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Il Clima del futuro? La chiave è nel passato.

Quello che vi presentiamo oggi è il frutto di un lungo e impegnativo lavoro di ricerca che Carlo Colarieti Tosti ha intrapreso nei mesi scorsi. Sono argomenti sui quali abbiamo discusso e ci siamo confrontati per parecchio tempo, giungendo alla stesura di un documento che da un lato rappresenta il sunto dell’idea che ci siamo fatti del funzionamento delle dinamiche atmosferiche di medio e lungo periodo, dall’altro è evidenza numerica di quella stessa idea. Al contempo, è anche un lavoro che suggerisce un ruolo determinante delle oscillazioni naturali nel complesso delle dinamiche del clima, concentrandosi solo ed esclusivamente sulla natura dei dati e sull’interpretazione numerica e non soggettiva degli stessi. E’ inoltre in buona sostanza lo sviluppo dei concetti che avevamo avuto modo di introdurre e anticipare nella compilazione dell’outlook stagionale.

Come avrete modo di leggere, in tutto il documento non si fa mai cenno alla temperatura media superficiale, variabile che a nostro avviso oltre a non rappresentare l’integrale del sistema è anche troppo facilmente soggetta a trattamento statistico delle serie che finisce per alterarne il significato, se non per sottolineare che le oscillazioni dello stato termico medio sono in larga misura l’effetto e non la causa delle dinamiche del clima. Dinamiche che invece hanno per protagonista la massa atmosferica, ovvero la distribuzione dei centri di moto e delle relative zone di contatto, specie per quel che concerne la diversa distribuzione della massa tra le alte e le basse latitudini, cioè per la posizione latitudinale del Fronte Polare.

Quella che segue è l’introduzione al testo. In fondo il link per scaricarlo per intero in pdf.

Il Clima del futuro? La chiave è nel passato.

Cambiamenti climatici: le oscillazioni latitudinali multidecadali del vortice circumpolare e le conseguenze per le medie latitudini e per il Mediterraneo centro-occidentale

Con questa ricerca cercheremo di inquadrare con la massima attenzione la situazione attuale della circolazione generale dell’atmosfera cercando di ipotizzare dei possibili scenari del futuro prossimo. Questa ricerca si baserà sull’analisi attenta dello storico climatico a partire dal 1948 anno in cui iniziano i dati di rianalisi mensili dell’NCEP/NCAR. Evidenzieremo le oscillazioni naturali, punto cardine di un qualsivoglia tentativo di ipotesi di evoluzione climatica futura. Senza una conoscenza delle cause o comunque delle variazioni naturali del clima è a nostro avviso impossibile proporre ipotesi sul futuro climatico del pianeta.

Prima di addentrarci nella ricerca si ritiene opportuno, al fine di fugare dubbi e incomprensioni, fare un identikit del vortice polare, elemento portante di qualunque caratteristica climatica. Il fiume di correnti d’alta quota troposferica, facente capo alla corrente a getto, oscilla periodicamente e riceve energia dalla grande quantità di calore latente e sensibile proveniente dalle basse latitudini oceaniche e dall’attività convettiva troposferica, soprattutto delle zone equatoriali. Probabilmente esistono anche altri contributi, al momento poco noti, che ad esempio possono essere ricondotti all’attività solare attraverso modifiche, anche chimiche, dell’alta atmosfera.

La sensibilità del vortice polare ad anche modeste variazioni di calore trasmesse dalle basse latitudini è cosa nota e in grado di produrre anche profonde modifiche alla circolazione generale. Infatti variazioni di trasporto di energia corrispondono a reazioni del vortice circumpolare attraverso la modifica della posizione del fronte polare, la variazione del numero di onde e la loro ampiezza, compresa la capacità di penetrazione verso le basse latitudini.

Quanto appena descritto corrisponde ad una conseguente variazione dei centri di moto principali (basse e alte pressioni) corrispondenti a loro volta ad una variazione di massa del sistema. La conseguenza è lo spostamento latitudinale del fronte polare che corrisponde ad una variazione areale della presenza di zone barotropiche ovvero nuvolosità e di precipitazioni, nonché di superficie occupata da aria di origine polare o subtropicale.

A questo punto, semplificando, risulta più chiaro che le variazioni climatiche corrispondono in ultima analisi a variazioni latitudinali della posizione del fronte polare. Espansioni corrispondono a climi più rigidi quando l’aria polare si estende verso sud determinando un abbassamento latitudinale del flusso zonale. Contrazioni corrispondono a climi più miti quando l’aria subtropicale si estende verso nord determinando una contrazione del flusso zonale verso più alte latitudini. Nel vocabolario comune tali oscillazioni, che sono estremamente comuni nel periodo invernale, corrispondo rispettivamente a classificazioni di circolazione rapida e circolazione lenta ovvero ad alto o basso indice. Quella rapida, dunque, corrisponde a getti pressoché zonali e bassi di latitudine, quella lenta produce ampie ondulazioni del flusso in senso meridiano determinando un notevole trasporto di calore per avvezione di aria subtropicale in grado di raggiungere vaste aree a latitudini settentrionali.

Prestando maggiore attenzione queste variazioni di circolazione le sperimentiamo ogni anno e corrispondono alle variazioni stagionali. L’inverno è mediamente caratterizzato da un intensificazione del flusso con imposizione di una circolazione di tipo zonale, mentre la stagione estiva è mediamente caratterizzata da un suo rallentamento proponendo una prevalente circolazione di tipo meridiano. Quindi i periodi freddi sono impressi da una profonda e intensa circolazione zonale o antizonale, mentre i periodi caldi sono contraddistinti da circolazioni a prevalente carattere meridiano.

Accennando direttamente al clima europeo, ed in particolare dell’Europa meridionale, possiamo immaginare che i periodi con clima di tipo fresco/freddo siano caratterizzati da ingressi di aria polare marittima con circolazione prevalente zonale a basse latitudini o anche, nel periodo invernale, da flussi antizonali con retrogressioni di aria polare continentale per durature formazioni di alte pressioni alle alte latitudini. Nei periodi climaticamente caldi la circolazione accentua gli scambi di calore meridiani con masse d’aria tropicale marittima o tropicale continentale e le azioni fredde invernali sono il risultato di configurazioni sinottiche di blocco atlantico con ingressi artico marittimi o meno frequentemente di tipo artico continentale, per tilting delle figure di blocco. Tale circolazione è il risultato di prevalenti scambi lungo i meridiani con flusso zonale relegato a più alte latitudini.

In base a queste affermazioni le variazioni di temperatura media  del pianeta rappresentano l’effetto e non la causa dei cambiamenti climatici.

Per scaricare il resto click sull’immagine. Attenzione perché è un po’ pesante.

Il Clima del futuro

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Published inAttualità

6 Comments

  1. Luigi Mariani

    In fatto di indici circolatori (specie per quelli basati su differenze della pressione al suolo fra due punti) c’è moltissimo in bibliografia perchè si tratta di indici facili da calcolare, tant’è vero che Walker ne definì una serie già all’inizio del Xx secolo.
    Circa l’area mediterranea segnalo che potrebbe essere interessante utilizzare il Mediterranean Oscillation Index (MOI) messo a punto dall’amico Michele Conte e che considera la differenza di pressione al suolo fra parte ovest e parte est del bacino (es. fra Algeri e Il Cairo). MOI è segnalato ad esempio nel sito della CRU (http://www.cru.uea.ac.uk/cru/data/moi/).

  2. Aldo Meschiari

    Gentile dott. Colarietti Tosti,
    il suo lavoro mi ha impressionato.
    Attraverso un metodo rigoroso ha individuato due indici che possono essere molto utili per capire meglio le variazioni della complessa circolazione emisferica e regionale.
    Molto interessante lavorare sulla massa troposferica e sulle sue variazioni: variazioni della distribuzione della massa troposferica, in ossequio al principio della conservazione della stessa.
    L’indice ECT mi sembra molto interessante, più completo dell’indice AO.
    L’indice EID ricorda certo l’EA, ma mi sembra più preciso perchè individua chiaramente un dipolo barico che è anche l’area a maggiore variazione dell’estensione del vortice circumpolare. Certamente chi studia le carte bariche da anni si è reso conto che tra GB e Mediterraneo centrale non poteva non esistere una contrapposizione, basti pensare ai WR.
    Se posso dare un consiglio: sarebbe utile avere delle carte più chiare e precise delle variazioni dei due indici, centrate sul NE, sull’Euro-Atlantico e sull’Italia.

    Infine mi riservo di rileggere il suo studio, che presenta numerosi spunti che vanno ben compresi.
    Aldo Meschiari

    • Egregio dott. Meschiari,
      la ringrazio per il bel commento.
      Come ha ben evidenziato l’indice ECT dimostra delle peculiarità interessanti perché indaga sugli spostamenti di massa che sono per definizione alla base di qualsiasi modifica della circolazione generale. L’indice EID risulta invece essere più efficace dell’indice NAO nell’interpretare le possibili condizioni atmosferiche nel bacino centrale del Mediterraneo.
      Ovviamente la ricerca apre ad ulteriori approfondimenti, alcuni dei quali già segnalati nel testo stesso.
      In caso lo ritenesse opportuno rimango aperto a qualunque interessante confronto.
      Carlo Colarieti Tosti

  3. Luigi Mariani

    Ho trovato la lettura dello scritto di Carlo Colarieti Tosti molto istruttiva perché mi ha permesso di contestualizzare alcune considerazioni che vado facendo con riferimento al livello barico di 850 hPa, su cui per vecchie abitudini mi trovo a lavorare con più facilità. In particolare segnalo quanto ho scritto alcune settimane orsono a chiusura di una nota di commento all’annata viticola redatta per il Corriere Viticolo (le mie considerazioni si riferivano alla posizione media dell’isoipsa di 1490 m, arbitrariamente assunta come limite della zona a dominio anticiclonico):
    “Una domanda però sovrasta tutte le altre: le anomalie meteorologiche dell’annata 2014, sono solo un’eccezione? La debolezza dell’anticiclone delle Azzorre sulla nostra area è un fatto straordinario e destinato a non ripetersi o fa parte di una tendenza evolutiva della circolazione con cui dovremo confrontarci anche nei prossimi anni? Un risposta esaustiva non è possibile e a fronte dell’enorme variabilità del clima europeo dobbiamo in tutta onestà dire “chi vivrà vedrà”. Tuttavia proviamo per un attimo ad osservare (figura 6) le tre carte circolatorie medie annue dell’altezza di 850 hPa (circa 1500 m di quota). In esse la posizione dell’anticiclone delle Azzorre è evidenziata in giallo. Si noti che nel periodo fresco 1969-1988 (prima del cambiamento climatico europeo cui si è fatto cenno all’ inizio dell’articolo) l’anticiclone è stato molto più arretrato verso sud rispetto il periodo caldo 1989-2008 (in quest’ultimo il margine dell’anticiclone corre sulla Germania meridionale mentre nel periodo 1969-1988 correva 1000 km più a Sud, sulla Campania settentrionale). Si noti inoltre che il periodo 2009-2014 ripropone una posizione dell’anticiclone atlantico assai più simile a quella del periodo fresco 1969-1988 che non a quella del periodo caldo 1989-2008. Lasciamo al lettore ogni conclusione in merito.”

    Concordo anche sul fatto che l’Europa è una delle zone più esposte agli effetti della variabilità climatica, se non altro per il fatto che se si analizza la frequenza longitudinale delle situazioni di blocco ci si accorge che a 0° di longitudine si ha il massimo assoluto (ed i blocchi significano ondate di caldo o di freddo, fasi piovose e siccitose, ecc.)
    Come possibile sviluppo del lavoro (che tocca tantissimi temi, per cui di lavori pubblicabili su riviste scientifiche ne comprende sicuramente più di uno) mi viene in mente il seguente: il periodo 1948-2013 è lungo in termini meteo ma non in termini climatici. Mi domando allora se non sia possibile reperire dei proxies in grado di estendere al passato i diagrammi che stanno alla base del lavoro. Fra i proxies più papabili mi vengono in mente le serie storiche di pressione al suolo che per diversi osservatori europei sono disponibili a partire almeno dall’inizio del XIX secolo e con le quali si è costruito fra l’altro l’indice NAO.
    Trovo infine molto corretta l’idea che dal lavoro emerge e secondo cui il cambiamento climatico procede attraverso cambiamenti nella circolazione, per cui se non si ragiona di circolazione alle diverse scale (climatologia dinamica) diviene impossibile dedurre qualcosa circa le tendenze termo-pluviometriche in atto.

    • Illustre prof. Mariani,
      è con grande piacere che apprendo il suo apprezzamento sul lavoro di ricerca qui presentato. Altresì sarei molto interessato a leggere il suo lavoro di cui fa riferimento. E’ possibile averne copia? Penso possano esserci tra le due ricerche punti di contatto interessanti.
      Per quanto concerne il cambio di pattern invernale emerso nella ricerca a partire dall’anno 2003 circa, le inoltro, anche a beneficio di tutti i lettori, due link a due mappe che non hanno bisogno di commenti.
      Qui di seguito i link:
      http://www.meteodolomiti.it/serviziometeo/pubblicazioni/clima_futuro/images/Anomalia_GPH500_DJF1992_2002.png

      http://www.meteodolomiti.it/serviziometeo/pubblicazioni/clima_futuro/images/Anomalia_GPH500_DJF2003_2013.png

      Ovviamente esistono le eccezioni, infatti gli inverni 2007-2008 e fino ad oggi l’attuale stagione invernale stanno proponendo pattern simili all’immagine del periodo 1992-2002. Ci sarebbero spunti per una ulteriore ricerca di approfondimento…
      Tra l’altro plottando le mappe per la primavera è possibile scorgere anche per questa stagione il previsto prossimo cambio di pattern.
      L’atmosfera è affare molto complesso. Parte del mondo scientifico, e forse anche politico, nel suo disegno ha ridotto alla sola variabile temperatura il tema della comprensione dei cambiamenti climatici attribuendo le recenti oscillazioni alle attività umane, a mio modesto avviso senza alcuna prova scientificamente valida. L’argomento temperatura trova più facile diffusione, soprattutto popolare, rispetto ad altri argomenti come ad esempio le variazioni di geopotenziale e il cambiamento di massa del sistema. Tra l’altro se così non fosse il tema clima perderebbe improvvisamente di appeal e sarebbe più difficile introdurlo nei salotti quando altri argomenti hanno già esaurito tutti gli spazi della conversazione. Questo che definisco mal costume della durata multidecadale ha prodotto in verità il più grosso danno alla ricerca stessa, questo sì senza molti precedenti.
      Carlo Colarieti Tosti

    • Luigi Mariani

      Circa la pubblicazione che ho citato in precedenza, si tratta solo di un commento alla “terribile” annata viticola 2014. In tale ambito mi era stato chiesto di effettuare una proiezione al futuro, per ottenere la quale ho come lei guardato al passato, producendo le carte medie a 850 hPa che può trovare all’indirizzo seguente:
      https://drive.google.com/file/d/0B7CtipXJXwBtUjE3V3BPSkdVWTQ/view?usp=sharing
      Circa poi la logica circolatoria che sempre più spesso latita nei ragionamenti climatologici che vanno per la maggiore, credo che su CM dovremmo impegnarci a sviluppare un’azione di divulgazione per rendere i lettori pienamente consapevoli delle strutture chiave della circolazione generale e della circolazione a scale più “piccole”. Questo anche perché la conoscenza del sistema ci rende meno “abbindolabili” dagli slogan.
      Idealmente si potrebbe in tal senso pensare ad una miniguida organizzata in schede monografiche e che parta dalla dinamica a tre celle per giungere al vortici mediterranei (io di cose scritte su questi temi ne ho già parecchie e le metterei ben volentieri a disposizione…).

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