Uno degli attori principali del clima terrestre è rappresentato dalla circolazione termoalina. Si tratta di correnti marine che ridistribuiscono il calore accumulato nelle acque tropicali in tutto il globo. Il meccanismo è molto complesso, ma in modo estremamente schematico può essere schematizzato così come segue. Le acque marine hanno una densità variabile in funzione della temperatura e della salinità. Nelle aree tropicali le acque superficiali si riscaldano per effetto della forte irradiazione solare, mentre nelle aree polari e circumpolari esse sono molto più fredde e salate a causa della scarsa insolazione. Nelle aree polari le acque superficiali tendono, pertanto, a sprofondare, richiamando acqua più calda dalle latitudini più basse che trasporta enormi quantità di calore dalle aree tropicali a quelle polari. Man mano che le acque che si muovono dall’equatore ai poli cedono calore all’atmosfera, diventano più dense e salate fino a che non raggiungono le condizioni che le fanno inabissare in corrispondenza delle latitudini più settentrionali o più meridionali. Si creano, in altre parole, delle gigantesche celle convettive che condizionano in modo pesante il clima terrestre.
Secondo un articolo di Tzedakis e colleghi del 2012 (qui su CM) che io considero fondamentale, la concordanza tra particolari condizioni astronomiche e particolari condizioni della circolazione termoalina, è in grado di innescare le glaciazioni e determinare i periodi glaciali ed interglaciali.
In un articolo del 2015 Buizert e collaboratori (qui un ampio resoconto) mettevano in evidenza come le condizioni climatiche dei poli fossero caratterizzate da un comportamento opposto: a periodi più caldi nell’emisfero nord, corrispondevano periodi più freddi nell’emisfero sud e viceversa. La responsabilità di questo comportamento apparentemente strano dei due poli terrestri, definita anche “altalena bipolare”, deve essere ricercata principalmente nell’AMOC (acronimo che sta per Atlantic Meridional Overturning Circulation). Secondo Buizert e colleghi un raffreddamento della Groenlandia è in grado di innescare un riscaldamento dell’area antartica e viceversa, con uno sfasamento temporale di circa 200 anni. Il mezzo con cui il segnale climatico si trasmette dal polo settentrionale a quello meridionale è rappresentato principalmente dalla circolazione termoalina che caratterizza l’Oceano Atlantico. In questa figura (fonte IPCC), sono visibili i principali rami che caratterizzano la circolazione termoalina.
Recentemente G. Guidi ha scritto un post che commentava due studi pubblicati quasi contemporaneamente su Nature. Volevo sviluppare qualche considerazione sull’argomento in un commento al post di G. Guidi, ma mi sono accorto che avevo bisogno di più spazio e, quindi, ho pensato di scrivere questo post.
Entrambi gli studi segnalati, individuano un rallentamento dell’AMOC del 15% circa rispetto ai decenni o secoli precedenti. Questo è, però, l’unico aspetto che accomuna i due lavori, per il resto essi sono del tutto diversi: per le metodologie utilizzate, per il periodo indagato e per le cause del rallentamento. Nel primo,
Anomalously weak Labrador Sea convection and Atlantic overturning during the past 150 years
D.J.R. Thornalley e colleghi (da ora Thornalley et al., 2018), hanno ricostruito i cambiamenti verificatisi in AMOC mediante due serie di campioni prelevati in corrispondenza della piattaforma del Labrador. I ricercatori hanno analizzato la granulometria del limo contenuto nei campioni allo scopo di individuare il diametro caratteristico delle varie epoche. Secondo uno studio pubblicato nel 1995 su AGU da A. McCave e colleghi, la velocità delle paleocorrenti marine è correlata al diametro caratteristico dei sedimenti marini. In particolare McCave e colleghi accertarono che i grani di limo di diametro superiore a 10 micrometri, si rinvengono nella pila di sedimenti in concentrazioni che dipendono da processi idrodinamici, ovvero dalla velocità delle correnti che li trasportano.
Applicando ai sedimenti marini da loro studiati i risultati di McCave e colleghi, Thornalley et al., 2018, hanno potuto ricostruire il profilo delle velocità del ramo freddo dell’AMOC nel nord Atlantico in corrispondenza della costa del Labrador. Il periodo indagato copre circa 1600 anni e consente di individuare diversi periodi in cui si sono registrate variazioni della velocità del ramo settentrionale della Corrente del Golfo a nord di Capo Hatteras. Analizzando la fig. 3 dell’articolo si nota una notevole variabilità multidecadale della velocità della Corrente del Golfo (ramo del Labrador), ma la velocità oscilla intorno ad un valore medio che può essere considerato costante: non si riescono ad individuare trend secolari significativi. Ciò fino alla metà del 19° secolo. A partire da quel momento continuano ad osservarsi delle oscillazioni multidecadali, ma esse avvengono in presenza di una netta tendenza negativa.
Lo studio utilizza un approccio che potremmo definire sperimentale in quanto inferisce la velocità della corrente da misure effettuate in loco, ma offre il fianco ad una critica fondata: il rallentamento della corrente registrato nei sedimenti, potrebbe essere un fatto locale e, quindi, scarsamente rappresentativo dell’intera Corrente del Golfo e, quindi, di AMOC. In realtà i ricercatori hanno affrontato anche questo problema in quanto hanno messo in correlazione le variazioni di velocità rilevate nell’area oggetto di indagine, con la densità del Labrador Sea Water (che rappresenta la parte principale della North Atlantic Deep Water) e con la temperatura del Vortice Sub-polare. Si tratta di correlazioni estremamente importanti, in quanto consentono di generalizzare le conclusioni dello studio all’intera AMOC.
L’altro studio,
Observed fingerprint of a weakening Atlantic Ocean overturning circulation
di L. Caesar e colleghi (da ora Caesar et al., 2018), ricostruisce la velocità della Corrente del Golfo sulla scorta di elaborazioni modellistiche basate sulla suite di modelli CMIP5 e del modello climatico CM2.6. Questo modello oceano-atmosfera opera su una griglia di 50 km di lato in atmosfera e 10 km di lato in acqua e consente di simulare le temperature superficiali del mare (SST) per poterle confrontare con quelle disponibili a partire dalla seconda metà del 19° secolo. Il ragionamento seguito da Caesar et al., 2018 è condivisibile: la temperatura superficiale dell’Oceano Atlantico settentrionale dipende principalmente dal calore trasportato dal ramo superficiale di AMOC, per cui le sue variazioni dipendono dalla velocità della corrente. Il modello è stato fatto girare due volte. In una prima simulazione si è considerata costante la concentrazione di CO2 atmosferica per 80 anni (al livello del 1860). In una seconda simulazione si è incrementata la concentrazione della CO2 secondo una tendenza costante dello 1% all’anno per 70 anni e la si è mantenuta costante per altri 10 anni. Gli output sono costituiti dalle temperature superficiali del mare. Particolarmente importanti appaiono quelle determinate in due punti ben precisi: in corrispondenza della Corrente del Golfo ed in corrispondenza del Vortice Sub-polare. Confrontando gli output del modello con i dati misurati, si nota che essi differiscono di un fattore 4: quelli sperimentali sono 4 volte più grandi (o 4 volte più piccoli, dipende dal segno) di quelli misurati. Tale differenza deve essere ricercata nella diversità tra il forcing utilizzato per il modello e quello storico: se ho ben capito, gli autori non hanno potuto utilizzare il forcing storico a causa degli elevati costi di utilizzo del modello. A parte la differenza di scala, il pattern generato dal modello non è molto diverso da quello derivato dai dati di SST che gli autori hanno utilizzato (fig. 1 dell’articolo). Caesar et al., 2018, sulla scorta di altri studi citati in bibliografia, concludono che il pattern delle temperature superficiali marine, evidenziato tanto dalla simulazione che dai dati, (riscaldamento lungo le coste nord-americane e raffreddamento del Vortice Sub-polare) è compatibile solo con un rallentamento dell’AMOC. Sulla base delle SST misurate nel corso dei secoli, si vede che la tendenza al riscaldamento della superficie marina lungo le coste nord-americane ed il raffreddamento del Vortice Sub-polare, si manifesta a partire dalla metà del XX secolo.
Questi sono in estrema sintesi ed a mio giudizio, i punti salienti dei due studi. Ed a questo punto cominciano i problemi che, sempre secondo me, sono molti ed anche grossi.
Caesar et al., 2018 considera il rallentamento dell’AMOC una conseguenza del riscaldamento globale di origine antropica in quanto i suoi risultati dimostrano che solo in un mondo in cui agisce il forcing antropico può verificarsi un rallentamento della Corrente del Golfo. Secondo questa tesi è a partire dal 1950, infatti, che il riscaldamento globale guidato dal diossido di carbonio di origine antropica, ha cominciato a far affluire nell’Oceano Atlantico l’acqua dolce derivante dallo scioglimento dei ghiacciai della calotta groenlandese e, quindi, a frenare l’AMOC o, il che è lo stesso, a far abbassare di latitudine il punto in cui si verifica l’inversione del verso del moto. Sembra ovvio, a questo punto, che in un mondo più caldo le cose non possono che peggiorare, con conseguenze che possiamo solo immaginare.
Thornalley et al., 2018 dimostra, invece, che il rallentamento della Corrente del Golfo deve essere imputato a cause del tutto naturali in quanto esso è avvenuto a partire dalla fine della Piccola Era Glaciale. Fu in tale epoca, infatti, che le calotte glaciali terrestri cominciarono a sciogliersi, facendo affluire nell’Oceano Atlantico le acque dolci che hanno determinato il trend climatico evidenziato dai dati di prossimità che gli autori dello studio hanno esaminato.
Chi ha ragione? Molto difficile dare una risposta definitiva sulla scorta dei dati a disposizione. Personalmente propendo per Thornalley et al., 2018 per diversi motivi. Secondo Tzedakis e colleghi del 2012 il segnale climatico che determina l’altalena bipolare, parte dal Nord Atlantico e si propaga fino all’Antartico. Ciò presuppone che il fenomeno non è nuovo, ma si è verificato molte e molte volte nel corso del tempo. Appare, pertanto, riduttivo attribuire alla sola CO2 antropica l’effetto di rallentare la Corrente del Golfo. Deve esistere, in altre parole, un meccanismo naturale che determina anomalie nell’AMOC. La tesi di Thornalley et al., 2018 mi sembra più lineare, semplice e logica di quella di Caesar et al., 2018: cessato un periodo freddo, i ghiacciai si sciolgono e il maggior afflusso di acque fredde e dolci genera anomalie in AMOC.
Secondo Caesar et al., 2018 le anomalie di AMOC iniziano a manifestarsi nel 1950 ed i suoi dati suffragano l’ipotesi. Chi ci garantisce, però, che quella del 1950 non sia parte di un’oscillazione secolare che la lunghezza della serie non consente di individuare?
Thornalley et al., 2018 lavora, invece, su diverse centinaia d’anni per cui il segnale climatico che emerge dalle sue elaborazioni, mi sembra più solido di quello di Caesar et al., 2018.
Tanto Thornalley et al., 2018 che Caesar et al., 2018 utilizzano dei modelli matematici per simulare il comportamento di AMOC nel passato per cui, da questo punto di vista, potrebbero essere considerati alla pari. Anche sotto questo aspetto, però, io preferisco Thornalley et al., 2018, perché l’uso del modello mi sembra meno invasivo e, soprattutto, prescinde dalla CO2.
Nel caso di Caesar et al., 2018 c’è anche l’aggravante della simulazione che copre un arco temporale sperimentale diverso da quello storico. Un sistema complesso come quello climatico, reagisce in modo diverso rispetto a piccole variazioni delle condizioni iniziali. Se io modello la variazione della concentrazione di CO2 in modo diverso da quanto è avvenuto effettivamente (anche se su questo avverbio ci sarebbe molto da dire), chi mi garantisce che il sistema si comporti allo stesso modo? Nessuno e, difatti, il sistema, ammesso e non concesso che il modello riesca a rappresentarlo in modo efficace, mostra delle anomalie che sono ben 4 volte maggiori di quelle misurate. Caesar et al., 2018 dicono che è solo un fatto di scala, ma io ho qualche perplessità in merito proprio a causa della complessità del sistema che, ricordiamocelo bene, non ha affatto un comportamento lineare.
Considerato un ciclo solare come può esserlo il ciclo di Hale, in relazione con le fase di East Atlantic positiva e perciò, con i modelli circolatori East Atlantic + Western Russia. Tutto questo molto semplicemente segue il primo punto fondamentale dell’articolo:
“Nelle aree tropicali le acque superficiali si riscaldano per effetto della forte irradiazione solare, mentre nelle aree polari e circumpolari esse sono molto più fredde e salate a causa della scarsa insolazione. ”
Conseguentemente dalla relazione con il ciclo solari che attraversa decenni, ma che ha un periodo mediamente attorno gli undici anni, fa presumere che in base all’attività della nostra stella, ovvero alla forza o debolezze di tali cicli undecennali. Tutta l’irradiazione e quindi il calore intrappolato in queste correnti, ma non solo, la latenza oceanica ( il calore intrappolato negli stessi oceani terrestri) cambi proporzionalmente in base all’energia che il pianeta Terra riceve dal Sole.
L’effetto serra è a sua volta una conseguenza e diciamo che viene modulata dall’energia che la Terra riceve dal Sole. Praticamente più energia riceve la Terra più vapore acqueo rimane in circolazione, per evaporazione, dalle masse oceaniche e marine terrestri.
In soldoni la famosa subsidenza mediterranea… per confordevi le idee in passato ci hanno provato con la subsidenza costiera. Cioè quel fenomeno che per l’innalzamento del livello dei mari, sommergerebbe molte aree costiere italiane. Qui più che altro abbiamo perso il senso della “conoscienza” perché poi i nostri nonni hanno bonificato in lungo ed in largo, noi cementificato o chiuso canali.
L’anomalia RM (SSTA Terranova) posso suggerire sia il chiodo portante dell’intero quadro. In quanto se è vero che l’indice EA ha una sua ciclicità in relazione con il ciclo solare di Hale della durata di poco più di due decani annue. Esistono altre ciclicità nell’attuale stato di vita della nostra stella. Il sole ha ciclicità che superano abbondantemente il secolo ed anche più..
In base a cosa vengono formulate tante ipotesi e certezze ?
C14 🙂
Cioè praticamente hanno viaggiato nel tempo? Preferisco mantenere l’ipotesi un ciclo di Hale in relazione con la formazione di potenti anticicloni continentali, a seconda europei o balcanici e mediterranei. Tutto in relazione con il posizionamento dell’alta azzorriana e della sua radice subtropicale.
Saluti
Immagine allegata
Se mi è permesso un commento un po’ fuori tema, mi ha sempre impressionato la contrapposizione espressa nel titolo “Cause Naturali o Antropiche?”. Oltre mezzo secolo fa l’Uomo (anthropos) era ancora un normale componente della Natura e non un suo antagonista o addirittura un subdolo (o incosciente) sabotatore. Poi è successo Hiroshima e sono arrivati i guai (una settimana prima a Tokyo c’erano stati più morti “convenzionali”, e quindi il fatto non fece scalpore. Criticare le attività umane, che nell’immaginario collettivo degli ignoranti hanno preso il nome di “antropiche” come equivalente di “dannose”, indipendentemente dall’innocentista etimologia, è come incitare a sterminare le termiti perché sanno costruire imponenti e solidi rifugi. Guai se si applicasse l’idiota sillogismo: “l’anidride carbonica è all’origine di tutti i mali della Terra; perciò morte a qualunque produttore di anidride carbonica (o consumatore di carbonio)”. Infatti ciò significherebbe impedire agli esseri umani di respirare e solo ai vegetali, che in qualche fase del metabolismo generano ossigeno, di sopravvivere. Insomma: forse è banale e ovvio ripeterlo, ma che questi pretesi ambientalisti la smettano di impedire agli uomini, esseri viventi come loro, di comportarsi secondo la propria Natura. Se poi questo comportamento porta a dominarne una parte (intendo: della Natura) per una soddisfacente sopravvivenza propria, come dicono sia accaduto dalla nascita del genere umano, non c’è motivo etico o filosofico per lamentarsene. E perfino le grandi religioni monoteiste non lo vietano (quelle pagane avevano a che fare con dèi un po’ troppo suscettibili, tanto da mandare ad annegarsi perfino colui che ha diffuso la notizia della scoperta della “radice quadrata”). In conclusione, si insegni ai pretesi sapienti che l’Uomo non è un “virus della Natura”, ma una sua legittima parte, e che “Antropico” significa semplicemente “Umano” e non ha niente a che vedere con gli antri dei mostri o con le difficoltà di vivere ai tropici. Non ci crederete, ma l'”uomo della strada” (forse solo italiano, ma comprendente anche scienziati che non sanno né di latino né di greco) ha ricevuto questa impressione da quello che ritiene un neologismo.
Scusate il disturbo
Giusto Buroni
Forse sulla CO2 si è asagerato un tantino, ed i problemi sono altri… In pratica, cambiando il clima terrestre mutano gli equilibri globali.
Penso che, in senso psicologico, viviamo un era, dove si impedisce alle persone di memorizzare ciò che è realtà. Senza entrare nei dettagli con la religione si riusciva ad incanalare il pensiero. Questione di uomo al centro del mondo o dell’universo. In alcune religioni, ci sono aspetti del pensiero e del carattere di un essere umano che tendono ad estremizzarsi, creando a volte problemi a volte positività.
Ognuno è libero di credere nella propria maniera.. a mio avviso la religione non limita i danni.
La questione è che la memoria è collegata alla realtà.. Quindi anche se la religione non poneva problemi sul fatto che l’uomo fosse nella natura e viceversa. La stessa religione pone limiti alla realtà umana, se pensiamo che nei testi relativamente recenti, certe persone udiscono voci o vedono stranezze.. Non si tratta più di percezioni, ma di distorsioni della realtà. Praticamente nei testi, da un resoconto cronologico, se pensiamo al diluvio universale, da un certo punto in poi.. Iniziamo a sentire parlare di altro..
Da qui, la ragione dice che l’uomo può controllare molto e tanto ancora in natura. Può fare danni irreparabili o ripristinare interi ecosistemi.. anche crearne di nuovi..
In futuro ci saranno miliardi di umani a contendersi le risorse naturali della Terra. Quindi se non impariamo a controllarci, il calo di nascite in italia è fisiologico, naturale ed evolutivo. Ci saranno parecchi problemi nell’imminente decorso di questo secolo..
Saluti.
Donato, commento davvero molto interessate e che suscita 2 domande::
1. i recenti monitoraggi compiuti dalla NASA sul plateau groenlandese ci hanno detto che nell’interglaciale Riss Wurm (125mila anni fà) la calotta groenlandese si fuse completamente a seguito di temperature che avevano raggiunto i 4-5°C a l di sopra di quelle odierne. Dopo tale fase caldissima il mondo sprofondò nella glaciazione di Wurm. Che sia la fusione della calottta groenlandese a governare la transizione glaciale-interglaciale?
2. perchè non si usa l’indice AMO come tracciante dell’intensità di AMOC?
Grazie e ciao.
Luigi
Caro Luigi, Caesar et al., 2018 (in Extend Data figg. 8 e 9) ha messo a confronto AMOC ed AMO: i due indici corrispondono quasi perfettamente anche se in AMO è assente il segnale climatico (non si nota il trend in diminuzione dopo il 1950). Diverso è il caso di NOA: in questo caso i trend di NAO ed AMOC tendono a sovrapporsi anche se le pendenze sono leggermente diverse.
In merito alle tua prima domanda combinando Buizert, 2015 e Tzedakis, 2012 la risposta, secondo me, potrebbe essere positiva anche se l’attribuzione esclusiva potrebbe essere contestata: diciamo che potrebbe essere stata una delle principali concause.
Ciao, Donato.
ciao Donato,
c’è un assunto di base del tuo articolo che è sbagliato;
la concentrazione salina delle acque oceaniche è massima ai tropici (in particolar modo nell’oceano atlantico, e nel pacifico meridionale) e minima ai poli, non il contrario come da te affermato; (e sorprendentemente, ha valori medio/bassi anche alla latitudine equatoriale);
gli alti valori ai tropici sono dovuti ad una elevata evaporazione per le temperature calde, che fa si che la concentrazione del soluto in proporzione aumenti; ai poli, il fenomeno è opposto, e ci si aggiunge anche l’apporto di acque dolci dai deflussi di deglaciazione;
all’equatore la concentrazione salina degli oceani è minore che ai tropici, per le costanti e abbondantissime piogge della fascia equatoriale, che in qualche modo “diluiscono” la soluzione;
per qualsiasi approfondimento:
https://phys.org/news/2011-09-aquarius-yields-nasa-global-ocean.html
https://svs.gsfc.nasa.gov/4050
http://www.salinityremotesensing.ifremer.fr/sea-surface-salinity/salinity-distribution-at-the-ocean-surface
ciao
max
Immagine allegata
Caro Max, hai perfettamente ragione: al 5° rigo la parola “salate” doveva essere “dense” e due/tre righe dopo la parola “salate” deve essere corretta in “fredde”.
Il periodo corretto è pertanto:
“Le acque marine hanno una densità variabile in funzione della temperatura e della salinità. Nelle aree tropicali le acque superficiali si riscaldano per effetto della forte irradiazione solare, mentre nelle aree polari e circumpolari esse sono molto più fredde e dense a causa della scarsa insolazione. Nelle aree polari le acque superficiali tendono, pertanto, a sprofondare, richiamando acqua più calda dalle latitudini più basse che trasporta enormi quantità di calore dalle aree tropicali a quelle polari. Man mano che le acque che si muovono dall’equatore ai poli cedono calore all’atmosfera, diventano più dense e fredde fino a che non raggiungono le condizioni che le fanno inabissare in corrispondenza delle latitudini più settentrionali o più meridionali.”
Ti ringrazio per la correzione e mi scuso con tutti i lettori.
Ciao, Donato.
… dimenticavo… scusate… video con Rahmstorf e la sua dottoranda che commentano il loro studio, qui:
https://www.youtube.com/watch?v=7KJlrpvUXw8&feature=youtu.be
@donato
Molto ben scritto e argomentato questo tuo intervento, donato!
Per puro caso, in questo momento discutono anche su altro blog di climatologia proprio di questi due articoli che hai citato tu, su Climalteranti.
Li’ riportano la traduzione di un articolo su RealClimate di Rahmstorf, dove il noto climatocatastrofista tedesco pone i risultati dei suoi modelli sullo stesso livello delle MISURE (seppur con dati “proxi”/vicari) dell’articolo di Nature di Thornalley et al.
In particolare Rahmstorf NON riporta, ne’ cita i grafici di quello studio che mostrano come alcuni proxies mostrino una diminuzione netta a partire dal 17-esimo secolo (le due piu’ in basso in figura 3, e un paio d’altre nell’extended data/appendice alla fine dell’articolo).
Per portare acqua al suo mulino, Rahmstorf dice che …
“Sulla base di queste misure, gli autori concludono che nei secoli precedenti l’AMOC non è mai stato così debole come negli ultimi cento anni, e confermano così uno studio del 2015, che ho diretto, basato su data-set completamente diversi e indipendenti.”
… mentre in realta’ l’articolo di Nature dice cose “leggermente” diverse. Per quel che riguarda i 100 anni (che fanno comodo al meme climatocatastrofista)…
“In conclusion, our study reveals an anomalously weak AMOC over the past 150 years or so.”
… quindi sono 150 anni, non 100, che fa una bella differenza per quel che riguarda i valori corrispondenti della concentrazione della terribile e velenosissima CO2 assassina (detta “cibo per piante”).
Rispetto all’accordo fra modelli e dati… l’articolo di Nature dice questo:
“Our study raises several issues regarding the modelling of the AMOC in historical experiments.”
… parecchi “problemi” di modellizzazione dell’AMOC… in particolare…
“Our reconstructions also differ from most climate model simulations, which show either negligible AMOC change or a later, more gradual reduction.
Many factors may be responsible for this model–data dis-crepancy:
– a misrepresentation of AMOC-related processes and possible hysteresis, including underestimation of AMOC sensitivity to climate (freshwater) forcing;
– the underestimation or absence of important freshwater fluxes during the end of the LIA;
– and the lack of transient forced behaviour in the ‘constant forcing’ pre-industrial controls used to initialize historical forcings”
La figura 6 nell’appendice dell’articolo di Nature indica inoltre il motivo del disaccordo fra i modelli (Rahmstorf) e i dati:
Il secondo “crollo” dell’indice AMOC delle ricostruzioni di Rahmstorf dal 1950 al 2000 e’ dovuto a…
“… due mainly to subtraction of the strong NH warming trend, rather than a persistent SPG cooling”
… cioe’ all’operazione di sottrazione dell’intenso trend di riscaldamento atmosferico dell’emisfero settentrionale, piuttosto che ad un persistente raffreddamento della Sub Polar Gyre, la corrente artica.
In aggiunta, faccio notare che Rahmstorf basa i suoi calcoli su dati di proxies terrestri, mentre l’articolo di Nature usa proxies marini, sicuramente piu’ affidabili e al riparo da effetti di riscaldamento locale dell’atmosfera, che possono avere origini diverse.
HO trovato questa presentazione di Rahmstorf, che ha lo stesso titolo del suo articolo del 2015 (scritto assieme all’inventore dell’hockey stick Michael Mann… quello che chiede 20 mila dollari piu’ volo in business class e albergo di sua scelta per parlare di clima!!…):
https://www.slideshare.net/CFCC15/exceptional-20thcentury-slowdown-in-atlantic-ocean-overturning-circulation
Mi raccomando: comprare una copia del libro di Rahmstorf… “la crisi del clima”… che senno’ senza le royalties non arriva a fine mese… 🙂
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P.S.: chi volesse una copia dell’articolo di Nature non ha che da chiedermelo via e-mail.
Roberto, conosco il modo di pensare di Rahmstorf per averne seguito il lavoro nella modellazione del livello del mare e so che ha un debole per i lavori prettamente modellistici. Egli è, infatti, uno dei principali esponenti della linea di pensiero che sostiene i cosiddetti “modelli semi-empirici” delle’evoluzione del livello del mare, quella cioè che calcola l’aumento del livello del mare al 2100 fino a 6 metri in più rispetto ad oggi. Come certamente sai si parla di diverse volte in più del valore massimo previsto dall’IPCC sulla base dei cosiddetti “modelli fisici” (range 30/80 cm).
.
In questo articolo egli non fa altro che confermare questo suo modo di procedere. Non ero al corrente dell’articolo pubblicato su Realclimate, ma il tentativo di conciliare Caesar et al, 2018 con Thornalley et al., 2018 non mi sembra semplice: troppo diversi l’impianto metodologico e le conclusioni.
Potrebbe anche essere vero che nelle ultime decadi entrambi gli studi registrino una medesima tendenza alla diminuzione della velocità di AMOC, ma ciò che, secondo me, fa la differenza è costituito dall’origine del trend di diminuzione di detta velocità: 150 anni fa per Thornalley et al., 2018, poco meno della metà per Caesar et al., 2018.
E questo senza tener conto del fatto che da un lato la decelerazione di AMOC viene inferita da dati sperimentali (dal basso verso l’alto); dall’altro si cerca di spiegare l’attuale situazione sintonizzando gli input dei modelli climatici (dall’alto verso il basso).
Ciao, Donato.