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Mese: Giugno 2013

Terremoti e Ricerche Idrocarburi

Il Prof. Uberto Crescenti, geologo di decennale esperienza, mi ha mandato un suo articolo pubblicato nell’ottobre scorso dalla rivista Liberambiente. Ve lo ripropongo nella sua interezza certo di incontrare il vostro interesse per un argomento per molti aspetti diverso da quelli di cui discutiamo abitualmente ma per molti altri decisamente contiguo. La sindrome nimby, l’allarmismo ingiustificato, la strumentalizzazione dell’ignoranza, tutti ingredienti che con riferimento ai temi ambientali ricorrono decisamente con troppa frequenza. Buona lettura.

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Nel 1972, da gennaio a novembre, la città di Ancona fu interessata da uno sciame sismico che provocò grande panico tra la popolazione, come sempre avviene in certi casi. Furono registrate due scosse principali di particolare intensità, una a gennaio l’altra a giugno. In piena crisi sismica, dopo pochi mesi dalla prima forte scossa, circolò in Ancona un libretto dal titolo: “Le tre T di Ancona: Terremoto, Trivelle, Terrore“.

 

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Se piove forte non c’è il Sole

Tranquilli, non sono stato troppo tempo sotto al sole, è ovvio che quando la pioggia cade copiosa per vedere il sole bisogna andare sopra le nuvole ma, in effetti, è proprio lì che vorrei andare.

 

Passavo dalle pagine di Tallbloke e ho trovato un articolo che collega gli eventi alluvionali sul nord Italia alle fasi di debole attività solare. Il paper ha questo titolo:

 

Orbital changes, variation in solar activity and increased anthropogenic activities: controls on the Holocene flood frequency in the Lake Ledro area, Northern Italy

 

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Il calore che non c’è ma ci sarà

In attesa della prossima ondata di calore estiva – da notare che quella appena passata non è stata una heat wave vera e propria per durata ed estensione -, ci godiamo, si fa per dire, una visita del fronte polare alle medie latitudini a fine giugno. Non proprio un inizio di stagione promettente. Ad ogni modo, ci sta che già entro la prima decade del mese di luglio o giù di lì, qualcuno possa tornare a consultare le pagine dell’Inferno di Dante per celebrare l’ennesimo battesimo dell’anticiclone africano. Quest’ultimo, è probaile, sarà presto vittima di una crisi di identità, diversa da quella dell’anticiclone delle Azzorre che piuttosto sembra proprio aver smarrito la via di casa nostra.

 

Ma non è di questo calore che parliamo oggi, anche perché i nostri lettori sanno che l’attualità meteorologica frequenta davvero poco queste pagine. Parliamo, anzi, torniamo a parlare, del calore in eccesso atteso invano nel sistema climatico negli ultimi tre lustri.

 

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Clima che cambia ed eventi estremi: Una interessante nuova prospettiva

Appena ieri l’altro ho ricevuto da un lettore/amico di CM una segnalazione. Si tratta di questo: Venezia si candida come sede permanente del Tribunale penale europeo per l’ambiente. La struttura non esiste, è più che altro più che altro una manifestazione di intenti e non è mia intenzione discuterne. Salta però all’occhio il fatto che tra le tante problematiche di cui una siffatta struttura dovrebbe occuparsi – ripetiamo, tramite azione penale a livello sovranazionale – ci sia anche il riscaldamento globale.

 

Proviamo a pensarci un attimo. Un reato è tale se c’è una vittima, ovvero qualcuno che ha subito un danno e, in effetti, nell’articolo linkato più su troviamo quelle che molti definiscono “le prime vittime del riscaldamento globale”, cioè gli abitanti degli atolli del Pacifico minacciati dall’innalzamento dei mari. Non so se l’eventuale pubblica accusa prenderebbe in considerazione il fatto che nell’attesa di evacuare le loro terre gli abitanti di quelle isole costruiscono aeroporti con i soldi della World Bank, ma questa è un’altra storia. Quel che ci interessa è sapere chi è il colpevole e in cosa consista il reato.

 

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Clima, all’orizzonte c’è l’ultima spiaggia.

Per la verità in materia climatica quello dell’ultima spiaggia è un film già visto. Più o meno in ognuna delle adunate del movimento salva pianeta c’è qualcuno che avverte che il tempo dell’indecisione è terminato, l’azione di contrasto al riscaldamento globale deve essere rapida e immediata.

 

Ma quella di oggi è una spiaggia diversa e non è frequentata dai soliti indolenti, inconsapevoli e incoscienti scettici, quanto piuttosto dal loro opposto, da quanti cioè questo clima da ultima occasione lo hanno nel tempo generato. Ai lettori più attenti non sarà sfuggito che si sente parlare sempre più spesso della “pausa” del riscaldamento globale e, ancora sempre più spesso, a parlarne sono media una volta insospettabili di scetticismo che intervistano ora questo ora quell’altro rappresentante del mainstream scientifico. E c’è un argomento sul quale, finalmente, è stato raggiunto il consenso: la temperatura media del Pianeta ha smesso di aumentare e non sappiamo perché. Inevitabilmente, questo postula anche il fatto che, forse, non sappiamo neanche tanto bene perché sia aumentata prima.

 

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Simulazioni climatiche: Un passo indietro per andare avanti

Nel recente passato, ma a ben vedere si tratta di un argomento ricorrente, abbiamo discusso della reale capacità dei Modelli di Circolazione Generale (GCM) di riprodurre efficacemente degli elementi chiave delle dinamiche del clima. Nella fattispecie, si parlava delle temperature superficiali dell’Oceano Meridionale e dell’estensione dei ghiacci, ma sappiamo bene che i problemi sono simili, ove non maggiori, anche per altri parametri e aspetti fondamentali del funzionamento del sistema climatico.

 

La discussione, ovviamente, non è limitata alle pagine di CM, ma tiene banco sia negli ambienti di discussione più quotati nella rete, sia nella letteratura scientifica. E così, capita che di recente l’argomento sia stato trattato anche in un paper pubblicato su Science e, con lo stesso titolo, ripreso dal blog di Judith Curry. Proprio grazie a lei, abbiamo anche la possibilità di leggere qualcosa in più del solito abstract, perché nonostante l’articolo sia a pagamento, la Curry ne pubblica alcuni estratti piuttosto significativi. Quelli qui sotto sono il titolo e l’abstract del paper (neretto mio).

 

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Groenlandia, ieri le nubi, oggi il jet stream

Allora, breve riassunto delle puntate precedenti.

Nel luglio scorso, la patina superficiale della coltre di neve che copre la Groenlandia e lo spesso strato di ghiaccio che la sovrasta, subì improvvisamente un rapido processo di scioglimento. Un evento anomalo ma non senza precedenti, come documentato dalle discussioni che inevitabilmente nacquero nei giorni a seguire. All’epoca, naturalmente, l’imputato numero uno era il riscaldamento globale, cioè colpa del clima e non del tempo. Questo il nostro commento “a caldo”.

 

Nell’aprile scorso, invece, abbiamo pubblicato il commento ad un paper in cui si attribuiva quell’evento alla formazione di nubi basse tipiche delle latitudini settentrionali, quindi tempo e non clima.

 

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Antartide, il ghiaccio resta, il puzzle pure

Appena qualche giorno fa, abbiamo pubblicato un post per commentare una notizia interessante, per certi versi un fatto che cambia le carte in tavola. Si parlava – e continuiamo a farlo anche oggi – del bilancio di massa dei ghiacci antartici. Non estensione del ghiaccio marino quindi, perché quella notoriamente e alquanto cocciutamente aumenta da quando la si misura in modo oggettivo nonostante il riscaldamento globale, quanto piuttosto il volume. Allo stesso tempo, si sa, il ghiaccio marino artico invece diminuisce in modo significativo.

 

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Cielo madreperla

Fino a qualche anno fa l’argomento di oggi sarebbe stato derubricato tra quelli non atttinenti ai temi climatici e meteorologici. Ora le cose stanno diversamente, perché l’interazione tra i due strati atmosferici più prossimi alla superficie, troposfera e stratosfera è ormai consolidata. Molto meno solida, invece, è la conoscenza di quelle poche ma molto spettacolari formazioni nuvolose che occupano la stratosfera, dette nubi nottilucenti in ragione del fatto che la loro visibilità dal basso è regolata da condizioni di luce che si verificano solo in determinate situazioni e solo alle latitudini settentrionali. In gergo tecnico, queste nubi si definiscono infatti Polar Stratospheric CLouds (PSC) e costituiscono un gruppo che al suo interno contiene almeno tre tipi di formazioni nuvolose che differiscono sia per i processi di genesi, sia per i costituenti, sia per le temperature – comunque sempre molto basse – alle quali è possibile che si formino.

 

C’è un articolo uscito su Wired qualche giorno fa. L’oggetto è naturalmente quello delle PSC ma, la forma, come spesso accade, lascia parecchio a desiderare. In sostanza nell’articolo si avanza l’ipotesi che una presunta anomala abbondanza di queste nubi in questi primi giorni di giugno possa essere messa in relazione, o addirittura costituire un ennesimo segnale di tendenza delle dinamiche del clima a mutare, naturalmente per cause antropiche.

 

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