguarda la LIA, infine, Kokfelt et al. 2012 sono dell’avviso che la sola forzante solare non sia stata in grado di innescarla: essa è stata originata, probabilmente, sia dal minimo solare, sia da una contemporanea forte eruzione vulcanica di tipo esplosivo.

Come si vede la variabilità naturale presenta molti aspetti ancora oscuri che gli scienziati faticano a capire. Nel paper che ho esaminato, in particolare, le correlazioni tra grandezze fisiche prese in esame non sono uniformemente distribuite nel corso del millennio esaminato. Questo significa che, oggi come oggi, non abbiamo la certezza che il Sole sia il principale driver del clima terrestre. Lo studio dimostra che sono esistiti lunghi periodi di tempo in cui ciò si è verificato, mentre in altri periodi il legame tra clima e Sole è meno evidente.

Allo stesso modo non abbiamo la certezza che altre forzanti possano da sole alterare il clima terrestre. In altre parole questo studio dimostra, qualora ve ne fosse la necessità, che il clima terrestre è un sistema estremamente complesso che facciamo fatica a decifrare per cui la domanda che costituisce il titolo di questo post continua (e continuerà forse ancora per molto) a restare senza risposta.

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Published inAttualitàSole

9 Comments

  1. Martino Giorgioni

    Bel post.
    Mette in luce vari aspetti cruciali dello studio del clima.
    Innanzitutto mi incuriosisce il leggero disallineamento temporale tra le curve. Sicuramente ci imprecisioni nella datazione, ma potrebbe anche essere che la sincronicità non sia perfetta. A scala millenaria c’è buona corrispondenza, ma potrebbero esserci dei meccanismi che a scale più brevi accelerano o rallentano la risposta del sistema al forcing. È importante sottolinearlo per capire il limite di affidabilità delle informazioni che si possono trarre da questo record.
    Riguardo ai cicli di Milankvitch, è innegabile che esercitino un forcing climatico, amplificando o riducendo il contrasto stagionale e sulla scala delle decine-centinaia di migliaia di anni sono una delle forzanti più importanti. Tuttavia il loro contributo, soprattutto agli eventi di glaciazione, è ancora molto incerto. È stato osservato che le glaciazioni del pleistocene “fluttuano” con periodicità milankoviane, ma altri fattori (CO2, circolazione oceanica, ecc.) hanno contribuito ad iniziare la fase glaciale. Inoltre, la presenza dei ghiacciai polari non rende necessariamente il sistema più sensibile alle variazioni orbitali. Per esempio nel Cretaceo, quando non c’erano calotte polari permanenti, i record oceanici registrano molto bene le variazioni orbitali, quindi ci sono altri fattori che entrano in gioco in risposta a tali variazioni. Come conclude Donato: “il clima terrestre è un sistema estremamente complesso che facciamo fatica a decifrare”.

    • Claudio Costa

      interessante il suo commento
      dice.
      È stato osservato che le glaciazioni del pleistocene “fluttuano” con periodicità milankoviane, ma altri fattori (CO2, circolazione oceanica, ecc.) hanno contribuito ad iniziare la fase glaciale

      come e cosa avrebbe innescato il CO2? e a monte, cosa e come ha innescato l’aumento o la diminuizione del CO2 atmosferico nel passato?

    • Martino Giorgioni

      “come e cosa avrebbe innescato il CO2? e a monte, cosa e come ha innescato l’aumento o la diminuizione del CO2 atmosferico nel passato?”

      Questa è proprio la domanda da 100milioni. Al momento l’ipotesi più accreditata nel caso dell’ultima glaciazione è che la formazione della catena Alpino-Himalayana, e soprattutto del plateau del Tibet, abbiano portato in superficie una gran quantità di roccia che è stata rapidamente (geologicamente parlando) alterata e questo a portato a un sequestro di CO2 dall’atmosfera. Spiegazioni alternative invocano l’immagazzinamento del carbonio nell’oceano o nel permafrost in seguito a una prima fase di raffreddamento che poi ha innescato un feedback positivo. Sono tutte ipotesi interessanti, ma ancora molto difficili da verificare.

    • donato

      Innanzitutto grazie per l’apprezzamento.
      In merito al leggero sfasamento tra le curve, gli autori del lavoro sostengono che si tratta di un problema di datazione. L’ipotesi della non perfetta sincronicità, però, mi trova maggiormente d’accordo e mi sembra molto più logica. Come esiste uno sfasamento tra le variazioni della concentrazione di CO2 atmosferica e le temperature globali evidenziata dai dati proxy desunti dalle carote di ghiaccio antartico, allo stesso modo potrebbe esistere un disallineamento temporale tra i cicli solari e le variazioni delle precipitazioni. Completamente d’accordo circa il contributo delle correnti oceaniche, della CO2 atmosferica e via cantando all’instaurarsi delle fasi glaciali ed interglaciali. In particolare mi sembra improbabile l’instaurarsi di casi glaciali ed integlaciali senza il contributo delle enormi quantità di calore immagazzinate negli oceani. In altre parole le forzanti orbitali dovrebbero essere responsabili dell’innesco delle condizioni glaciali o interglaciali che, successivamente, potrebbero essere alimentate dalle restanti forzanti, prima tra tutte la circolazione oceanica (ipotesi dell’altalena bipolare, per esempio).
      Ciao, Donato.

  2. donato

    Claudio Costa e Gianni propongono due quesiti molto interessanti e strettamente connessi.
    Circa la tendenza della NAO ad assumere segno negativo durante i minimi solari rilevata nel corso del 20° secolo, gli autori dell’articolo non avanzano nessuna ipotesi esplicativa: si limitano a constatare il fenomeno e, contemporaneamete, fanno notare che non hanno trovato alcuna relazione tra numero di macchie solari e segno della NAO. Personalmente credo che qualche legame deve esserci anche perché uno studio pubblicato qualche mese fa, di cui abbiamo anche discusso qui su CM, metteva in relazione le estati calde verificatesi nel corso della parte finale del 20° secolo con l’indice NAO. Se tanto mi dà tanto credo che i massimi solari piuttosto intensi della fine dello scorso secolo abbiano un qualche legame con l’indice NAO ed i periodi caldi, così come i minimi solari con i periodi freddi. Sulla natura di questi legami non so esprimere alcuna ipotesi: lascio che se ne occupi chi lo fa per professione. La mia, ovviamente, è solo una considerazione di carattere qualitativo che lascia il tempo che trova, credo, però, che in un futuro non molto lontano questi legami potrebbero essere individuati in modo da poter inserire, come auspica G. Botteri, anche la variabilità connessa alle forzanti solari nei modelli matematici.
    Ciao, Donato.

    • Donato, ormai alcuni anni fa (ebbene sì, ormai ragioniamo in questi termini su CM), abbiamo pubblicato un post di commento a un lavoro di ricercatori itliani della Cà Foscari sulle maree nella Laguna Veneta. In quel lavoro, si ipotizzava una correlazione tra gli eventi di marea e la NAO e tra quest’ultima e i cicli solari, a conferma di quello che stiamo dicendo. Il post è intitolato “Sole nella laguna veneta”.
      gg

  3. Gianni

    Secondo la teoria di Milankowitch .accettata da tutti.piccole variazioni degli elementi orbitali terrestri che determinano piccole variazioni della radiazione solare ricevuta dalla terra, protratte per lungo tempo, hanno determinano le grandi glaciazioni.Perchè negare allora una qualche influenza solare sui periodi freddi minori che si sono succeduti abbastanza regolarmete nel passato?

    • Guido Botteri

      Ottima osservazione, Gianni, ma ha un “difetto”, presuppone “coerenza” da parte di chi si “sa” che le variazioni dell’energia dal Sole causano grosse differenze climatiche, ma poi considera il Sole una costante nei suoi modelli climatici !

  4. Claudio Costa

    molto interessante Cito “L’indice NAO, come risulta da misurazioni relative a buona parte del 20° secolo, nel periodo invernale tende ad assumere valori negativi durante i minimi solari.”

    Qualcuno sa il perchè?

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