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Desertificazione in Italia: dati vecchi ma allarmi nuovi.

Assuefatti all’idea che i cambiamenti sono sempre più veloci, che tutto peggiora intorno a noi, senza suscitare alcuno spirito critico si diffonde sui mass-media la notizia:

“La nostra penisola, spiega il dossier presentato oggi da ….. a Firenze, ha già iniziato a scontare gli effetti del riscaldamento globale per desertificazione e innalzamento dei mari. Negli ultimi 20 anni, infatti, in Italia si è triplicato l’inaridimento del suolo e si stima che il 27 % del territorio nazionale rischia di trasformarsi in deserto. Sono interessate soprattutto le regioni meridionali, dove l’avanzata del fenomeno rappresenta già da un decennio una vera e propria emergenza ambientale”1 (chi fosse interessato può cercare i nomi nei link, a noi interessa non chi sono ma ciò che dicono).

Dall’informazione si evince che:

  • “Negli ultimi 20 anni si è triplicato l’inaridimento”, quindi anche se gli ultimi due anni sono stati molto piovosi siamo senza speranza, non è servito a nulla. L’andamento climatico degli ultimi anni, caratterizzati da una lunga stagione fredda accompagnata da piogge, sembra aver avuto solo effetti negativi come riportato proprio qui;
  • “Il 27% del territorio naturale rischia di trasformarsi in deserto”, nonostante qualche speranza fosse nata leggendo il numero del 31 Luglio 2009 del National Geographic, in cui era stato pubblicato un articolo sul Sahara che si sta lentamente rinverdendo a causa di un aumento della pluviometria, sembra che l’Italia (23% pianura, 43% collina e 34% terreno montuoso) si stia trasformando in uno scatolone di sabbia che coprirà verosimilmente parte della pianura e della collina2.
  • “Sono interessate soprattutto le regioni meridionali, dove l’avanzata del fenomeno rappresenta già da un decennio una vera e propria emergenza ambientale” quindi dal 2000.

La domanda sorge spontanea, un anno fa come era la situazione? “Dobbiamo considerare” ha concluso Venneri “che l’Italia negli ultimi 20 anni ha visto triplicare l’inaridimento del suolo e si stima che il 27% del territorio nazionale è a rischio desertificazione. Sono interessate soprattutto le regioni meridionali dove l’avanzata del fenomeno rappresenta una vera e propria emergenza ambientale”. Questo affermava la stessa organizzazione il 17 giugno 2009 (quiqui).

Ma come tutto uguale? Anche l’anno scorso il comunicato era stato ripreso da molti mass-media, su alcuni di essi si trova pubblicata una mappa della sensibilità, come ad esempio quiqui, oppure su questo documento che fa riferimento ad uno studio dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) del 2001 (attualmente ne esiste uno più aggiornato a questo link).

Lo studio ENEA non parla dei venti anni e non presenta i rischi ma la vulnerabilità (pag.46): “L’Agenzia Ambientale Europea (EEA) ha realizzato, grazie ad un progetto a cui ha partecipato anche l’ENEA, una carta della sensibilità dei Paesi del bacino del Mediterraneo alla desertificazione. Dalla carta in figura 34 si riporta la situazione relativa al territorio italiano (ENEA, CNR, APAT), che evidenzia come il 3,7% del territorio è molto vulnerabile, il 32,15% è vulnerabile ed il 64.11% è poco vulnerabile nelle presenti condizioni climatiche e con gli attuali utilizzi del territorio. Le aree poco vulnerabili saranno soggette ad incrementare la loro vulnerabilità in alcune delle condizioni di cambiamento climatico previste dagli scenari futuri.”

La fig.34 è la mappa delle sensibilità alla desertificazione (EEA 2001), la stessa mappa che si ritrova illustrata egregiamente su un video-intervista di tre anni fa, 10 giugno 2007. Nel video si scopre che lo studio è fatto con dati fine anni ’90.

Possibile che da anni si lancia sempre lo stesso allarme con sempre gli stessi dati vecchi di decenni?

Continuiamo! Quattro anni fa, il 2006 è stato “l’Anno Internazionale dei Deserti e della Desertificazione”3, che informazione veniva diffusa per la desertificazione in Italia? “La percentuale di territorio italiano a rischio desertificazione e di circa il 30%. Questa, negli ultimi 20 anni ha visto triplicare l’inaridimento del suolo e si stima che il 27% del territorio nazionale è a rischio desertificazione. Sono interessate soprattutto le regioni meridionali dove l’avanzata del fenomeno rappresenta nel nuovo millennio una vera e propria emergenza ambientale. Studi per mappare il rischio di desertificazione in Italia sono già stati condotti all’interno di progetti condotti su scale globale (Eswaran e Reich, 1998), continentale (progetto DISMED, 2003) e nazionale4.

Una informazione più completa nel 2006 viene diffusa da “Globalpress” (ripresa anche dall”ufficio stampa del CNR): “Tuttavia, le cause della desertificazione in Italia vengono attribuite anche ad attività di origine antropica, come la deforestazione che avviene fuori controllo, la piaga dolosa degli incendi boschivi, l’eccesso di pascolo nelle zone alpine e appenniniche, i processi di urbanizzazione e di agglomerazione, i consumi irrazionali di risorse idriche nell’agricoltura e nell’industria. Infine, una minima parte di responsabilità viene attribuita ai fenomeni di origine naturale (cambiamenti climatici, la geomorfologia, la copertura vegetale) che interessano il bacino del Mediterraneo.

Per attuare le prescrizioni contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite, il Governo italiano ha istituito nel 1997 il Comitato Nazionale per la lotta alla desertificazione, con l’obiettivo di seguire la predisposizione dei piani nazionali nel contesto mediterraneo, tra cui la protezione delle risorse principali, quali acqua, terra, vegetazione e biodiversità, e il recupero delle aree colpite da degrado. In generale, le zone italiane maggiormente interessate dal fenomeno della desertificazione sono alcune fasce costiere della Sicilia, sud e sud-ovest e della Sardegna; le piccole isole del Sud dell’Italia e alcune porzioni delle coste della Puglia e della Calabria. Complessivamente, il rischio di inaridimento dei suoli minaccia circa un quarto del territorio italiano. Sebbene la percentuale di territorio a rischio desertificazione è stabile da un paio di anni al 30% – la stima delle Nazioni Unite effettuata nel 1998-1999 era al 27% ed è cresciuta arrivando al 30% nel 2003 – Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna mostrano, tuttavia, un processo di desertificazione in stato avanzato. Anche le Regioni del Centro-nord, in particolare Toscana ed Emilia Romagna, manifestano un peggioramento della situazione idrometeorologica dovuta all’irregolarità delle piogge. In particolare, l’analisi climatica del 2003 rivela che l’Emilia Romagna negli ultimi 50 anni si è gradualmente impoverita di acqua, tendendo ad assumere condizioni di moderata siccità, solo a tratti severa.”5.

Sei anni fa che succedeva? Nel novembre 2004 al convegno “Siccità e Desertificazione” tenuto a Rimini che si diceva dello stato dell’Italia? “La percentuale di territorio italiano a rischio desertificazione è stabile da un paio di anni al 30% -continua Massimo Iannetta – la stima delle Nazioni unite del 98-99 era al 27%, ed è cresciuta arrivando al 30% nel 2003. Poi circa due anni di precipitazioni più abbondanti hanno stabilizzato, per ora, il dato”.

Studi per mappare il rischio di desertificazione in Italia sono già stati condotti all’interno di progetti condotti su scale globale (Eswaran e Reich, 1998), continentale (progetto DISMED, 2003) e nazionale.6

Rassicurati un po’ da ciò che si affermava anche negli anni passati, analizziamo di nuovo la notizia degli ultimi giorni sulla desertificazione in Italia: “La nostra penisola, spiega il dossier presentato oggi da “.. a Firenze, ha già iniziato a scontare gli effetti del riscaldamento globale per desertificazione e innalzamento dei mari. Negli ultimi 20 anni, infatti, in Italia si è triplicato l’inaridimento del suolo e si stima che il 27 % del territorio nazionale rischia di trasformarsi in deserto. Sono interessate soprattutto le regioni meridionali, dove l’avanzata del fenomeno rappresenta già da un decennio una vera e propria emergenza ambientale”.

Si può rilevare che:

  • I dati sono relativi a più di dieci anni fa, come è ora la situazione nessuno lo dice ma, vista l’abbondanza di precipitazioni, probabilmente la situazione è migliorata. Certo nessuno può essere certo che non lo si faccia in malafede perché si deve sempre dire che tutto va male;
  • E’ triplicata negli ultimi 20 anni probabilmente si riferiva al ventennio 1980-1990, ma sarebbe opportuno vedere i dati relativi se corrispondono a cambiamenti di definizioni;
  • Per parlare di desertificazione occorrerebbe un post dedicato, però tutti sanno che desertificazione non significa desertizzazione e anche se il problema non è da trascurare, non c’è alcun rischio di trasformazione in sabbia del nostro territorio, anzi esistono dati diversi sulla percentuale di desertificazione del territorio italiano ad esempio qui. La definizione di “desertificazione” nel tempo è mutata, la più recente nell’ambito della Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite per la lotta alla siccità ed alla Desertificazione (UNCCD) fa riferimento al “degrado delle terre aride, semiaride sub-umide secche” (Wikipedia) attribuibile a varie cause tra le quali variazioni climatiche ed attività umane. Avete capito bene! Zone aride sul territorio italiano ce ne sono state anche in passato, per comprendere dove erano si può ad esempio far riferimento ai lavori di Mario Pinna e Cristofaro Mennella (forse lo faremo in futuro). L’indice di aridità rappresenta il principale componente di qualunque indice di desertificazione.
  • L’affermazione “l’avanzata del fenomeno rappresenta già da un decennio una vera e propria emergenza ambientale”, per i dati presentati pare totalmente inverosimile, lo studio è precedente al 2000.

Il commento migliore a questa creazione di ansia continua lo lascerei a Nanni Moretti:

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NB: l’immagine iniziale è la copertina del Bollettino WMO del 1957, nel quale si leggeva:

One of the major problems facing mankind is now to feed the ever-increasing population of the world. Although it is not possible to make a precise estimate of the population 50 years hence, it is quite clear that if the present natural increase continues, there will by that time be many more millions of mouths to feed. Scientists are therefore endeavouring to find ways and means of increasing the productivity of existing agricultural land and of bringing into cultivation land which is at present unsuitable for food production.

Among the international projects which have this object in view, mention must be made of the Arid Zone Programme of UNESCO. The arid lands represent a very high proportion of the Earth’s surface and even a marginal increase in their agricultural productivity would be of great importance. As the lack of water is one of the basic problems to be solved, it follows that meteorologists have a great responsibility in this research programme. WMO has been collaborating with UNESCO in its programme for several years and has sent representatives to all the major scientific gatherings which UNESCO has organized. The picture on the cover shows a semi-arid district in Venezuela.

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  1. http://notizie.virgilio.it/notizie/cronaca/2010/05_maggio/28/legambiente_27percento_territorio_italiano_a_rischio_desertificazione,24510477.html []
  2. A livello nazionale esiste una definizione univoca e condivisa dei concetti, e quindi dei termini, riferiti a: sensibilità, vulnerabilità, rischio. Nell?utilizzo di tali definizioni sarebbe opportuno chiarire contestualmente se a ciascun termine venga associato un gradiente di importanza (ad es.: la catena sensibilità – vulnerabilità – rischio potrebbe rappresentare un gradiente crescente di gravita rispetto al fenomeno), oppure definire un riferimento a stati del fenomeno attuali, potenziali o futuri (ad es.: sensibilita = stato attuale; vulnerabilita = stato potenziale; rischio = scenario piu probabile []
  3. http://www.greencrossitalia.it/ita/acqua/risorse_acqua/acqua_002.htm []
  4. http://www.greencrossitalia.it/ita/acqua/risorse_acqua/desertificazione/italia.htm []
  5. http://www.globalpressnet.it/articolo.asp?id=10432 []
  6. http://www.greencrossitalia.it/ita/news/acqua/news_034_a.htm []
Published inAmbienteAttualitàNews

3 Comments

  1. Piero Iannelli

    Come non lasciare un commento?
    Un plauso, un applauso!
    BRAVO FABIO SPINA!

    Mi auguro sia felice di leggersi come il “WWF” predichi l’utilizzo di C.A.D.A.V.E.R.I U.M.A.N.I. per scatolette di carne per cani e gatti.

    Non meno folle, della roboante “DESERTIFICAZIONE”..

    Non ci credete?
    Leggete qui e troverete riferimenti precisi e incontrovertibili, con tanto di “fonti” referenziate, come l’ OCCIDENTALE” :

    http://www.wikio.it/article/stefania-prestigiacomo-dichiara-wwf-associazione-gatti-189299943

    Che vengano sbuggiardati, derisi e messi alla berlina!

    Una sola informazione deve essere “veicolata”:
    IL “RISCALDAMENTO GLOBALE” è SEMPLICEMENTE UNA BUFALA!
    Finalizzata a truffe !

    E qui ne troverete una ampia, quanto esaustiva e dettagliata spiegazione:

    http://www.wikio.it/article/wwf-cambiamenti-climatici—riscaldamento-globale-gloria-189667567

    Cordialmente .

    Piero Iannelli

  2. […] Dillo almeno con parole tue… 6 giugno 2010 tags: ambiente, clima, desertificazione, legambiente di Giordano Masini Nel celebre romanzo di Buzzati erano i Tartari che non arrivavano mai, mentre dalle nostre parti è lo stesso deserto che, costantemente e tenacemete invocato, tarda ad apparire all’orizzonte. Date un’occhiata a questa sequenza, evidenziata da Fabio Spina su Climate Monitor: […]

  3. Luigi Mariani

    Gentile dottor Spina,

    penso che la definizione di desertificazione data da UNEP (degradazione del suolo in aree ariede, semiaride e subumide che porta all’impossibilità di sviluppo per la vegetazione) sia la chiave per capire i dati tanto estremi riportati nella nota stampa di Legambiente e che sarebbero tratti da uno studio Enea.

    Tenga conto che secondo la definizione di desertificazione sopra riportata sono aree desertificate anche i calanchi, una forma erosiva tipica dei suoli argillosi dei nostri Appennini e che è nota fin da epoca romana.

    Da condannare mi pare l’uso mediatico dell’informazione: parlare di percentuali così alte come nel comunicato stampa di Legambiente senza un minimo di analisi si tramuta in un “procurato allarme” che non giova alla soluzione dei problemi. Parlare di ecoprofughi nel caso delle regioni del sud non è serio.

    Poi ci si mette anche il livello del mare quando è noto che il livello del Mediterraneo sale molto meno del livello globale, che è di + 3 mm/anno.

    Infine ci si mette quel “si è triplicato l’inaridimento del suolo”: io mi occupo profesionalmente del soddisfaciemnto delle necessità idriche delle colture e non riescio a veder nulla che si sia triplicato non dico negli ultimi anni ma negli ultimi millenni.

    Insomma, di questa sbobba potremmo fare davvero a meno. C’è bisogno di un “ritorno alla realtà” che tenga conto di quanto di negativo e di quanto di positivo vi è nel modo vero.

    A tale riguardo porto il seguente esempio: la superficie a bosco in Italia è aumentata di quasi il 60% dal 1910 ad oggi, passando da 4.5 a quasi 7 milioni di ettari, ed è aumentata soprattutto in area montana (Appennini e Alpi).
    Sono anche queste le informazioni che per dovere etico Legambiente e le altre organizzazioni ambientalistiche (che magari sono pure dotate di un comitato scientifico….) dovrebbero dare ma che oviamente non danno in quanto non corroborano la tesi del “disastro subito”.

    Luigi Mariani

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