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Previsioni decadali cercasi

Ormai quasi due anni fa, mi è capitato di leggere un’intervista al prof. Filippo Giorgi , che credo sia l’unico rappresentante italiano nell’esecutivo dell’IPCC. Tra le altre cose, aveva destato il mio interesse leggere che l’IPCC, in quelle che allora erano solo le prime mosse verso la realizzazione di un nuovo rapporto, il quinto, si riproponga di realizzare qualcosa di più fruibile per chi è delegato a decidere, sia dal punto di vista spaziale che temporale.

Le previsioni, anzi, gli scenari prospettati a scala globale e secolare, quando non oltre, sono certamente stati utili alla generazione di un movimento -quello sì- globalizzato, ma, di fatto, non hanno sortito alcun effetto, essendo del tutto inutili ai fini delle decisioni politiche. Una sola cosa sarebbe stato necessario fare, volendo prender per buoni quegli scenari, tagliare tout court le emissioni di gas serra in atmosfera. Tutte e subito. Riportare il mondo indietro di centocinquant’anni allo scopo di salvarlo. Non si può fare, e chi ha alimentato il catastrofismo climatico poggiandolo proprio su quegli scenari lo sapeva bene, altrimenti non avrebbe contestualmente approvato, sostenuto e implementato soluzioni alternative di grande valore economico ma di nessuna validità scientifica e climatica.

Con queste premesse siamo piombati in un’empasse, che vede una parte della comunità scientifica sempre più arroccata sulle proprie posizioni e l’altra -che aumenta di consistenza ogni giorno che passa- che continua a sollevare obiezioni, nella semplice consapevolezza che quanto è ad oggi disponibile alla conoscenza degli uomini in materia di clima non consente di elaborare alcun genere di scenario che non abbia pari validità di essere smentito o di essere valido, ma che comunque non è verificabile in quanto troppo di là da venire.

Di qui la decisione di fare qualcosa di più utilizzabile, una sfida certamente importante, perché espone -finalmente- l’elaborazione degli scenari ad una possibilità di verifica e, se necessario, di correzione o addirittura smentita. Di qui anche l‘editoriale uscito su Nature Geoscience lo scorso aprile, che affronta proprio questi temi.

Poniamo il caso che una decina d’anni fa, o magari anche cinque, sull’onda emozionale delle prognosi di inarrestabile surriscaldamento del pianeta, fossero state messe in cantiere delle opere infrastrutturali di adattamento e ad esse fossero state destinate importanti risorse economiche e finanziarie. Scopriamo oggi che negli ultimi quindici anni o giù di lì, le temperature medie superficiali globali -parametro che dice tutto e niente, ma sul quale ci siamo già soffermati molte altre volte- non hanno avuto alcun aumento statisticamente significativo. Nel frattempo il forcing antropogenico è certamente aumentato, diventando, ove fosse stato in effetti causa del riscaldamento delle ultime decadi del secolo scorso, ancora più ingombrante. Nonostante ciò le cose sono andate diversamente. Deve necessariamente esserci una variabilità naturale del sistema oltre quella già nota a scala interannuale, capace di imporsi su questo forcing per periodi anche consistentemente lunghi.

Ed è a questo che la società deve prepararsi, perché gli effetti di questa variabilità oltre ad essere reali e non digitalizzati nei modelli di simulazione, sono anche quello con cui si deve fare i conti nella pianificazione di medio periodo. Abbiamo assistito anno dopo anno a previsioni di inverni sempre più miti ed estati sempre più calde sulle medie latitudini, di piogge sempre più scarse nell’area mediterranea e sempre più abbondanti sul nord Europa. E di questo, visto che ci siamo beccati due anni consecutivi di record per la copertura nevosa e di piogge a non finire, hanno goduto quanti hanno scambiato azioni delle commodities sul mercato più che gli agricoltori cui questo approccio prognostico -basato essenzialmente sulla variabilità dell’ENSO1, era destinato in principio.

Dov’è il problema? Nello stato iniziale del sistema. Sembrerà ovvio ma più si desidera rispondere alle richieste del mercato, ove questo sia anche rappresentato dai policy makers che chiedono orientamenti, più è necessario sapere se il giocattolo è acceso o spento, perché se gli scenari di lungo o lunghissimo periodo si può immaginare che possano fare a meno di partire da condizioni note del sistema, essendo peraltro mediati su base decadale, nel medio periodo lo stato iniziale del sistema non è prescindibile. E, guarda caso, lo stato iniziale del sistema di oggi, è diverso da quello di ieri, pur essendo entrambi a noi noti solo a grandi linee. Alla fine del secolo scorso si era in un prolungato periodo di riscaldamento, ora siamo in una prolungata fase di stasi delle temperature. Potrà durare ancora, cambiare di segno o tornare a virare ad un nuovo riscaldamento, che il forcing antropogenico frigga o meno il pianeta tra cent’anni. Ciò di cui abbiamo un disperato bisogno è di una fotografia nitida del sistema e di previsioni di medio periodo.

E, come detto in apertura, ne avremo a volontà, nella speranza che si riesca ad intercettare il segnale di vari pattern climatici che sembrano agire su base decadale quali l’Oscillazione Decadale del Pacifico o l’Oscillazione Multidecadale dell’Atlantico, che sembrano modulare il clima a questa scala temporale, come l’ENSO lo modula su base interannuale. Il punto è che mentre per l’ENSO sono state acquisite delle buone capacità di prognosi -pur essendo ancora molto difficile capire cosa inneschi in effetti le fasi iniziali delle variazioni- per questi altri pattern climatici c’è ancora moltissimo da scoprire. Non è dunque detto che si riescano ad individuare delle ciclicità riproducibili, potrebbero essere pattern che innescano una variabilità decadale di tipo randomico, con buona pace di ogni tentativo di risolvere il problema su base deterministica come fa l’attuale disciplina delle simulazioni climatiche.

Tuttavia potrebbe essere utile -come per l’ENSO- acquisire una buona capacità di seguire l’evoluzione di questi pattern quando iniziano a manifestarsi, capacità che in effetti due recenti tentativi hanno dimostrato di avere avvicinandosi meglio alle osservazioni, pur senza chiarire se questa accresciuta capacità derivi o meno dall’aver tenuto conto delle condizioni iniziali del sistema nel comporre le elaborazioni. E’ interessante infatti notare che anche questi recenti approcci mostrino ottime capacità di riprodurre un passato (che si conosce) e scarse capacità di proiettarsi nel futuro, Questo può essere vero per entrambi i tentativi o per uno solo di essi, dal momento che uno prevede che i prossimi cinque anni saranno più caldi dei precedenti e l’altro prevede esattamente il contrario. Se continuerà il comportamento “non statisticamente significativo” delle temperature, avranno sbagliato entrambi.

In sostanza, quello di cui abbiamo bisogno è qualcosa che oggi non abbiamo, né è detto che si riesca ad averlo in tempi brevi, come potremmo non averlo mai. Giusto tentare, tenendo sempre presente però che è molto più quello che non sappiamo di non sapere sul clima di quello che sappiamo di non sapere o ancora di quello che sappiamo.

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  1. El Niño Southern Oscillation []
Published inAttualitàClimatologiaNews

3 Comments

    • Io non capisco. La ricerca e lo sviluppo di fonti energetiche alternative e di minore impatto è sicuramente una cosa di buon senso, non fosse altro perché quelle ad elevato impatto sono in valore assoluto “finite”. Che bisogno c’è di condire un concetto sensato con queste stupidaggini? Non si rendono conto di provocare l’effetto contrario? Boh, forse sì…saranno mica al soldo dei petrolieri? 🙂
      gg

    • Luca Fava

      CIARLATANI

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