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L’Aurora Illumina Nature

“Le Aurore sono tra gli eventi più spettacolari che si possono osservare nel cielo. L’ovale delle aurore copre la maggior parte delle aree artiche e antartiche sulla Terra, tipicamente tra 10° e 20° dai poli magnetici. Le aurore sono eventi di tempo spaziale regolati dal Sole, dall’eliosfera e dalla magnetosfera terrestre. Le aurore generate dalle eruzioni solari più potenti possono occasionalmente essere osservate alle medie e basse latitudini, con beneficio delle numerose serie temporali, relative in particolare ai paesi dell’Europa centrale e meridionale.”

 

Quelle appena riportate sono le prime righe dell’ultimo lavoro di Nicola Scafetta, un paper recentemente pubblicato e leggibile sulla pagina web personale dell’autore.

 

Planetary harmonics in the historical Hungarian aurora record (1523–1960) – Scafetta & Wilson 2013.

 

Come abbiamo già avuto modo di leggere e commentare anche con contributi diretti proprio di Nicola Scafetta, con questo lavoro prosegue l’esplorazione del filone di ricerca che riguarda la modulazione dell’attività solare – e quindi anche del clima terrestre – operata dai moti planetari.

 

In questa occasione, per testare l’ipotesi precedentemente avanzata di un contributo astronomico alle oscillazioni dell’attività solare, viene presa in esame la serie storica degli avvistamenti di aurore boreali ungherese, un dataset di informazioni che, come leggiamo nel titolo del paper, arriva a coprire circa 500 anni ed è quindi consistentemente più lungo delle serie storiche relative all’osservazione delle macchie solari. L’idea nasce dall’individuazione di alcune ciclicità nei moti planetari che trovano conferma anche nelle serie storiche della temperatura globale più longeve  e che, stando a quanto riportato in quasto paper, sono individuabili anche nella serie storica degli avvistamenti delle aurore boreali che diventano perciò un indice della frequenza di occorrenza delle eruzioni solari più potenti. Basandosi su questo indice Scafetta e Willson hanno costruito un modello di armoniche regressive che riproduce efficacemente la fase di scarsa attività solare degli anni ’70 del secolo scorso e che prevede la persistenza dell’attuale fase di attività solare molto bassa con raggiungimento di un minimo intorno al 2030. In fondo non stiamo parlando dei cambiamenti climatici del prossimo secolo, non ci vorrà molto per confermare la validità dell’ipotesi.

 

Scafetta&Willson_Fig1

 

Ma che c’entra Nature, specie considerato il fatto che il mainstream scientifico ha sempre dimostrato molto scetticismo sulle teorie che legano i moto planetari all’attività solare e, ancora di più all’influenza che quest’ultima avrebbe sulle dinamiche del clima?

 

Leggendo l’articolo di Scafetta & Willson, si trova il riferimento ad un altro lavoro uscito nel 2012:

 

Is there a planetary influence on solar activity? – Astronomy & Astrophysics, Abreu et al 2012

 

In questo paper gli autori utilizzano dei dati di prossimità dell’attività solare e li mettono a confronto con le periodicità dei moti planetari giungendo alla conclusione che “In base alle osservazioni si propone l’ipotesi che l’attività magnetica solare di lungo periodo sia modulata da effetti planetari. Se corretta, la nostra ipotesi ha implicazioni importanti per la fisica solare e per la connessione Terra-Sole.

 

Solo la stessa idea? Non proprio, perché su Nature Paul Charbonneau propone un articolo di commento che sottolinea l’importanza scientifica di questa ipotesi qualora dovesse essere confermata.

 

The planetary hypothesis revived

 

Vi riporto le conclusioni:

 

[…] l’importanza potenziale dell’ipotesi di Abreu e dei suoi colleghi non può essere trascurata. Se dovesse rivelarsi corretta, potrebbe costituire una solida base per previsioni (e ricostruzioni) di lungo periodo dell’attività solare. Questo sarebbe di grande beneficio per gli attuali tentativi di quantificare l’influenza passata e futura nel lungo epriodo dell’attività solare sull’ambiente spaziale terrestre, sull’atmosfera e sul clima. Per riassumere, quello che abbiamo qui è un accordo con le osservazioni che nessun altro paradigma esistente ha mai raggiunto, condito con una spiegazione congetturale dellos cenario fisico che è almeno fino a un certo punto verificabile. Potrebbe alla fine saltar fuori che è sbagliato, ma questa non è certamente astrologia. Questa è scienza.

 

Ah, per chi dovesse essersi perso i nostri precedenti commenti ai lavori di Nicola Scafetta, vale la pena ricordare che lo scenario dell’andamento delle temperature medie globali da lui ipotizzato tenendo conto della relazione Pianeti-Sole-Clima, regge almeno sin qui il confronto con la realtà molto meglio di quanto non facciano i GCM a guida CO2.

 

image33

 

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Published inAttualitàSole

9 Comments

  1. Ancora viene fuori l’influenza planetarianei record di quantità osservabili e osservate e ancora l’uso delle armoniche estese al di là delle osservazioni fornisce una previsione di raffreddamento nei prossimi 10-15 anni. Ottimo lavoro.
    Ho provato a riprodurre gli spettri dell’articolo (non per controllo, ma solo per verificare la presenza del picco a 2.87 anni) ma non ho trovato scritto come sono stati trattati i dati che, per lo spettro, dovrebbero essere a passo costante mentre presentano “buchi” anche di 10-15 anni. C’è un accenno all’inizio del paragrafo 2 al fatto che è stata usata una media mobile a passo 11 anni, ma non credo che sia stato fatto lo spettro della media mobile.
    Per riprodurre i dati, io ho usato un valore zero per le aurore negli anni mancanti e credo di ottenere un risultato molto simile a quello dell’articolo (vedere qui i grafici e i dati numerici). Per sicurezza ho fatto lo spettro anche della media mobile (acronimo MEMO) e trovo risultati compatibili con i dati precedenti, Anche se riportato nel sito, non ho fatto lo spettro dei dati smussati con un filtro passa-basso (SMOOTH).
    Dopo tutti questi controlli ho verificato che ancora una volta un dataset legato al Sole non mostra il picco a 2.87 anni.

    • donato

      Franco, ieri, mentre leggevo questo post, ho pensato che sarebbe stato interessante confrontare gli spettri di potenza di questo dataset con quelli delle temperature NOAA. Detto, fatto! Oggi, approfittando del tuo ottimo lavoro ho confrontato (qualitativamente) gli spettri di potenza che hai elaborato a partire dai dati delle aurore con quelli relativi alle temperature che seguiamo da oltre un anno ed ho potuto notare che il data set delle aurore è molto più ricco di periodi di quello delle temperature. I periodi dei due record di dati, inoltre, appaiono sovrapponibili solo in parte. In particolare ho l’impressione che i periodi di 4-5 anni, 9-10 anni, 21-22 anni tendono a sovrapporsi mentre quello di 56 anni del record delle aurore mi sembra un po’ distante da quello di 66 anni delle temperature. Concordo con te sul fatto che il periodo di 2,87 anni tende a non essere presente nei dati riferiti al Sole per cui, probabilmente, ha altre cause. Più problematico mi sembra, infine, il caso del periodo di 156 anni che appare piuttosto diverso dal “defunto” periodo di 211 anni che appariva nei vecchi record delle temperature prima delle omogeneizzazioni.
      Ciao, Donato.

    • Donato, purtroppo credo sia più complicato. Quello delle aurore è un dataset
      omogeneo, per quanto fatto con misure visuali (ma ricordo che i vecchi astronomi
      di quando ero giovane si vantavano di avere “l’occhio fotometrico”, cioè
      facevano misure di luminosità ad occhio e le facevano abbastanza bene) e con
      molti buchi, e copre 438 anni; i dati noaa coprono solo 140 anni, riguardano
      i due emisferi e terra + oceano (almeno il “global” che uso io) e sono variamente
      elaborati.
      Mi aspetto che la quantità e la qualità dei massimi dello spettro vari molto
      nei due casi. Ad esempio, guarda nel link come cambia lo spettro rispetto a
      quello originale se uso i dati smussati con la media mobile o con uno filtro
      tramite le trasformate di Fourier, anche se i dati di partenza sembrano molto
      simili.
      Credo sia per questo che Scafetta usa intervalli ampi per i periodi (tipo
      150-185 anni per il periodo riferito a 171.4 anni) e tratta ampiamente, e per
      me correttamente, quest’ultimo periodo e le sue armoniche, anche se nello
      spettro delle aurore proprio non si vede.
      Per i periodi noaa “defunti”, vista la periodicità di 10-12 mesi dei massimi
      “vivi”, mi viene in mente che forse esiste anche per loro una qualche
      periodicità e che invece di dichiararli defunti tout-court forse bisogna
      registarne la potenza ai periodi nominali (62 e 211 anni), mese dopo mese, e
      vedere se c’è qualche variazione.
      Ciao, Franco

    • donato

      “Per i periodi noaa “defunti”, vista la periodicità di 10-12 mesi dei massimi
      “vivi”, mi viene in mente che forse esiste anche per loro una qualche
      periodicità e che invece di dichiararli defunti tout-court forse bisogna
      registarne la potenza ai periodi nominali (62 e 211 anni), mese dopo mese, e
      vedere se c’è qualche variazione.”
      Giusto! Potrebbe darsi che ci troviamo in una fase di minimo. Anche in questo caso bisogna aspettare. 🙂
      Per il resto credo che tu abbia ragione e che il paragone tra fenomeni locali (come le aurore) e globali (come le temperature NOAA) potrebbero essere fuorvianti. Ciò non toglie, però, che come dati di prossimità possano avere un qualche riscontro se, come sembra, le temperature del nord emisfero influenzano molto quelle globali.
      Ciao, Donato.

    • Augusto Leonardi

      @ zavatti
      “non ho trovato scritto come sono stati trattati i dati che, per lo spettro, dovrebbero essere a passo costante mentre presentano “buchi” anche di 10-15 anni.”
      non ho il tempo per fare personalmente delle prove su quei dati, ma forse e’ stato usato il metodo di Lomb che non ha bisogno di campionamento uniforme.

    • Si, e’ stato usato il metodo di Lomb (fig.2), ma in fig.3a c’e’ anche lo spettro MEM e Scafetta usa sempre questo tipo di spettro, associandolo a MTM e Lomb. Quindi mi aspetto che il dataset sia stato reso uniforme in qualche modo.e direi, vista la somiglianza con il mio risultato, che sia stato fatto riempiendo con zeri i buchi. Ma avrei preferito vederlo scritto.

    • Augusto Leonardi

      Ok, non avevo ancora visto il paper; chiedo venia.
      Augusto

    • Ma quale venia! Anzi, grazie di cuore. Dopo il tuo commento mi sono deciso a scrivere il programma per calcolare Lomb e l’ho applicato ai dati originali (non uniformi) di Scafetta. Ho anche trovato un pacchetto (PAST) norvegese che calcola Lomb e Redfit (e molto altro) e ho confrontato i miei risultati con i risultati di questo pacchetto (purtroppo solo per Windows). Il tutto nel link riportato nel mio primo commento.

  2. Guido Botteri

    L’inclinazione dell’asse terrestre determina l’alternarsi di inverno ed estate, con grande impatto sul clima, per una variazione di temperature di molti gradi, anche decine, come devono riconoscere anche coloro che si preoccupano delle variazioni climatiche che sarebbero indotte dalla CO2, il cui raddoppio porterebbe, preso singolarmente, all’aumento di un solo grado…niente rispetto alle differenze di temperature indotte da estate-inverno, giorno-notte, polo-equatore.
    Perché dunque dovremmo stupirci che anche piccolissime variazioni astronomiche non possano determinare trend di riscaldamento o raffreddamento ?
    Il nostro sistema solare è tutto meno che sempre uguale, anzi è in continuo cambiamento, anche perché gli effetti di quei colossi (Giove e Saturno) che si trovano sempre in posizioni diverse rispetto alla coppia Sole-Terra, non sono nulli, come dimostrano anche gli studi di Scafetta.
    Il mainstream ha una visione statica del Sole e dei moti del nostro pianeta, che non corrispondono alla realtà.
    Secondo me.

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