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Guardar la temperatura dell’aria dalla parte delle radici: bilancio radiativo di superficie e trappole per fotoni

La temperatura dell’aria misurata dalle stazioni meteorologiche è frutto di tre principali processi:

  1. Il flusso di energia dalla superficie sottostante, che a sua volta è frutto del bilancio energetico di superficie (in proposito vale grossomodo il detto secondo cui il sole non riscalda l’aria ma viceversa riscalda la superficie la quale a sua volta riscalda l’aria).
  2. Il trasporto orizzontale di aria calda o fredda (avvezione), fenomeno complesso e che ci rimanda alla circolazione atmosferica alle diverse scale.
  3. Il trasporto verticale di aria calda da parte delle masse d’aria (convezione), fenomeno anch’esso complesso perché tira in causa le dinamiche della convezione nello strato limite e nella libera atmosfera.

In questa sede trascurerò i processi 2 e 3 e mi limiterò ad analizzare in modo sommario il processo 1 (bilancio energetico di superficie).

Il bilancio energetico della superficie può essere espresso dall’equazione che segue:

Rn=G+H+LE

In essa:

  1. G è il flusso di calore nel terreno.
  2. H è il flusso turbolento di calore sensibile (sensibile perché è percepibile con i sensi e con i termometri e dunque è associato alla temperatura dell’aria). H si definisce come il flusso di energia suolo – atmosfera e viceversa che non comporta cambiamenti di stato dell’acqua.
  3. LE è flusso turbolento di calore latente (latente perché non è percepibile con i sensi e con i termometri e dunque non è in alcun modo associato alla temperatura dell’aria). LE si definisce come il flusso di energia suolo – atmosfera e viceversa che si svolge attraverso i cambiamenti di stato dell’acqua (evaporazione, condensazione, congelamento, sublimazione). Ad esempio un gramo d’acqua che evapora assorbe 245 Joule e altrettanti ne libera condensando.
  4. Rn è il flusso di energia radiante, a sua volta è frutto del bilancio radiativo di superficie.
Tale equazione si può recitare dicendo che un flusso guida (Rn) genera tre flussi (G, H ed LE). Pertanto per comprendere il bilancio energetico di una superficie è necessario partire dalla comprensione dell’equazione del bilancio radiativo di superficie, al quale è infatti dedicato questo post.

Questa premessa potrà essere giudicata dal lettore come espressione di nozionismo ma, credetemi, senza uno sforzo di comprensione di questi argomenti non è in alcun modo pensabile addentrarsi in ragionamenti sulla temperatura dell’aria.

Trattando delle equazioni del bilancio radiativo ed energetico di superficie si adotterà la convenzione per cui tutti i flussi sono considerati positivi se diretti verso la superficie, negativi in caso contrario.

L’equazione del bilancio radiativo di superficie è la seguente:

Rn=Rg*(1-A)+RL1+RL2

ove:

  • Rn=radiazione netta
  • A=albedo
  • Rg=radiazione solare globale
  • RL1=radiazione a onda lunga emessa dalla superficie terrestre
  • RL2= radiazione a onda lunga uscente intercettata dall’atmosfera e re-irraggiata verso il suolo

Vediamo di approfondire l’analisi dei diversi termini del bilancio radiativo sottolineando anzitutto che il termine Rg*(1-A) è un termine ad onda corta (emissione solare) mentre i termini RL1 ed RL2 sono termini ad onda lunga (emissione terrestre). In proposito si veda lo spettro disegnato in figura 1.

Figura 1 – Spettro elettromagnetico indicativo (i valori in ascissa rappresentano le lunghezze d’onda in micron e non sono in scala). Su nostro pianeta non giungono le radiazioni solari X e Gamma perché schermate dall’alta atmosfera e l’ultravioletto C (UVC) perché schermato dall’ozono stratosferico mentre giungono l’ultravioletto B ed A (UVB ed UVA), il visibile (VIS) e l’infrarosso vicino (IRV). Il pianeta emette verso lo nello spazio nell’infrarosso lontano IRL (i massimi di emissione di Sole e Terra ricavati con la legge di Wien sono rispettivamente a 0.48 micron e cioè in pieno visibile e a 9.8 micron). Si noti che Sole e terra parlano lingue diverse in ragione delle temperature diversissime (6000 K per il Sole. 300 K per la Terra) che in base alla legge di Setfan e Bolzmann si traducono in emissioni di energia incommensurabilmente diverse.

La radiazione solare globale Rg è scomponibile nelle sue componenti diretta e diffusa. La radiazione diretta è quella che pare giungere direttamente dal disco del Sole mentre la diffusa perviene dal resto della volta celeste come risultato dei fenomeni di rifrazione da parte dell’atmosfera. E’ ovvio che il valore assunto dalla radiazione globale e la percentuale di diretta e diffusa dipendono dalla torbidità atmosferica, dall’altezza del sole, dalla presenza di nuvolosità, dall’orizzonte orografico locale e da eventuali ostacoli (edifici, alberi, ecc.).

Per inciso la presenza di radiazione diffusa è cruciale perché la Terra sia come sia: è infatti grazie a tale componente che la vegetazione può prosperare anche in valli chiuse in cui la radiazione diretta non giunge quasi mai. Peraltro se si guarda il cielo visto dalla luna quel che colpisce di più è che esso è completamente nero in virtù di un’atmosfera assai rarefatta, per cui esiste in pratica solo radiazione diretta.

L’albedo A è fortemente influenzato dal tipo di superficie (tabella 1). Per le colture agrarie può essere considerato un albedo medio di 0.23, con valori alquanto variabili in funzione del tipo di coltura e dello stadio di sviluppo.

I termini RL1 ed RL2 (termini a onda lunga di origine terrestre) agiscono in continuo con il risultato di una graduale perdita di energia del pianeta, perdita che solo di giorno è controbilanciata dalla radiazione solare. Al contrario durante la notte, essendo nulla la radiazione solare, RL1 ed RL2 sono cruciali nel determinare l’entità del raffreddamento notturno del suolo e quindi ad esempio la possibilità di gelate.

Al termine RL2 (radiazione del cielo) contribuiscono in modo determinante i componenti atmosferici che con la loro azione intercettano l’energia emessa dalla Terra (effetto serra). In sostanza si può considerare che un generico fotone emesso dalla Terra venga intercettato dalla molecola di un gas serra, che acquisirà energia passando ad un stato eccitato. In seguito tale molecola ricadrà allo stato di base emettendo un proprio fotone in una qualunque direzione. Se l’emissione avverrà verso la Terra questa riacquisterà almeno in parte l’energia persa in precedenza (figura 2a).

Il contributo all’entità di RL2 degli ostacoli naturali o artificiali (alberi, case, montagne, ecc.) si esplica attraverso una riduzione della visione del cielo; in altri termini tanto meno cielo è visto da un certo punto della superficie per effetto degli ostacoli e tanta più alta è la frazione di RL1 intercettata dagli ostacoli stessi e rinviata verso terra (figura 2b).

Figura 2 – la figura 2a riporta una schema idealizzato dell’effetto serra. Un gas serra (pallino nero) assorbe un fotone emesso dal suolo (linea nera) e si eccita. In seguito ritorna allo stato fondamentale e mettendo un altro fotone verso il suolo che va a compensare la perdita di energia del pianeta verso lo spazio (linea rossa). La figura 2b rappresenta l’effetto di un ostacolo (box grigio che rappresenta ad esempio un edificio). L’ostacolo riduce la visione del cielo e intercetta fotoni evitandole la perdita verso lo spazio. Se le città crescono in altezza la visione del cielo dal fondo delle vie si riduce sempre più enfatizzando con ciò l’isola di calore urbano. L’area urbana è a tutti gli effetti una trappola per fotoni che enfatizza l’effetto serra naturale.
Figura 3 - Trappole per fotoni. La città sale sempre più in verticale e l’isola di calore esplode. Peccato che nessun ecologista si scomponga o tantomeno protesti (vedere il commento a figura 2). La foto si riferisce a Milano.

Il basso fattore di visione del cielo è ad esempio il motivo per cui in ambito urbano è difficile assistere a gelate in vie strette mentre assai più frequente è il fenomeno in piazze ampie; le città si comportano cioè come delle gigantesche trappole per fotoni (figura 2b e figura 3). Anche i fondovalle di vallate strette vedono poco cielo e dunque presentano un’emissione netta verso lo spazio di molto inferiore rispetto alle cime delle montagne stesse. In quest’ultimo caso l’alta probabilità di gelate invernali nei fondovalle si deve non tanto all’irraggiamento quando al drenaggio di aria fredda dalle cime, che avendo invece un fattore di visione del cielo molto alto si raffreddano fortemente risultando produttrici di enormi quantità di aria fredda che essendo più densa ricade nei fondovalle.

In tabella 2 si riportano i valori indicativi dei diversi termini del bilancio che si registrano di notte e di giorno mentre in figura 4 si riporta l’andamento nelle 24 ore dei termini del bilancio radiativo in un ambiente forestale ed in condizioni di tempo stabile e soleggiato. Si osservi che al mezzogiorno solare alle medie latitudini in giornate estive di cielo limpido giunge al suolo un valore di Rg grossomodo pari a 900W/m². Si tratta di una quantità di energia che, seppur di molto inferiore rispetto ai 1367 W/m² della costante solare, è veramente considerevole. Infatti se un agricoltore pagasse a prezzi di mercato (tariffe Enel) l’energia che in una giornata estiva serena giunge sul suo campo, l’esborso per ogni ettaro coltivato sarebbe di circa 1500-3000 Euro.

Figura 4 – Bilancio radiativo di superficie misurato a Cedar River – Washington (47°N) il 10 agosto 1972 al di sopra di un bosco di abeti (dati da Gay e Stewart, 1974, riportati in Oke, 1978).

Ricapitolando, il bilancio radiativo di superficie serve per rendere ragione dei flussi di energia in forma di radiazione che interessano tutti i corpi. La radiazione netta che è il risultato di tale bilancio è responsabile dei conseguenti flussi in forma diversa dalla radiazione (calore latente, calore sensibile e calore del suolo) che caratterizzano il bilancio energetico di superficie. E’ da questi flussi ed in particolare dal flusso di calore sensibile che dipende la temperatura dell’aria, ma di questo parleremo in un prossimo post.

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Published inAttualitàClimatologiaMeteorologia

9 Comments

  1. donato

    Con la solita semplicità e con grande efficacia L. Mariani è riuscito a trattare un tema ostico che coinvolge il bilancio radiativo ed energetico della superficie terrestre. Mi chiedevo, però, se nel bilancio energetico non sia il caso di inserire anche un ulteriore termine: il calore geotermico. Sotto i nostri piedi, infatti, si trovano miliardi di chilogrammi di roccia ad alta temperatura. Il calore contenuto in queste rocce, prima per convezione, poi per conduzione, arriva all’interfaccia aria-terra e contribuisce a riscaldare l’aria sovrastante. Tale flusso di calore è senza alcun dubbio molto inferiore a quello del Sole (0,06 W/mq, in media, contro circa 100 W/mq [valore medio!]), ma, in ogni caso, contribuisce al riscaldamento dell’aria sovrastante. Esso, inoltre, è presente tanto di giorno quanto di notte, tanto con cielo nuvoloso, quanto con cielo sereno. E’ minuscolo, ma costante.
    Ciao, Donato.

    • Luigi Mariani

      Caro Donato,

      certo, nel bilancio energetico (che sarà oggetto di un mio prossimo post) entrano vari termini e fra questi il flusso di calore nel suolo nel quale rientra anche il flusso di energia endogena verso la superficie.

      In realtà, come hai del resto scritto anche tu, il flusso geotermico alla superficie è di norma troppo piccolo per poter incidere in modo significativo sul bilancio energetico di superficie e personalmente non ho mai sentito la necessità di tenerne conto.

      Volendo studiare gli effetti di un tale flusso occorrerebbe penso far riferimento ad aree affette da vulcanesimo secondario e dove dunque il flusso stesso è molto più robusto.

      Luigi

  2. fabiot

    bellissima dolina, forse è un po piccola per le grandi escursioni termiche?

    • luigi mariani

      Grazie alle indicazioni di Augusto Leopardi ho potuto verificare i caratteri della Dolina Mortaro grande utilizzando Google Earth.

      La profondità del fondo è di 213 m ed il bordo superiore più basso (da cui l’aria fredda può defluire) è a 222 m, per cui la profondità utile è di soli 9 m. Noto invece che il diametro è considerevole (250 metri) per cui un effetto discernibile di accumulo notturno di aria fredda dovrebbe potersi cogliere, anche se mi rendo conto che non siamo a livelli da record.

      Rispetto a quanto le ho scritto la prego di metterci un beneficio d’inventario legato al fatto che non ho esperienza con misure in dolina.

    • max pagano

      in realtà la bibliografia riporta una profondità di m 50/60 ….

    • max pagano

      ho appena controllato sulle carte IGM;
      il fondo del Mortaro grande si trova a quota 1188 m. slm, il bordo sud-ovest, nella parte più rilevata, raggiunge circa 1250 m. slm….

      riguardo la distribuzione della vegetazione arborea, dalle foto aeree si nota che si trova solo nel versante esposto a Nord della depressione della dolina stessa, può darsi che la minor insolazione e la maggior concentrazione di umidità abbia favorito la persistenza del bosco, ma ricordo che in questa zona i disboscamenti funzionali all’attività pastorale sono stati molto estesi anche in epoche recenti, quindi l’assenza del bosco nelle zone limitrofe potrebbe non essere ” del tutto “naturale”….
      effettivamente questa presenza boschiva concentrata sui versanti esposti a nord delle micro-depressioni delle doline si nota anche nei vicini Mortaro delle Troscie, e nel Mortaiolo…

  3. luigi mariani

    Visto che nessuno ancora scrive. Proverò a scrivere qualcosa io…

    La bellissima foto che introduce l’articolo (e che penso sia stata scelta da Guido Guidi) rappresenta una dolina, fenomeno carsico che si presenta in aree con substrato geologico di tipo calcareo e che è frutto dell’azione di degradazione ad opera dell’acqua piovana della roccia calcarea sottostante.

    Dal punto di vista micro-meteorologico le doline per la loro morfologia del tutto peculiare possono essere ottimi banchi di prova per i modelli di bilancio radiativo ed energetico oggetto di questo articolo.

    In particolare sul fondo della dolina si avranno minime termiche basse perché la radiazione solare che vi giunge è scarsa e perché vi si accumula aria fredda che si sviluppa sui fianchi della dolina e poi drena verso il basso. Tale accumulo è solo in parte compensato dalla minore visione del cielo che caratterizza il fondo della dolina.

    Per confermare l’entità di tali fenomeni micrometeorologici e dell’inerferenza che con essi hanno le strutture circolatorie a meso o macroscala (es: anticicloni) sarebbe sufficiente fare un transetto su una linea di massima pendenza ponendo dei termometri elettronici a quote diverse rispetto al fondo.

    Si noti anche che la vegetazione arborea (più esigente) si è insediata solo nella zona più elevata, ove il meccanismo erosivo carsico è meno pronunciato e dunque lo spessore del suolo risulta sufficiente; per il resto abbiamo solo vegetazione erbacea (meno esigente in fatto di substrato).

    Per dire qualcosa di più sulla vegetazione arborea presente (a prima vista mi paiono querce – magari lecci – ma potrei sbagliarmi…) occorrerebbe capire dov’è stata presa la foto.

    Il ragionamento sulla foto mi pare utile per mostrare che le tecniche a bilancio radiativo ed energetico da me descritte non dovrebbero stare ad ammuffire nei libri. Infatti si tratta di tecniche passibili d’impiego pratico e che possoo dare risultati molto utili in termini di qualità della vita e di tutela dell’ambiente.

    • Luigi, ti confermo di aver scelto io la foto, perché in effetti ho pensato che riassumesse piuttosto bene il concetto di diversità spaziale a microscala che caratterizzano il bilancio radiativo di superficie. Però purtroppo non so darti riferimenti areali.
      gg

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