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Clima che cambia ed eventi estremi, ora c’ho le prove!

Un’immagine non nuova ma che ogni tanto bisogna ‘rinfrescare’. Che ne dite, è vendibile il fatto che in questi anni di global warming ruggente gli eventi atmosferici stiano diventando sempre più pericolosi?

extreme weather

Da qui.

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Published inAttualità

12 Comments

  1. Volevo solo dire che le cose possono esser viste da diversi punti di vista. Per quanto riguarda poi i risultati é difficile dare una interpretazione univoca, sia al numero di vittime direttamente dovute agli eventi estremi (difficile per esempio determinare quante siano quelle dovute alle ondate di calore), sia ai danni economici, sia alla determinazione dell´intensitá degli eventi. Quasi impossibile al momento valutare e dare un trend all´intensitá di sistemi convettivi e cicloni tropicali, infatti esistono molti studi con risultati contradditori. Personalmente ritengo che sia assurdo lamentarsi dei danni (economici, umani o di altro genere) dovuti ai fenomeni naturali perché sappiamo che avverranno e nella maggior parte dei casi anche dove avverranno, i danni maggiori sono dovuti all´antropizzazione.

  2. Torno in tema. Bisogna vedere cosa si intende per “pericolosi”. La diminuzione dei morti e´ dovuta all´avanzamento della tecnologia, con il passare del tempo siamo in grado di prevedere e soprattutto monitorare sempre meglio gli eventi estremi e prendere provvedimenti, siamo in grado di prevenire e adattarci. Se pero´ la pericolosita´ la misuriamo dal punto di vista economico, questo non e´ altrettanto vero perche´ i danni economici prodotti dagli eventi estremi aumentano e continuano ad aumentare.

    • Riccardo, è vero, c’è abbondante letteratura su questo argomento. Ma è pur vero che proprio da quella apprendiamo anche che i costi, se normalizzati, cioè corretti dall’aumento di ciò che può essere soggetto a danneggiamento, sono stabili. Anche questo è un segnale dal quale non si può estrarre un aumento della frequenza e intensità degli eventi estremi.
      gg

    • Guido Botteri

      Un terremoto nella preistoria avrebbe distrutto delle capanne, magari di paglia, praticamente vuote.
      Danno economico ? Quasi nullo.
      Vittime umane ? Tante, a cui aggiungere le solite vittime umane assassin…ehm, volevo dire “sacrificate” per calmare l’ira deglòi dèi…
      Cosa è successo nel frattempo ?
      Quelle capanne sono diventate a volte costosissime ville o palazzi, piene e pieni di ogni ricco prodotto di una civiltà sempre più evoluta, che produce manufatti sempre più abbondanti e costosi, e che, permettendo una maggiore, più numerosa e più lunga vita, produce un aumento della popolazione che finisce per occupare anche luoghi pericolosi, dove sono ben noti i pericoli naturali.
      Quando arriva la catastrofe, invece di distruggere poche capanne vuote senza valore, e fare un numero di vittime pauroso (anche in rapporto percentuale),
      distrugge opere costose piene di prodotti costosi… ma in compenso fa molte meno vittime, soprattutto se colpisce zone sviluppate, tipo Giappone, dove le vittime per terremoti sono veramente minime.
      Vittime ne fa numerose se colpisce qualche Paese ancora sottosviluppato, dove però fa un danno economico minore.
      Lamentarsi dei danni economici come se la potenza degli eventi catastrofici fosse aumentata è dunque una sciocchezza.
      E’ l’economia che ha raggiunto livelli diversi, non la potenza delle catastrofi.
      E se, per avere meno danni, distruggiamo l’economia, avremo più vittime umane.
      Secondo me.

    • Luigi Mariani

      Gentile Matteo,
      la ringrazio per la domanda che è un pò fuori tema (e qui spero nella comprensione di Guido Guidi) ma che è per me di grande interesse sul piano professionale, per cui farò il possibile per risponderle in modo adeguato.
      Anzitutto debbo dirle che purtroppo non sono stato in grado di disporre dell’articolo originale uscito su Nature Climate Change, per cui il mio commento si baserà sulla lettura dell’abstract .
      A prima vista il fenomeno rilevato dai ricercatori mi pare ragionevole nel senso che le piante investono una quota elevata dell’azoto da esse assimilato (di solito come nitrato) nel produrre Rubisco che è la proteina che sta nelle foglie e che è l’accettore della CO2 atmosferica. Pertanto se CO2 in atmosfera aumenta, le piante hanno bisogno di meno Rubisco per “acchiappare” CO2 e dunque introitano meno azoto nitrico per produrlo.
      Il problema che colgo è che le proteine dei cereali di cui ci nutriamo non sono tanto quelle fogliari quanto quelle della granella (e un buon grano duro deve avere almeno il 13% di proteine nella granella). La granella acquisisce l’azoto che le occorre in parte da foglie e dai fusti (che rimobilizzano il loro azoto quando, approssimandosi la maturazione, vanno in senescenza) ed in parte dal terreno per assorbimento radicale.
      Mi pare dunque un po’ azzardato lanciare un allarme ragionando (come fanno gli autori di Narure e quelli di Le Scienze) di azoto fogliare, nel senso che occorre invece ragionare di cosa accade al tenore in azoto della granella dei cereali. In altri termini al crescere dei livelli atmosferici di CO2 si associa davvero un calo delle proteine nella granella? Questa è la domanda che ci si deve porre rispondendo con sperimentazioni ad hoc, cosa che gli autori dell’articolo di Nature si sono a quanto pare ben guardati dal fare.
      Per cercare di dare una risposta a tale domanda ho cercato in rete ed al sito http://www.piccc.org.au/sites/piccc/files/Final%20Report%20-%20adaptation%20wheat%20types_1.pdf ho trovato i risultati di un interessantissimo lavoro commissionato all’Università di Melbourne da un ente pubblico australiano (the Australian Commonwealth Department of Agriculture, Fisheries and Forestry through its Climate Change Research Program). Da tale lavoro in estrema sintesi emergono i seguenti dati per le 2 varietà indagate:
      – la varietà H45 trattata con CO2 ambiente attuale (390 ppmv) produce 7.31 t/ettaro di granella che contiene il 18.5% di proteine, il che corrisponde ad un accumulo di proteine pari a 1.35 t/ettaro. La stessa varietà trattata con alta CO2 (550 ppmv) produce 8.78 t/ettaro di granella che contiene il 16.3% di proteine (per passare da azoto a proteine ho usato il moltiplicatore standard 6.25), il che corrisponde ad un accumulo di proteine pari a 1.43 t/ettaro.
      – la varietà Silvester trattata con CO2 ambiente attuale (390 ppmv) produce 7.07 t/ettaro di granella che contiene il 18.8% di proteine, il che corrisponde ad un accumulo di proteine pari a 1.33 t/ettaro. La stessa varietà trattata con alta CO2 (550 ppmv) produce 8.68 t/ettaro di granella che contiene il 17.4% di proteine, il che corrisponde ad un accumulo di proteine pari a 1.51 t/ettaro.
      In sostanza dunque aumentando la CO2 da 390 a 550 ppmv la produzione aumenta sensibilmente ed aumenta anche il quantitativo di proteine prodotto per ettaro mentre la concentrazione percentuale delle proteine stesse nella granella diventa leggermente più bassa.
      Quel che noto è che quando gli australiani presentano i risultati parlano solo di valore percentuale e non di quantitativi di proteine raccolti per ettaro. Quest’ultimo dato, che ho ricavato io con miei conteggi, mi pare di grande rilevanza per stabilire cosa sia meglio (alta o bassa CO2).
      E qui debbo dire che in base ai dati sui grani australiani, l’opzione “alta CO2” mi pare quella nettamente più favorevole, perché rispetto ai livelli di CO2 attuali la produzione di granella per ettaro aumenta del 20% per H45 e del 23% per Silvester mentre la produzione di proteine per ettaro aumenta del 6% per H45 e del 13% per Silvester. La modesta riduzione in percentuale delle proteine stesse non mi spaventa più di tanto alla luce del fatto che anche con alta CO2 siamo comunque su livelli percentuali di proteine da record mondiale (per inciso i grani australiani sono fra i migliori del mondo per percentuale di proteine, niente a che vedere con i nostri “famosi” grani italiani che spesso si fermano al 13-14%) .
      Spero di essere stato sufficientemente chiaro.

    • matteo

      Chiarissimo e molto interessante. Se posso permettermi una deduzione , alla luce di queste analisi, paventare una riduzione del 3% del totale delle proteine vegetali disponibili per l’alimentazione causate dall’aumento di CO2 mi pare come minimo pessimistico.
      Grazie Professore e stato molto gentile
      Matteo Baldinini

    • Luigi Mariani

      Se stiano ai dati australiani che le ho citato direi che paventare una riduzione del 3% del totale delle proteine vegetali disponibili per l’alimentazione causate dall’aumento di CO2 è come minimo pessimistico. E glie lo dico anche per un altro motivo: svariate evidenze (riassunte ad esempio qui: Roger etal 2009. Will Elevated Carbon Dioxide Concentration Amplify the Benefits of Nitrogen Fixation in Legumes?, Plant Physiology, November 2009, Vol. 151, pp. 1009-1016http://www.plantphysiol.org/content/151/3/1009.full.pdf) indicano che la sintesi di proteine da parte delle leguminose, che come sappiamo sono fra le pochissime specie vegetali in grado di sfruttare direttamente l’azoto atmosferico grazie ai batteri che sono in simbiosi con le loro radici, è attesa in aumento al crescere dei livelli di CO2 atmosferica, per cui quel poco che perderemo con il frumento lo guadagneremo con soia, fagioli, piselli, lenticchie, ecc. Insomma: se immaginiamo che l’income proteico da cereali cali non si preoccupi che qualcuno compenserà la cosa producendo più soia e magari facendo pane di cereali + soia, il che non fa altro che ricalcare costumi antichissimi: le leguminose (fava, pisello, ceci, lenticchie) furono le prime specie ad essere domesticate nella mezzaluna fertile insieme a fumento e orzo e nelle tombe egizie del 2400 a.C. si è trovato pane fatto con grano e di lenticchie.

  3. Mario

    E no! Questi sono dati reali, non valgono. Nella nostra epoca digitale valgono solo le previsioni, proiezioni, estrapolazioni, ecc…… 🙂

  4. Luigi Mariani

    Caro Guido, quanto scrivi è a mio avviso da censurare (ed in tal senso auspico un deciso intervento delle autorità competenti) perché i dati che citi, peraltro rigorosamente veri, potrebbero far nascere dubbi nel gregge. Analogo discorso vale per i dati che seguono:
    – la Produzione procapite mondiale (kg/essere umano) di mais+soia+frumento+riso è passata dai 220 kg del 1961 ai 360 kg odierni (fonte: elaborazioni su dati Faostat – http://faostat3.fao.org/faostat-gateway/go/to/download/Q/QC/E)
    – dal 1961 al 2012 la produzione unitaria mondiale (tonnellate per ettaro) delle quattro colture chiave per l’alimentazione umana è passata da 2 a 5 per il mais, da 2 a 4.3 per il riso, da 1 a 3 per il frumento e da 1 a 2.5 per la soia (fonte: Faostat – http://faostat3.fao.org/faostat-gateway/go/to/download/Q/QC/E)
    – la mortalità infantile mondiale espressa come numero di morti per ogni 1000 nati vivi è passata dai 140 moti del 1950-55 ai 40 attuali (fonte: ONU – World population prospects – http://esa.un.org/wpp/unpp/panel_indicators.htm)
    – la speranza di vita alla nascita a livello mondiale è passata dai 45 anni del 1950 ai 70 anin attuali (fonte: ONU – World population prospects – http://esa.un.org/wpp/unpp/panel_indicators.htm)
    Si tratta di dati che evidenziano i grandi meriti dell’agricoltura (cibi sani come mai lo furono in passato e con una disponibilità mai vista in passato) e della medicina (metodi di cura impensabili fino ad alcune decine d’anni orsono).
    Ovviamente si tratta di dati che scottano nel senso che la censura del politically correct li esclude costantemente dai media. Ti immagini infatti un telegiornale o un grande quotidiano che, sottraendosi per una volta al luogo comune, titolasse su dati di questo tipo? Sarebbe un atto sommamente rivoluzionario (un po’ come quello del bimbo che gridò “il re è nudo”) poichè farebbe immediatamente cadere nel ridicolo l’indegna solfa che tutti i giorni ci viene propinata e secondo cui l’agricoltura tecnologia avvelena la gente, la medicina è solo malasanità o il clima è per definzione “impazzito”.
    In termini più generali temo che la funzione dei grandi media sia da tempo diventata quella di manipolare le opinioni dei cittadini più che di render conto della realtà delle cose. Lascio poi ad ognuno di noi l’inevitabile domanda: cui prodest?.

    • Luigi Mariani

      big brother, Big Brother….in effetti l’analisi di Horwell, che di mondo ne aveva visto parecchio nella sua non lunga vita, potrebbe non essere così peregrina
      LM

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