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Economia ed energia nucleare

Il secondo importante problema, per quanto riguarda l’energia nucleare, è a proposito degli investimenti e dei costi da essa richiesti. Partiamo dunque subito con alcuni dati: nella tabella seguente si possono analizzare i contributi indicativi al costo della produzione di energia delle principali fonti termoelettriche:

Nucleare Carbone Olio/Gas
investimento 60* 55 15
esercizio 20 10 5
combustibile 20 35 80
totale % 100 100 100

*incluso il costo di smantellamento attualizzato al 3%

Si può dunque vedere come, fatto 100 il totale, una fonte d’energia come l’olio combustibile dipenda in massima parte dal costo del combustibile, che è tra l’altro spesso variabile (e nell’ultimo decennio in decisa salita). Al contrario l’energia nucleare richiede un elevato investimento iniziale, ed un costo d’esercizio che è comunque superiore alle altre fonti esaminate; ma è molto meno influenzata dal costo del combustibile, relativamente basso.

Andiamo quindi a vedere quanto costa 1kWh per le maggiori fonti energetiche, includendo sia il costo reale sia la proposta Carbon Tax (per circa 15€ a tonnellata di CO2) come misura dell’impatto ambientale:

Costi operativi,

finanziari e

d’ammortamento

(cent. €)

Carbon

Tax

(cent. €)

Totale

(cent. €)

Carbone 5 2 7
Olio 4,5 1,6 6,1
Gas naturale 3,5 0,36 3,9
Eolico 6 0,22 6,2
Idroelettrico 4,5 0,22 4,7
Nucleare 3,5 0,04 3,5

Extern Study of the European Commission, 1999, come da bollettino n°62, 1999, Foratom

Si può vedere chiaramente come l’energia atomica rappresenti la fonte meno costosa di tutte, alla pari col gas naturale; guadagnando però un lieve vantaggio nell’impatto ambientale, anche rispetto a fonti considerate “pulite”. Infatti, possiamo usare le emissioni di CO2 non già come parametro climatico (con tutte le controversie che ciò porterebbe), ma come indice dei prodotti inquinanti (principalmente derivati dalla fabbricazione e combustione del combustibile) emessi nell’atmosfera. Vi è inoltre da precisare che, tra il 1999 (anno dello studio) ed il 2009, il prezzo del barile di petrolio è passato da circa 20$ a circa 40$, toccando però nel 2007 quasi 150$: è evidente a quali rischi sia sottoposto l’attuale produzione energetica, la cui fonte primaria è sia in continua ascesa come prezzo, sia soggetta a tali sbalzi di mercato.

Il rendimento delle centrali nucleari non è elevato, nel range 30-35%. Questo perché, al contrario delle altre centrali termoelettriche, non si utilizzano cicli combinati, né rigenerazione, ed il fluido operativo (vapore d’acqua) entra in turbina ad alte pressioni e basse temperature, indicativamente meno di 70bar e 300°C; nei recipienti in pressione (vessel) il fluido primario è a 155bar e 320-330°C per i PWR (Pressurized Water Reactor), 75bar e 285-290°C per i BWR (Boiling Water Reactor). Si genera però una grande portata di vapore, per cui servono turbine appositamente progettate a 1500 giri al minuto (invece che 3000): l’energia prodotta è dunque elevata per ogni impianto, ed a basso costo, fattori che al momento non giustificano investimenti superiori per il miglioramento del ciclo termodinamico (che è un ciclo Rankine a vapore surriscaldato).

Il combustibile nucleare

A questo proposito gioverà una parentesi sul combustibile nucleare: l’uranio.

Esso si presenta in natura al 99,3% come U238, ed allo 0,7% come U235: in tali percentuali è fissile se moderato con acqua pesante (D2O), ma questa tecnologia è utilizzata solo dai reattori della famiglia CANDU (CANadian Deuterium-Uranium). La maggior parte dei reattori, a sua volta divisa in una maggioranza di reattori ad acqua in pressione (PWR) ed una minoranza di reattori ad acqua bollente (BWR), utilizza combustibile debolmente arricchito: la percentuale di U235 nel materiale è cioè portata a circa il 3-4%. 1MWe-anno è prodotto in questi reattori, ipotizzando un fattore di carico pari a 0,8, con circa 170kg di uranio debolmente arricchito. La resa energetica potenziale di 1kg di uranio è pari a circa 12milioni di volte quella di 1kg di petrolio, e 15-18milioni di volte quella di 1kg di carbone. Il processo di arricchimento avviene, principalmente, in 4 modi:

  • diffusione gassosa: in tale maniera l’uranio è sotto forma di UF6 (esafluoruro di uranio), e ne viene separata la parte con l’isotopo U235; tale processo è piuttosto costoso, dato che consuma ben il 4% dell’energia prodotta dall’uranio così selezionato, ed inoltre il materiale scartato non poteva essere riprocessato; è utilizzato dagli USA, dalla Cina e dalla Francia, ma se ne progetta la futura dismissione a vantaggio delle centrifughe;
  • ultra-centrifugazione: la separazione avviene sempre sulla forma gassosa, ma è nettamente più economico del metodo precedente, costando solo lo 0,4% dell’energia poi prodotta, e permettendo il riprocessamento della parte scartata; è usato da Cina, Germania, Giappone, Olanda, Pakistan, Russia e Regno Unito, e recentemente pure dall’Iran;
  • separazione con ugello e separazione con laser: la prima è semplice ma costosa, ed è perciò stata industrialmente abbandonata; la seconda consentirebbe la separazione dell’intera parte di U235, ma anch’essa è stata pressoché abbandonata a causa degli elevati costi.

Il combustibile è quindi reso disponibile generalmente sotto forma di UO2 in pastiglie sinterizzate (pellets). Il costo del ciclo del combustibile era, al 1994, pari a circa 0,00685$ per kWh prodotto. Questo ipotizzando: un fattore di carico pari a 0,7 (oggi è 0,8, nelle centrali di generazione III+ dovrebbe essere 0,9); perdite di lavorazione, come conversione e riconversione 0,5%, come fabbricazione e trattamento 1%; stoccaggio definitivo del combustibile esaurito, senza ritrattamento. L’arricchimento mediante Pu239 (fissile al pari dell’U235) è usato raramente, dato che la sua fonte principale sono le armi nucleari smantellate.

Le risorse di Uranio

Le risorse di uranio sono, come per ogni altro materiale presente sulla Terra, giocoforza finite. Tuttavia, l’allarme sempre presente sulla durata dei giacimenti è largamente esagerato: infatti, causa il relativamente basso costo del materiale, non vi è convenienza economica né a ricercare nuovi giacimenti né a sfruttare intensivamente gli esistenti, al fine di non deprimere il mercato dell’uranio ingenerando un’offerta nettamente superiore alla richiesta.

La stima dell’OECD-NEA (Organization for Economic Cooperation and Development – Nuclear Energy Agency) e dall’IAEA (International Atomic Energety Agency) era la seguente nel 2007:

  • risorse identificate a <80$/kgU: 4.456.000 tonnellate;
  • risorse identificate a <130$/kgU: 5.469.000 tonnellate;
  • risorse ignote pronosticate e speculative a <130$/kgU: 10.500.000 tonnellate.

L’uranio è dunque più abbondante di antimonio, berillio, oro, mercurio, argento e tungsteno; ed è circa abbondante come stagno, arsenico e molibdeno.

Se avessimo 500 reattori da 1GWe ciascuno, con un fattore di carico di 0,8 produrremmo 800MWe-anno per ognuno, pari a (ved. Sez. Il combustibile nucleare) circa 68mila tonnellate annue di consumo. Attualmente nel mondo ci sono quasi 440 reattori, con una potenza installata di circa 370GWe, quasi tutti di II generazione e quindi da sostituire nei prossimi decenni.

Smaltimento dei rifiuti

Il problema delle scorie ha la sua importanza anche economica. Esso infatti si presenta relativamente costoso per quanto riguarda la parte della sicurezza, data l’elevatissima tossicità di alcuni prodotti della fissione; però è anche relativamente economico, dato che il volume delle scorie altamente pericolose è molto limitato. Infatti, circa il 90% del combustibile esaurito contiene appena l’1% della radioattività; il 7%, a medio rischio, prende il 4% della radioattività residua; e solo il 3% delle scorie produce il 95% della radioattività. Infatti, dopo circa 20 anni la radioattività totale del combustibile uscito dal reattore è scesa ad 1/10 del suo valore iniziale; quella dei rifiuti altamente radioattivi passa da 106-107 GBq a 102 Gbq in 106 anni.

Dai dati emessi da Nuclear and Renewable Energies (Roma, Accademia dei Lincei, 2000) e da Radioactive Waste Management in the European Union (Bruxelles, Commissione Europea, 1998) il volume dei rifiuti prodotti nell’Unione Europea ogni anno è il seguente:

  • rifiuti industriali: circa 1miliardo m3;
  • rifiuti industriali tossici: circa 10milioni m3;
  • rifiuti radioattivi: 50mila m3;
  • rifiuti radioattivi ad elevata attività: 500m3.

Diviene dunque evidente la scarsissima quantità di rifiuti radioattivi pericolosi rispetto al totale dei rifiuti prodotti annualmente dall’industria. Lo stoccaggio può avvenire:

  • a ciclo chiuso: che include il ritrattamento del combustibile esaurito, cioè la separazione fra ciò che può essere ancora utile, come ad esempio Pu239 e U235, ma anche U238 che conosciuto come “uranio impoverito” ha bassissima radioattività ed eccellenti proprietà meccaniche come metallo, ed inoltre diversi isotopi utilizzabili in campo radiologico; e ciò che verrà stoccato in maniera indefinita; questo è utilizzato da Francia, Cina, India, Giappone, Russia, Regno Unito;
  • a ciclo aperto: che prevede il semplice stoccaggio, come in Svezia, Finlandia, Canada.

Negli USA finora si è preferito non ritrattare il combustibile esaurito, ma ora si sta seriamente valutando di passare ad un ciclo chiuso. Molti Paesi, come l’Italia, non hanno invece ancora deciso che strada seguire. La soluzione svedese di stoccaggio è molto interessante e detta a “barriere multiple”: il prodotto radioattivo viene incamiciato doppiamente in ferro e rame, quindi incamiciato ancora nella bentonite, ed incluso in un sarcofago di roccia cristallina, per poi essere sepolto ad almeno 500m di profondità in appositi depositi sotterranei.

I costi di smantellamento, incluso il combustibile esaurito, sono accantonati anno per anno dai ricavi della centrale, e dunque non rappresentano un reale costo finanziario per la comunità.

Fattore di carico

Il fattore di carico di una centrale nucleare, più volte citato nei precedenti capitoli, indica quanta parte di tempo, in un anno, tale centrale è realmente produttiva. Ogni impianto, infatti, necessita di pause tecniche dovute ad ispezioni, manutenzione, eventuali sostituzioni, ed al ricambio del combustibile: anche se alcune di queste attività possono essere svolte mentre il reattore è in funzione, le maggiori e le più delicate (compreso ovviamente il ricambio del combustibile) devono essere effettuate a reattore spento e raffreddato.

Nelle centrali attualmente in funzione, di generazione II, il fattore di carico è di solito pari a 0,8: cioè ogni centrale funziona per l’80% delle ore annuali. Nelle nuove centrali di generazione III+, grazie agli accorgimenti adottati in sede di progetto (accessibilità, funzionalità, componenti di maggiore affidabilità e durata ecc.), è previsto l’aumento di tale fattore a 0,9: il che ovviamente significherebbe un sensibile miglioramento sia dal punto di vista economico che energetico del funzionamento delle centrali.

Economia di scala nel nucleare

Il campo nucleare ha finora visto l’economia di scala come una condizione imprescindibile per la realizzazione delle centrali. L’elevatissimo investimento inizialmente richiesto per la costruzione, con un bilancio di cassa in perdita netta fino all’entrata in funzione, ha infatti stimolato la corsa alle grandi potenze: il costo unitario di un singolo grande reattore è minore del costo complessivo di diversi piccoli reattori, che devono duplicare ogni sistema (reattore, sicurezza, circuito del vapore, turbina ecc.) e che hanno un tempo di costruzione pari a quello di un reattore di elevata potenza.

Qualche utile cifra può venire dagli studi del Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano: per una centrale “classica”, ponendo a 0 il tempo in cui viene iniziata la sua costruzione, il costo di edificazione ed attivazione è di quasi 3miliardi € in 5 anni, cioè la perdita netta al 5° anno (fino al completamento non viene prodotta energia); quindi, il flusso di cassa viene invertito al momento dell’entrata in servizio, con un guadagno che passa nel corso degli anni (incrementando) da 150-200milioni € annui ad oltre 200milioni € annui (includendo anche le spese per coprire il costo di costruzione e quello futuro di smantellamento); il pareggio di cassa avviene prima del 15° anno e successivamente vi è solo guadagno che, come abbiamo visto, aumenta progressivamente grazie alla fine dei pagamenti dei prestiti per la costruzione della centrale.

Si è dunque passati in breve tempo dai 150-250MWe delle prime centrali di II generazione (anni ’60 del XX secolo) a 800-1000MWe per reattore delle ultime centrali di quella stessa generazione (anni ’80). Inoltre, si è preferito concentrare diversi reattori per impianto, in modo da diminuire ulteriormente i costi legati al sito ed alle strutture ausiliarie. Tali potenze sono state di recente superate dai reattori di generazione III+: come quello americano AP1000 da 1154MWe, e quello francese EPR da circa 1600MWe. La vita operativa delle centrali è stata inoltre portata, per queste ultime, a 60 anni già in progetto (contro i precedenti 20-40 anni, spesso estesi grazie a sostituzione e manutenzione di alcuni componenti).

Interessante a tale proposito il caso del primo reattore: negli anni ’90 la Westinghouse puntò su di un reattore innovativo da 600MWe, l’AP600; esso si dimostrò valido sotto ogni aspetto, tranne quello economico, dove fu giudicato non sufficientemente vantaggioso; il progetto venne dunque ampliato ed aggiornato per dare vita all’AP1000. Tale impianto dovrebbe inoltre garantire un notevole risparmio rispetto ad altri reattori di pari taglia: infatti, basandosi su tecnologie di sicurezza passive e su di una notevole semplificazione (e quindi efficienza) di progetto, esso richiede il 50% in meno di valvole “safety-grade”, il 35% in meno di pompe, l’80% in meno di tubazioni “safety-grade”, il 45% in meno di volume di edifici anti-sismici, il 70% in meno di cavi (fonte: Westinghouse).

Questo investimento a lungo termine ha però mostrato anche i suoi limiti finanziari: se infatti il guadagno è, da un certo anno in poi, assicurato anche al netto di tutte le spese sostenute e da sostenere, esso è considerato perennemente a rischio per fattori sociali ed ambientali, da cui potrebbero derivare decisioni politiche sfavorevoli (come già successo). Inoltre, fattore non secondario, ogni nuova centrale nucleare richiede una leva finanziaria molto corposa, che attualmente solo gli stati possono garantire.

E’ anche su queste basi che è nato il progetto IRIS, che dovrebbe portare ad un impianto nucleare commerciale dopo il 2015. In esso i principi dell’economia di scala vengono abbandonati in favore della compattezza e della semplicità del progetto, oltre che dalla sua sicurezza molto elevata, che permetterebbero di produrre un reattore competitivo già con la “piccola” taglia di 350MWe.

La reale competitività del progetto non si basa però sul singolo reattore: ma sul fatto di costruire un impianto da 4-5 unità. Ognuna richiederebbe un tempo di costruzione di appena 3 anni, e verrebbe iniziata al completamento della precedente: in questo modo, la cassa della centrale comincerebbe a rientrare delle perdite già al 3° anno; le perdite stesse sarebbero spalmate su di un tempo più lungo, invece che concentrate nei primi 5 anni; ed il guadagno netto totale inizierebbe prima. Tale reattore permetterebbe inoltre di ridurre la zona di sicurezza (evacuazione totale in caso di grave incidente) a solo 1km di raggio (l’attuale normativa americana prevede 10miglia, quella francese 5km).

Nell’immagine seguente possiamo vedere un confronto fra un reattore “classico” ed una serie di 4 reattori IRIS:

Il problema del “first-of-a-kind” e la modularità dei reattori

Terminiamo con un problema che può essere causa di perdite finanziarie e di tempo nella costruzione di una centrale: il cosiddetto first-of-a-kind.

Nei decenni passati, spesso ogni impianto nucleare faceva storia a sé: pur su di una base comune, a seconda del modello di reattore adottato, ogni centrale era progettata ad-hoc. Questo implicava spesso che, a fronte di piccole differenze nelle normative nazionali o nelle richieste dei committenti, vi fossero ogni volta lievi variazioni all’impianto rispetto al progetto originario, che per essere adeguatamente implementate richiedevano tempo e denaro in misura superiore a quanto inizialmente prospettato.

I reattori di generazione III+, come AP1000, EPR ed IRIS, sono invece progettati per una costruzione modulare: sia i componenti dell’impianto, che il layout dell’impianto stesso, sono previsti uguali per tutte le centrali in costruzione nel mondo, salvo miglioramenti che possono sempre essere apportati. Questo riduce i tempi e la spesa di costruzione dei reattori successivi, grazie all’esperienza acquisita.

Abbiamo scritto “reattori successivi”: rimane il problema annunciato del first-of-a-kind, cioè del primo impianto di quel tipo in costruzione. Esso è un problema comune a tutti i campi tecnici ed industriali: il passaggio dal progetto su carta alla sua realizzazione fisica, dove possono venire fuori tutte le cose trascurate o semplicemente non perfettamente previste nella fase progettuale. Esse sono in genere di piccola entità, e comunque non relative alla parte più delicata della centrale (il nocciolo con il suo contenitore in pressione o vessel), ma richiedono pur sempre modifiche, riprogettazioni e verifiche in corso d’opera: cose che, come abbiamo già detto riguardo al problema della sicurezza, non possono essere affrontate con fretta e sufficienza. E’ dunque pressoché sicuro che la prima centrale di un nuovo tipo di reattore risenta di questi problemi, con conseguente aumento del tempo e dei costi di costruzione: evento che però non si ripeterà successivamente.

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Published inAttualitàEconomiaEnergiaNews

10 Comments

  1. […] Scorie e costi. Ci si perdoni l’ennesima autocitazione, ma anche di questi aspetti si era già parlato su questo blog. Le scorie sono al 99% o riutilizzabili, o soggette ad un decadicamento naturale che le porta ad […]

  2. Agostino

    Può essere interessante, in particolare per un sito come Climate Monitor, fare qualche considerazione sulla sostenibilità a lungo termine dell’opzione nucleare. I due aspetti da esaminare sono la disponibilità di materia prima per la fabbricazione del combustibile nucleare, e le modalità per la gestione e l’utilizzo del combustibile irraggiato nei reattori (il cosiddetto “problema delle scorie”).

    Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre notare che con i reattori attualmente più in uso, si sfrutta poco più dell’uranio fissile presente in natura (l’Uranio 235, lo 0,7% dell’uranio naturale): ciò fa temere ad alcuni un rapido esaurimento delle riserve di combustibile nucleare. Tuttavia, è ben noto dagli albori dell’energia nucleare che, mediante l’uso di reattori “fertilizzatori” a flusso neutronico “veloce” (cioè, ad alta energia), si trasforma il “fertile” Uranio 238 (oltre il 99% dell’uranio naturale) nel fissile Plutonio 239, e quindi è possibile estrarre dall’uranio naturale fino a 100 volte in più di energia.

    Reattori prototipi di questo tipo hanno funzionato, e sono in funzione, da molti decenni (in Francia, i reattori Phénix e Superphénix). Ciò significa che dal solo uranio oggi noto vi è una disponibilità di combustibile per millenni anche per una potenza nucleare installata di 10 TW-termici (10 volte l’attuale).

    Inoltre, mediante l’uso di reattori “fertilizzatori” a flusso neutronico “termico” (cioè, a bassa energia), si trasforma il fertile Torio 232 nel fissile Uranio 233. Il Torio in natura è tre volte più abbondante dell’Uranio, e quindi è possibile estrarre dal Torio anche 300 volte in più di energia rispetto all’Uranio 235 presente in natura.

    A questi livelli di sfruttamento, può divenire poi conveniente ricavare l’uranio e il torio da minerali molto diffusi come i fosfati o i graniti, ed anche dall’acqua di mare: ad esempio, negli oceani vi sono 4,4 miliardi di tonnellate di uranio, equivalenti a 80.000 TW-termici-anno dal solo Uranio 235. Si noti che ora vengono anche messe a punto tecniche di estrazione dell’uranio dalle ceneri di centrali a carbone: una tonnellata di ceneri può fornire energia da uranio pari alla combustione di 500 tonnellate di carbone!

    Per quanto riguarda il “problema delle scorie”, occorre innanzitutto notare che la dizione “scorie” o “rifiuti” non appare del tutto corretta per l’industria energetica da fonte nucleare. Infatti il materiale altamente radioattivo prodotto da un reattore nucleare a fissione resta in condizioni normali strettamente confinato dentro le guaine degli elementi di combustibile, ed esce dal reattore solo quando essi, esauriti per il lungo irraggiamento, vengono sostituiti con elementi nuovi. Dopo di ché, gli elementi irraggiati possono essere conservati in piscine presso lo stesso reattore anche per decenni, con un notevole decadimento della radioattività. Gli elementi irraggiati costituiscono una preziosa riserva di materiale fissile (Uranio 235 e Plutonio 239), e soprattutto fertile (Uranio 238): se e quando sia ritenuto opportuno o economicamente conveniente, questi elementi possono essere sottoposti a “ritrattamento” per separarne i vari costituenti.

    La radioattività più rilevante e di più lunga vita media è quella dovuta agli attinidi transuranici (tra cui il Plutonio): separandoli chimicamente, essi possono essere inseriti in nuovo combustibile per reattori, dove potranno essere distrutti, producendo molta altra energia. La restante radioattività del combustibile irraggiato è dovuta invece ai prodotti di fissione. Anche questi possono essere opportunamente trattati, in modo da ridurne drasticamente livelli di radioattività e vite medie, tanto che dopo qualche centinaio di anni la loro radioattività totale residua potrebbe divenire anche inferiore a quella dei minerali originari di uranio e torio. Questi ultimi, come noto, presentano una sensibile radioattività naturale, rilevante sorgente della radioattività di fondo presente in territori vulcanici o granitici, e con vite medie di decadimento molto lunghe.

    In conclusione, si può prevedere che, con un sistema energetico nucleare su larga scala e dotato di tipologie diversificate di reattori, una gestione dei residui adeguatamente coordinata e pianificata permetterebbe di non compromettere con l’attività umana il bilancio globale di radioattività del Pianeta Terra, ma anzi di ridurne il livello!

    Agostino

    • Filippo Turturici

      Ottimo spunto!
      Comunque nell’ultima parte di questi articoli verranno passati in rassegna i diversi tipi di reattori: compresi alla fine quelli di IV generazione, tra cui troviamo sia quelli veloci a metallo fuso, sia quelli termici al torio.
      Una precisazione sui reattori veloci può essere interessante (e ci sarà in ogni caso nell’articolo a riguardo): essi sono attualmente legati alla IV generazione, ma in realtà sono tra i primissimi reattori ipotizzati e testati. Tuttavia soffrono di notevoli problematiche tecniche, che finora ne hanno bloccato lo sviluppo, anche se reattori come Superphoenix (al sodio) furono chiusi più per motivi politici che tecnici: l’unico esempio di reattori veloci operativi, viene dal mondo sovietico/russo, dove tali reattori (al piombo-bismuto) sono e sono stati ampiamente usati nei sottomarini nucleari, ed anche in un paio di centrali nucleari ancora operative.
      Ci sarà dunque modo di approfondire anche l’aspetto tecnico-scientifico di questi reattori!

  3. Lorenzo

    Mi ha tagliato le parole :-). riprovo.

    Le risorse < 130 $/kg sono solo un milione di tonnellate in più di quelle < 80 $/kg o gli oltre 5 milioni sono le risorse comprese tra 80 e 130?

    • Filippo Turturici

      Sì sono da intendersi come risorse >80 e <130; mentre l'ultimo dato sono semplicemente le risorse <130; ovviamente, parliamo soltanto di giacimenti "classici", non vengono presi in esame i metodi alternativi già citati (estrazione filtrando l'acqua di mare, o setacciando le ceneri di carbone ecc).

  4. Lorenzo

    Le risorse < 130 $/kg sono solo un milione di tonnellate in più di quelle 80 e < 130?

  5. Filippo Turturici

    P.S. a scanso di equivoci, una precisazione sui “danni ammissibili”: prendiamo l’esempio del terremoto; sono definiti un OBE, cioè un terremoto “ordinario” per il sito considerato, in cui l’impianto deve continuare a funzionare senza alcun problema; ed un SSE, il Safe Shut-down Earthquake, riferito al massimo terremoto ipotizzabile su scala globale (per quanto improbabile questo sia nel sito considerato) in cui deve essere garantito il sicuro spegnimento della centrale, senza alcun danno all’edificio reattore. Di fatto però, essendo reattori come AP1000 progettati alla stessa maniera per tutto il mondo, un futuro reattore costruito es. in Sardegna avrà lo stesso OBE di uno costruito in California (mentre, come detto, lo SSE sarebbe comunque lo stesso).

  6. Filippo Turturici

    Vorrei aggiungere un piccolo dato che nell’articolo non c’è: secondo la NRC, il solo miglioramento dell’efficienza delle centrali nucleari già presenti negli USA, è equivalso negli ultimi 20 anni alla costruzione di 25 nuove centrali; i reattori attualmente operativi negli USA sono circa 100 (più circa 40 di ricerca, non commerciali), ma dopo TMI (1979) non sono più state messe in progetto nuove centrali (si è semplicemente continuato a costruire le poche già programmate) fino agli anni 2000.
    Come si evince dall’articolo, comunque, l’energia nucleare ha ancora ottimi margini di miglioramento: non è, diciamo, “sfruttata appieno” (in altro articolo parlerò anche dei reattori “futuri” quelli di IV generazione; ma teniamo conto anche dei cicli termodinamici ecc).

  7. Filippo Turturici

    Rispondo volentieri a tali puntuali domande.

    1. Il torio non sarebbe precisamente un combustibile nucleare, non essendo fissile nei reattori termici; tuttavia, nemmeno l’U238 è fissile in zona termica; però il Th232 si presta bene ad essere trasmutato, in un reattore termico, nell’isotopo U233, che invece è fissile (ma artificiale: l’isotopo naturale fissile è l’U235).
    E’ bene però chiarire che parliamo sempre di un reattore termico, dove il Th232 viene usato per produrre altro combustibile nucleare, ma in cui la parte fissile è pur sempre rappresentata da uranio o plutonio. Per le scorie, francamente, non ho sentito parlare di “minori problemi”: ma bisogna tener conto che anche delle attuali scorie, quelle sia inutili che altamente pericolose rappresentano circa l’1% del combustibile esausto.
    Gli indiani sono relativamente a buon punto con tale tecnologia: un piccolo reattore, il Kamini, è già stato impiegato per esplorare l’uso di tale risorsa; e nel 2004 è iniziata la costruzione di un reattore sperimentale da 500MWe, a Kalpakkam, che dovrebbe divenire operativo nel 2010. Il combustibile nucleare rimane un carburo di uranio-plutonio, con una camicia di torio per “fertilizzare” l’U233.
    Insomma la tecnologia pare essere valida, ma ci vorranno ancora diversi anni per vedere un reattore “commerciale”; né è assicurato che sia più “pulita” della presente, ma solo più sostenibile (come detto i ltorio è più abbondante – va tenuto conto però che nei reattori veloci, prima parlavamo di termici, l’U238 ha un buon coefficiente di trasmutazione in Pu239).

    2. Non sono un esperto del mercato delle tecnologie “rinnovabili”, al massimo mi intendo un po’ di tecnologia per energia solare dato il mio corso di laurea; comunque, guardando ai costi, il rapporto della CE sopra menzionato indica in 3.5cent.€ il costo di 1kWh nucleare, 4.5 quello idroelettrico, 6 quello eolico; per i pannelli solari, fotovoltaici, ho trovato addirittura un costo di 33.9cent.€ al kWh ( http://www.aspoitalia.it/component/content/article/70 ); è anche vero che in una centrale nucleare gran parte del costo del kWh è dovuto all’investimento vero e proprio, non alla produzione in sè; però, anche la produzione di energie rinnovabili non costa tanto (acqua, vento e sole sono gratis come “combustibili”), direi che il costo kWh può essere un buon indicatore delle proporzioni.

    3. Ne approfitto per segnalare il mio precedente articolo su questo sito: Ma quanto è sicuro il nucleare? – Parte I, Norme di Costruzione
    In caso di attacchi aerei (anche come l’11 settembre) o missilistici, nonché di eventi meteorologici estremi e terremoti fino almeno alla magnitudine 9 Richter, ogni centrale di nuova costruzione e buona parte di quelle “vecchie” sono progettate per resistere senza gravi danni (si può ammettere un minimo di danno agli edifici ausiliari, nessun danno a quelli contenenti il reattore).
    Bisogna però ammettere che, in caso di evento tipo Tunguska o di attacco nucleare, le centrali non sono progettate per resistere a tale impatto diretto (intendo con impatto/esplosione esattamente sulla centrale, non in atmosfera): d’altra parte, se ad esempio esplodesse una bomba atomica, credo che la fuga radioattiva dalla centrale diverrebbe un problema minore rispetto all’evento principale.

  8. ottimo articolo. Premesso che non sono sfavorevole al Nucleare, ho un po’ di domande.
    1. Ho sentito parlare del Nucleare al Torio al posto dell’Uranio, più abbondante in natura e meno problemi con le scorie, a che punto è questo tipo di tecnologia?

    2. A parità di investimento per una centrale nucleare, che risultati si otterrebbero con le energie rinnovabili?

    3. Sicurezza. E qui credo ci siano i maggiori blocchi (mentali o per mancanza di informazione). In caso di eventi eccezionali, quali guerre, epidemie apocalittiche, asteroidi che precipitano sulla terra, invasioni aliene di mucche spaziali :), le centrali nucleari possono essere facilmente e rapidamente messe in sicurezza e rese innocue?
    Grazie.

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