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Tag: Coltivazioni

Aumento della CO2 ed effetti sulle proteine dei vegetali: Sarà apocalisse?

I carboidrati e le proteine sono due fra le principali sostanze alimentari prodotte dalle piante e che sono essenziali alla vita umana ed animale (Lehninger, 1975). Il contenuto annuo di CO2 nell’atmosfera terrestre aumenta al ritmo di circa 1.5 ppmv (parti par milioni in volume) l’anno. Questo fenomeno, che è in primo luogo effetto delle emissioni umane, ha portato dai livelli pre-industriali di 280 ppm (1750)  ad un livello attuale di circa 400 ppmv. Come noto tale incremento ha stimolato la fotosintesi (Tonzig e Marré, 1968) traducendosi in un incremento produttivo diretto di circa il 37% per le piante C3 come frumento, riso e orzo e di circa il 17% per le C4 come mais, sorgo e canna da zucchero (Penning de Vries et al., 1989).

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Va’ dove ti porta il clima

E portati dietro una bottiglia d’olio d’oliva e una di vino, possibilmente Chianti, perché non è detto che se trovino ancora in giro.

 

Ecco qua, da AdnKronos:

 

Con il cambio di clima uliveti e vigneti ‘migrano’ verso il versante atlantico

 

Mettetevi comunque tranquilli, il problema, tanto per cambiare, non è oggi, sarà domani. Un domani però anche abbastanza prossimo e ben definito. Per cominciare si parla del 2020. Da quella data e non da un’altra, vigne e ulivi si sposteranno verso latitudini maggiori a causa del deficit idrico e dell’aumento delle temperature. Dove non faranno propriamente le valige, invece, le coltivazioni andranno in collina, specie i vigneti della zona del Chianti. Questo è il primo dei due studi di cui parla l’agenzia, cui segue un breve estratto dagli higlights::

 

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Non c’è pace tra gli ulivi

‘Sarà forse invidia per il clima mite della Riviera, ma che i piemontesi cerchino di coltivare l’olivo non è certo una novità. Sono quasi mille anni che ci proviamo con risultati però altalenanti e spesso scadenti, come splendidamente descritto in un trattatello culinario del 1600 che dice più o meno così: “In Piemonte si fa l’olio d’oliva sui colli più temperati di Astigiano, Monferrato, Eporediese e Saluzzese, ma in scarsissima quantità sia perché fa troppo freddo, sia perché in tempo di guerra gli alberi vengono tagliati e bruciati dai soldati”. Insomma, nel pieno della Piccola Età Glaciale  –  il periodo freddo tra il 1350 e il 1850  –  i pochi olivi rimasti erano quasi più utili come legna da ardere e, dopo il gelo memorabile dell’inverno del 1709, resistette qualche pianta solo sulle sponde dei laghi d’Orta e Maggiore. Diversa era la situazione nel Medioevo, quando il clima era decisamente più mite  –  probabilmente abbastanza simile a quello attuale  –  e le cronache raccontano di olivi, mandorli e persino piante di zafferano sul versante sud della collina torinese; la redditività e qualità di queste colture era però verosimilmente scarsa, visto che, per esempio, era la Chiesa a caldeggiare la coltivazione delle olive per avere l’olio per i riti religiosi. Ora il riscaldamento globale degli ultimi decenni sembra concederci nuove chance e così gli ulivi sono ricomparsi tra Langhe e Monferrato e sui pendii prealpini. Una scelta geografica azzeccata, dal momento che le gemme non resistono a temperature inferiori ai -10 °C, valori non del tutto inusuali sulla pianura piemontese nemmeno con un clima sempre più caldo; le zone collinari, invece, rimangono al di fuori dello strato di inversione termica presente sulla pianura e garantiscono un rischio minore di gelate intense. Resta però una coltivazione troppo fragile per il nostro clima, adatta più che altro ad abbellire parchi e giardini o a concederci la soddisfazione di qualche bottiglia d’olio autoctono e non certo in grado di rivaleggiare con la produzione della vicina Liguria’.

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