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Climatemonitor Posts

Si chiama Global Warming, non America warming.

Questo è un esperimento. Voglio provare a proporre un argomento che potrebbe avere dei risvolti politici. Per carità, è già successo, ma si è trattato sempre di “incidenti di percorso”, per lo più provocazioni in stile troll in sede di commento che abbiamo sempre bloccato sul nascere. Per scelta.

Oggi proviamo a farci del male da soli, perché so già che potenzialmente si potrebbero alzare bandiere di colore opposto. Vorrei però invitarvi a riflettere soltanto sui contenuti di quanto segue, evitando dietrologie, barricate o preconcetti ideologici. Non dovrebbe essere difficile, perché non si tratta di casa nostra, sono pazzo sì, ma non fino a questo punto.

Si tratta degli USA e della loro campagna elettorale, accesasi recentemente con le convention delle due opposte fazioni celebrate una dopo l’altra. Del resto, piaccia o no, nel bene o nel male, quello che succede dall’altra parte dell’oceano ci riguarda sempre da vicino, almeno da 70 anni a questa parte.

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La coperta si accorcia

Un paio di anni fa Roy Spencer, che lavora insieme a John Christy sui dati delle temperature rilevate dai satelliti, ha pubblicato un libro con un titolo piuttosto significativo:

The great global warming blunder

Blunder significa “abbaglio”, ma anche svista o errore. Il comune denominatore del suo libro è semplice: nel gridare all’allarme per un clima che si disferebbe a causa delle attività umane, essenzialmente emissioni di CO2, la gran parte della comunità scientifica ha confuso la causa con l’effetto. Infatti nell’introduzione, salvo poi sviluppare il concetto molto più approfonditamente nel corpo del libro, egli asserisce che per giustificare, ovvero causare, una buona parte se non tutto l’aumento che le temperature medie superficiali hanno subito nelle ultime decadi del secolo scorso, sarebbe sufficiente una diminuzione dell’ordine dell’1-2% della copertura nuvolosa a livello globale.

Le nubi di fatto schermano i raggi solari. Se così non fosse non ci sarebbero fior di avveniristici e utopici progetti di generazione forzata della nuvolosità o di ancor più utopici specchi orbitanti per mitigare gli effetti del global warming antropico, in quella che chiamano geoingegneria ma è più che altro la caricatura delle gesta di Archimede Pitagorico.

Beh, sul Journal of Climate è uscito qualche tempo fa un paper con questo titolo:

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Sto bene, grazie, ma potrei star meglio.

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[…] Il passo delle soluzioni tecnologiche per affrontare il cambiamento climatico potrebbe non essere adeguato ad affrontare le difficoltà che il disfacimento del clima su larga scala lascia presagire.

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Questa sopra è l’ultima frase dell’anatema con cui il Bullettin of Atomic Scientist ha aggiornato nel 2012 le lancette del Doomsday clock, portando l’umanità a cinque minuti dal disastro. Secondo loro, ovviamente. Considerato il fatto che tutte le altre tragedie e difficoltà, reali a dispetto di quella sopra, che hanno elencato nel loro messaggino non hanno subito sostanziali modifiche, c’è da credere il cambiamento climatico abbia pesato il giusto per rimetterci questi preziosissimi sessanta secondi di storia dell’umanità.

A guardar bene in effetti, la climafobia aveva fatto il suo ingresso tra le apocalissi possibili già nel 2007. Allora i minuti erano sempre cinque e il vaticinio suonava così:

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In attesa dell’assaggio

Sta iniziando la vendemmia. Per ora solo colture particolari, il grosso arriverà tra un paio di settimane. L’estate è stata calda e decisamente arida, per cui la produzione sarà probabilmente largamente inferiore a quella dello scorso anno e ancora più lontana dal record del 2000.

In attesa che comincino gli allarmi e gli elenchi delle tragiche prospettive, vi invito alla lettura di questo articolo sul Corriere della Sera:

La calda vendemmia della decrescita felice

Calma, è solo un titolo. Ed è anche azzeccato. Click qui sotto per sapere perché.

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Se rinasco faccio l’esperto consapevole

Dal dizionario di etimologia:

[info]

Espèrto = lat EXPERTUS p.p. di EXPERIRI, provare, ricercare (v. Esperire).

Che ha cognizione di checchessia per esperienza avutane o fatta, ed altresì Che ha provato o sperimentato; altrim. Pratico, Perito, ma si usa anche semplicemente per Consapevole.

[/info]

Un vocabolo fondamentale nella comunicazione dei giorni nostri. Un vocabolo inoltre particolarmente attinente agli argomenti scientifici. Esprime o sottende la conoscenza di qualcosa attravero la pratica della sperimentazione. In alternativa esprime o sottende la consapevolezza circa un determinato argomento.

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Sole sulle rive del Reno

Prima la giusta dose di caveat:

  • Il tempo non è il clima ma la somma del tipo di tempo nel tempo alla fine fa il clima
  • Il clima è composto da molti fattori, la CO2 è uno di questi ma non è l’unico
  • Il ‘rischio’ global warming è globale, ma il clima che ci interessa è sempre locale
  • Una correlazione non è necessariamente un rapporto causale, ma non per questo è sempre casuale

Direi che siamo pronti a leggere il paper di oggi:

Solar influence on winter severity in central Europe – GRL – Comunicato stampa e abstract

Sembra che uno degli autori di questo paper abbia avuto l’ispirazione assistendo ad una gara di pattinaggio di resistenza nei Paesi Bassi, gara che a suo dire e secondo coloro che la organizzano si possa disputare soltanto ogni 10-11 anni circa, perché le condizioni atmosferiche necessarie a rendere ideale il percorso avrebbero questi tempi di ritorno.

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Effetti del caldo sui record del “Corriere della Sera”.

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‘Al Plateau Rosa, a 3500 metri d’altezza, sopra Cervinia, la stazione meteorologica dell’Aeronautica Militare ha segnato ieri 10 gradi. “Un vero record di oltre sei gradi – nota Marina Baldi dell’Istituto di biometeorologia del CNR – se si tiene conto che al massimo lassù si raggiungono i 3-4 gradi centigradi. Ed è un dato analogo a quello ottenuto nella famosa torrida estate del 2003”. La stazione del Rosa (che nel patois valdostano significa ghiacciato) fa da riferimento anche dell’Organizzazione meteorologica mondiale ed è la più alta esistente a livello nazionale. In questo pianoro d’alta quota la stazione venne creata nel 1947 e i valori che quotidianamente registra sono importanti soprattutto per lo studio dei ghiacci’. (il neretto è nostro)
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Questo era l’inizio dell’articolo dal titolo “Il record. Nella stazione costruita a 3.500 metri non si superano mai i più 4. SE SOPRA CERVINIA IL TERMOMETRO ARRIVA A 10 GRADI” , pubblicato il 22 agosto 2012 sull’autorevole “Corriere della Sera” a firma di Giovanni Caprara, pezzo che qui che trovate integralmente.

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Gli artisti del “Buco dell’Orzata”

E così la lunga estate calda sta finendo. Ci ha pensato Beatrice a dare il la (senza Dante che è dato per disperso), ma soprattutto ci penserà l’inesorabile avanzare della stagione e…i prossimi tre/cinque giorni. Un’estate difficile per alcuni aspetti, pochissima acqua e parecchio caldo, ma anche spettacolare per altri, specie di natura turistica.

Dicevamo di Beatrice, o della “burrasca di fine estate” o della “rottura dell’estate” modi classici e pop di chiamare la stessa cosa: il rientro dalle ferie e l’acqua per i funghi – se porcini è meglio. Sul genere musicale da attribuire alla sfiancante nomenclatura delle ondate di calore di questi ultimi due mesi non ho dubbi: si è trattato di un tormentone. Ma a conti ‘quasi’ fatti indubbiamente la stagione è stata anomala, sia nel senso tecnico del termine, ossia con valori massimi e soprattutto minimi costantemente nella parte alta della distribuzione statistica, sia per la percezione che se ne è avuta, in assenza – per fortuna! – di fatti di cronaca che abbiano avuto la forza di attirare i media a tormentarci con qualcos’altro.

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Siccità d’Egitto

Venerdì 24 agosto sono incappato per ben due volte in notizie giornalistiche a sfondo catastrofico basate sull’articolo di Bernhardt et al., 2012 “Nile Delta vegetation response to Holocene climate variability”, pubblicato nel luglio scorso sulla rivista Geology.

La prima  era una notizia di coda del Giornale Radio RAI delle ore 6  (qui dal minuto 08:55) che gossomodo diceva quanto segue: La civiltà egizia delle piramidi fu distrutta da una grande siccità accaduta circa 4000 anni orsono. Questa notizia è una magra consolazione di fronte al caldo di quest’estate…  -> in sostanza mi è parso che in modo non particolarmente elegante si volesse dare ad intendere che anche noi stiamo per fare la fine degli egizi (forse ero troppo addormentato per capire ma ad ogni buon conto ho subito toccato ferro…).

La seconda è l’articolo apparso venerdì stesso a pagina 29 del Corriere della sera a firma di Giovanni Caprara (a cui evidentemente si erano ispirati i giornalisti RAI per il loro “scoop”) dall’eloquente titolo “Il mito distrutto dal clima. Fu un improvviso caldo torrido a far crollare il regno egizio. Così finì il tempo delle piramidi”.

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Sull’orlo del disastro

Di catastrofismo ne abbiamo parlato spesso (e malvolentieri). Chi ci conosce sa che preferiamo ragionare a mente fredda sugli eventi, così come sa che invece ci “disturba” la notizia urlata e l’annuncio della catastrofe prossima ventura. Personalmente ritengo che a forza di urlare alla catastrofe, si genera una tale assuefazione nei lettori, tale da ottenere un danno doppio: primo, non gliene importa più niente a nessuno, secondo, quando arrivano le vere catastrofi, nessuno se ne accorge (finchè non sia troppo tardi).

Tutto questo preambolo per dire cosa? E’ semplice: per la terza volta in 5 anni potremmo essere prossimi ad un baratro, ad una catastrofe umanitaria prima e chissà cosa poi.

Che questo 2012 sia stato un anno a dir poco periglioso per i raccolti di mezzo mondo è un dato di fatto innegabile (peraltro Guido Guidi ne ha parlato più volte nelle ultime settimane, qui su CM e in particolare negli ultimi giorni sono stati approfonditi proprio questi stessi temi, a riprova che l’argomento è veramente un hot topic). Che cosa sta per accadere? Prima un breve riassunto dei fatti.

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Quando c’erano le “bombe d’acqua” ma non sapevamo il loro nome.

Mentre si spengono le polemiche per le “bombe d’acqua” previste su Genova e non avvenute e siamo in attesa che si accendano per quello che invece è accaduto altrove, ho  l’occasione per ricordare cosa accadde a Roma il 27 agosto di 59 anni fa.

All’epoca non si conosceva ancora il “climate change” (da tempo si parlava però del “climatic change”), non c’erano le “bombe d’acqua” e non conoscevamo la distribuzione della temperatura superficiale del Mediterraneo come oggi perché ancora non c’erano i satelliti, non c’era ancora Bernacca e neanche le trasmissioni RAI (sarebbero iniziate nel 1954).

Le mura storiche allora caddero senza dover dar colpa alle nevicate invernali e l’eccezionale caldo estivo (come avvenuto in questi giorni), ove misurata la precipitazione superò i 100 mm in un’ora causando due morti e venti feriti (non c’era ancora la protezione civile su cui scaricare eventuali responsabilità). Ci furono anche delle manifestazioni degli alluvionati, l’acqua non solo allagò gli scantinati ma arrivò al metro di altezza in alcuni punti della città.

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