Ormai capita sempre più frequentemente di sentir parlare di eventi climatici quali El Niño o La Niña, senza che molti sappiano che con questi curiosi nomignoli ci si riferisce alle oscillazioni della temperatura di superficie (SST) delle acque del Pacifico tropicale appena a nord dell’equatore, cioè della quantità di energia che da questa superficie può essere trasmessa all’atmosfera soprastante e successivamente redistribuita sull’intero pianeta in modo più o meno diretto. Ancora meno sono quelli che sanno che queste oscillazioni -che non superano in ampiezza più di 12-18 mesi- non avvengono attorno ad un valore medio fisso, ma sono piuttosto collegate ad un altra oscillazione a più bassa frequenza -un trentennio circa- nota come PDO (Pacific Decadal Oscillation), sempre riferita ovviamente alla temperatura delle acque di superficie.
Attualmente disponiamo di strumenti di prognosi di queste oscillazioni ad alta frequenza abbastanza evoluti, molto bravi a seguire il corso degli eventi, ma un po’ carenti nell’indivuduarne l’insorgenza o le fasi di transizione. Non è infatti detto che il segno debba essere necessariamente positivo o negativo, possono anche sussistere fasi abbastanza lunghe di neutralità, piuttosto che oscillazioni poco significative.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito al verificarsi di un El Niño1 piuttosto vigoroso, succeduto ad una Niña2 anch’essa molto significativa. Il tutto è accaduto in un contesto di PDO negativa, cioè l’oscillazione è avvenuta attorno ad uno zero più basso di quanto non sia accaduto ad esempio fino ai primi anni del secolo, ovvero quando la “warm pool” dell’Oceano Pacifico ha immesso nel sistema la grande quantità di energia che ha contraddistinto le ultime decadi del secolo scorso. Ora El Niño è in fase di declino (cioè le SST stanno scendendo), e le previsioni dei vari centri di elaborazione delle prognosi sono più o meno concordi nel vedere una transizione verso una fase di La Niña per la fine dell’estate, dopo un breve periodo di neutralità.
Ora, una previsione numerica può essere ritenuta valida, ovvero utile in quanto affidabile, se dopo le operazioni di verifica si dimostra più performante del clima medio, cioè se le percentuali di affidabilità superano le percentuali di occorrenza di condizioni note tipiche per il periodo in esame. Se questo non accade, è ovvio che sia più logico affidarsi al clima medio ed alla statistica piuttosto che alle simulazioni delle dinamiche evolutive degli eventi.
Con il tempo atmosferico, nel breve-medio periodo, a questo ci si è arrivati da parecchi anni, mentre siamo ancora lontani dall’arrivarci per il lungo periodo, sempre con riferimento al tempo atmosferico. Questo accade soprattutto per le grandi difficoltà che abbiamo nel descrivere con la necessaria precisione la situazione di partenza, da cui l’evoluzione dell’atmosfera è strattamente dipendente nelle prime fasi della sua evoluzione.
Per quel che riguarda il clima, ad esempio di una stagione, un semestre o addirittura un anno, questo traguardo è decisamente futuribile; questo tuttavia non significa che tutti gli eventi climatici siano impredicibili, specie, come detto in partenza, con riferimento alle sorti delle SST del Pacifico equatoriale. Semmai risulta in effetti molto difficile proseguire la catena dell’evoluzione degli eventi, per arrivare a comprenderne gli effetti a scala emisferica o addirittura globale, cioè individuando quelle che in gergo tecnico si chiamano teleconnessioni. E’ noto che un El Niño particolarmente potente sia tracciabile a posteriori sulle temperature medie superficiali del pianeta, come accaduto ad esempio per l’evento del 1998, ma, al di là di alcuni effetti noti ed immediati che si manifestano nelle aree immediatamente prospicenti la zona in questione, attraverso quali meccanismi di redistribuzione del calore si giunga a questi risultati è difficile dirlo in anticipo con sufficiente precisione. Pioverà di più da una parte e meno da un’altra e, se sì, quando? Nevicherà di meno? Ci saranno più nubi o meno nubi? E l’albedo ne risentirà? Ci saranno più perturbazioni intense o magari più cicloni tropicali? In poche parole, quale tempo atmosferico ci porteranno questi eventi?
Questi aspetti, certamente valutabili a posteriori, ma che è assolutamente necessario conoscere prima per mitigarne gli impatti e per pensare a strategie di adattamento, sono attualmente valutabili esclusivamente in termini statistici, cioè le simulazioni non hanno ancora dimostrato di essere più attendibili del clima medio, secondo la breve spiegazione fatta qualche paragrafo più su. Di contro, dire che in realtà quello che ci interessa è esattamente questo è sin troppo scontato. Può darsi che esista un certo numero di accademici interessato alle evoluzioni delle temperature di superficie degli oceani, ma quel che conta è se in ragione di queste oscillazioni ci saranno o meno eventi in grado di incidere -come accade spessissimo- sulle economie, sulle colture, sulla salute e addirittura sulla sicurezza delle popolazioni, non tra dieci, venti o cento anni, ma tra un mese, due o poco più.
Quanto premesso sin qui, si adatta molto bene all’attualità di questi e dei prossimi mesi. Come detto in apertura c’è un sostanziale accordo tra i modelli di simulazione nel vedere una transizione Niño-Niña per la fine dell’estate. La storia, cioè la statistica, sembra sia invece di diverso parere, infatti quello che sta per finire è un Niño classificato come Modoki, cioè con anomalie positive di temperatura localizzate soprattutto nella parte centrale dell’Oceano Pacifico. Questa particolare occorrenza è stata anche interpretata come una specie di adeguamento/conseguenza del riscaldamento globale, più volte additato come reponsabile dell’occorrenza di Niños sempre più potenti e anomali, anche nelle dinamiche della loro evoluzione.
In realtà, se si prendono a riferimento le ultime decadi del secolo scorso (che l’IPCC indica come il periodo in cui si sarebbe sentito più che mai il forcing antropico) e quelle immediatamente precedenti, racchiudendo così almeno due cicli della PDO, si capisce che questi eventi sono sempre stati comuni, hanno avuto intensità oscillanti e comunque sono arrivati in alternanza con eventi di tipo tradizionale, cioè anomalie positive delle SST concentrate sul settore più orientale del bacino. Ma, in questo caso, quel che conta è tuttavia il fatto che normalmente un Niño Modoki non sia quasi mai seguito da una Niña (20% dei casi osservati), cioè da un evento di segno nettamente opposto, mentre questo sembra accadere con buona frequenza per gli eventi di tipo tradizionale (80% dei casi osservati). Insomma, l’evento in corso non sembra avere le carte in regola per innescare l’occorrenza del suo opposto, nonostante questo sia previsto dai modelli di simulazione.
Un bel dilemma, ma anche una ghiotta occasione per testare i modelli di simulazione rispetto alla storia, cioè per vedere se sono realmente più bravi. Avremo una Niña e tutte le sue teleconnessioni (ivi compresa una diminuzione delle temperature medie superficiali globali) oppure no? Nel primo caso avranno vinto (e ne saremmo felici) i modelli di simulazione, centrando un’evoluzione che la statistica vede solo con il 20% delle probabilità, nel secondo caso vincerà la storia, confermando, se mai ce ne dovesse essere bisogno, che c’è ancora molto da fare prima di diventare più bravi di lei, e questo, magari, potrà essere oggetto di riflessione sul gran parlare che si fa sempre sulle previsioni a lunghissimo termine.
[…] nettamente calante (per un approfondimento e per una lettura dei dati recenti rimando all’articolo di Guido Guidi, di pochi giorni fa). Secondo le previsioni, ci aspetta nuovamente una Niña da […]
Un unico appunto all’ottimo articolo: viene riportata come fonte WUNT ma la fonte è il sito di Bob Tisdale (http://bobtisdale.blogspot.com/2010/05/typical-average-el-nino-traditional-el.html ).
WUNT ha solo riportato un “Guest Post”.
Comunque il calo in HC della zona del Pacifico e’ congruente con l’avvento di una Nina, per cui, forse, hanno ragione i modelli. 😉
Ancora un articolo che consente a chi ha interesse sulle questioni climatiche, senza essere un addetto ai lavori, di conoscere e approfondire vari aspetti. Vorrei ringraziarla per questi suoi articoli.
Ma vorrei anche segnalare che, a volte, le previsioni a breve sono molto facili se si esaminano certe situazioni: per esempio questa strana freddissima primavera italiana. Bastava tenere conto che Al Gore è stato di recente in Italia. Non è incredibile la coincidenza? (mi perdoni lo scherzo un pò puerile)
Riguardo la freddissima primavera:
http://www.isac.cnr.it/~climstor/climate/latest_month_TMM.html
Mi sa Gore non è un gran proxy per le temperature 🙂