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Dimmi dove sei e ti dirò quanto caldo hai

Quando si dice la coincidenza. Soltanto ieri abbiamo pubblicato un post in cui si affronta il tema molto controverso del rapporto tra l’editoria scientifica tradizionale e l’esuberante mondo dell’open access. Oggi ci capita l’occasione di parlarne ancora, non più in termini generici, ma su specifici argomenti di ricerca.

Per la verità quella che in modo un po’ stucchevole si definisce “blogosfera climatica” era in attesa già da qualche giorno. Il blog climatico più seguito in assoluto, Wattsupwiththat, aveva sospeso le pubblicazioni, rimandando ad un annuncio a sensazione atteso per domenica scorsa alle 12 ora della costa occidentale USA.

Annuncio che è puntualmente arrivato. Ma andiamo con ordine.

La critica più accesa che il mainstream scientifico muove a quanti sono su posizioni scettiche riguardo al riscaldamento globale ed alle sue origini, è forse anche la più stucchevole: la materia è talmente complessa – ci dicono – che parlarne o, peggio, tentare di confutarla attraverso i canali non tradizionali, magari con delle ‘semplici’ discussioni sul web, è oltraggioso. Dovrebbe magari far riflettere il fatto che non venga adottato un analogo atteggiamento verso chi discute a ruota libera di catastrofi che sono inesistenti sulle pubblicazioni scientifiche ma che fanno bene alla causa del consenso ma, tant’è. Nell’ambito della più classica applicazione di due pesi e due misure, oggi tralasciamo i primi e ci dedichiamo alle seconde. Perché questo è quello che hanno fatto su WUWT.

Seguendo il solco tracciato dal Berkeley Project (BEST) altro importante progetto di ricerca in tema di stima e misura delle temperature medie globali, hanno presentato uno studio non ancora sottoposto a referaggio, confidando, prima di una successiva richiesta di pubblicazione tradizionale, che questo possa avvenire proprio sul web, attraverso quei canali non tradizionali di cui sopra.

Sono quindi stati resi disponibili:

Ok, ma di che si tratta? Semplice – si fa per dire – si tratta delle fondamenta del ‘problema’ riscaldamento globale, sia antropica o meno la sua origine. Si parla di qualità delle stazioni e dei dati rilevati. Nella parola ‘riscaldamento’ è infatti racchiuso ovviamente il concetto di aumento delle temperature medie superficiali, la cui stima è possibile soltanto attraverso la collezione delle misure rilevate su base puntuale dalle stazioni meteorologiche. Non tutte le stazioni sono uguali, anzi, sussistono differenze sostanziali nella tipologia del territorio che le accoglie, tanto da rendere necessaria ai fini delle eventuali correzioni dei dati, una loro classificazione ben precisa: stazioni urbane, semi-urbane e rurali. Di più, le predette condizioni possono – e di fatto avviene regolarmente – mutare radicalmente nel corso del tempo.

Dal momento che le stazioni meteorologiche comunque non coprono tutto il territorio, sono necessarie molte operazioni di interpolazione, a valle di quelle di aggiustamento dei dati in funzione della loro classificazione. Ora, nel 2010 è stato presentato un lavoro riguardante proprio la classificazione e qualità delle stazioni, ovvero dei parametri da tenere in considerazione per definirle, lavoro successivamente adottato dalla Organizzazione Meteorologica Mondiale come standard. Adottando quelle procedure alle stazioni sul territorio americano in luogo di quelle normalmente impiegate per il dateset USHCN, lo studio di Watts e soci ha identificato per il periodo 1979-2008 un trend di riscaldamento più che dimezzato rispetto alle stime precedenti. Più della metà del riscaldamento occorso al territorio USA (quello con la maggiore densità di siti di misura, inoltre) sarebbe derivato da errate procedure di aggiustamento scaturite da diversa valutazione dell’impatto delle condizioni al contorno sul dato grezzo e della successiva omogeneizzazione dei dati.

Un bel sasso nello stagno. C’è da scommettere che la discussione sarà appassionante. Roger Pielke sr e Andrew Montford (Bishop Hill) hanno già detto la loro, lodando l’iniziativa di Watts e sottolineandone le implicazioni. Per parte nostra possiamo sicuramente immaginare l’incipit di quanti alzeranno il sopracciglio: Si dirà che lo studio è interamente dedicato al territorio USA e non ha quindi valenza globale. A questa ‘critica’ si può rispondere argomentando, facendo cioè notare che la densità delle stazioni USA è la più alta in assoluto e che se ci sono problemi di ‘peso’ e omogeneizzazione dei dati grezzi lì, è altamente probabile che gli stessi problemi affliggano anche tutto il resto, oppure speculando, dopo settimane di tam tam mediatico circa il fatto che la siccità USA sarebbe prova del riscaldamento globale, ci sta che la temperatura USA sia origine del suo dimezzamento :-).

Molto curiosamente, l’uscita di questo draft é in sincronia con la diffusione di un altro dei paper provenienti dal progetto BEST, sempre in tema di temperature, sul quale Richard Muller che ne é il project leader, pare aver basato quella che egli stesso definisce “la mia totale conversione” (da scettico a credente, se ne sentiva davvero bisogno!) sul palcoscenico delle colonne del NYT. Si sente puzza di intelligence scientifica da lontano un miglio. Eppure come abbiamo visto c’é già chi scommette che Muller e soci dovranno rimettere mano al pallottoliere, avendo preso per buona una definizione di qualità e successive operazioni di omogeneizzazione che sembrano essere altamente migliorabili. Non si capisce quindi come Muller possa aver operato questa sua conversione basandosi esclusivamente sulle osservazioni (che qui tremano), arrivando ad una affermazione ancora più forte di quelle contenute nel quarto report IPCC. A muovergli questa critica é (di fatto scaricandolo) Judith Curry che da autorevole eretica qual’é, era la testa di ponte del progetto BEST con il mondo scettico.

Prima di chiudere una nota che potrebbe riguardarci da vicino. Nel lavoro di Watts at al., le stazioni meteorologiche che escono più malconce in termini di affidabilità e qualità delle osservazioni ai fini climatici, sono quelle aeroportuali, che hanno spesso il difetto di avere caratteristiche urbane in contesti una volta rurali. Questa, benché non rappresenti una novità assoluta, non è affatto una bella notizia, perché ad esempio sul nostro territorio, la maggior parte delle stazioni meteorologiche di cui siano disponibili serie climaticamente utilizzabili è appunto su sedimi aeroportuali. Vedremo.

Ma, soprattutto, vedremo se il paper di Watts et al., supererà la barriera del confronto con la comunità scientifica. Dietro ci sono nomi come McIntyre e Christy, non proprio due pesi leggeri, nel campo statistico il primo e in quello puramente climatico il secondo. Se questo avverrà, difficile che chi gestisce i dataset di temperatura possa non tenerne conto. Viviamo tempi interessanti.

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Published inAttualitàClimatologia

7 Comments

  1. […] abbiamo pubblicato il nostro commento al release del lavoro di Watts et al. Donato, uno dei nostri più attenti […]

    • donato

      Veder riassunti in modo così approssimativo e grossolano tanto l’articolo di Muller, quanto l’articolo di Rohde et al. è veramente penoso. Le pagine del Corriere dedicate a scienza e tecnologia, in questo caso, rendono un pessimo servizio alla scienza. Possono, però, essere considerate un ottimo esempio di disinformazione e propaganda. Opinione personale, ovviamente.
      Ciao, Donato.

  2. donato

    R. Muller ha risolto tutti i suoi dubbi e, in parte, anche i miei. Ciò che più mi ha impressionato del suo articolo sul NYT è la nettezza delle posizioni. Il riscaldamento globale, ci dice, non ha nulla a che vedere con l’intensificarsi degli eventi estremi (cicloni, uragani, tornado) o con lo sbiancamento dei coralli. I ghiacciai dell’Himalaya non si scioglieranno entro il 2035, gli orsi polari non stanno morendo per colpa del riscaldamento globale, le ondate di calore negli USA, in Russia o nel Mediterraneo non dipendono dall’AGW. Non ho, infine, nulla da obiettare alle sue considerazioni circa il mancato riscaldamento dell’ultimo decennio: potrebbe trattarsi effettivamente di un fatto statisticamente poco significativo. Muller ammette anche che oggi stiamo sperimentando temperature globali inferiori a quelle del passato, per esempio di quelle relative al medioevo. In altre parole R. Muller fa piazza pulita di tutta la paccottiglia propagandistica, ideologica, politica, falso-ambientalista che ha inquinato, ed inquina, il dibattito scientifico serio sul clima terrestre. Mi auguro che anche i “color che tutto sanno” nostrani possano rendersi conto delle corbellerie che scrivono nei loro post, commenti ed interviste rilasciate ai media. Egli, comunque, alla fine, si dice convinto di aver individuato nel riscaldamento globale la “firma” dell’uomo. Secondo lui, infatti, non di GW si tratta, ma di AGW. In questo noto una grande coerenza: in tempi diversi ebbe a dire (e lo ribadisce nel suo articolo) che anche lo scienziato più scettico deve arrendersi di fronte all’oggettività dei dati. Evidentemente egli ha individuato nel lavoro di R. Rohde et al. l’oggettività che cercava e che lo ha convinto. La posizione di R. Muller, in questa ottica, è limpida ed io la rispetto pur non condividendo la sua sicurezza circa l’attribuzione, esclusiva, del GW alle attività umane.
    J. Curry nel suo lungo post ha ben illustrato le sue perplessità circa l’attribuzione certa del GW alle attività umane. Ella, infatti, cita ben tre studi che mettono in dubbio l’esclusiva responsabilità dell’uomo nell’aver contribuito al riscaldamento globale attribuendone una parte piuttosto consistente (per alcuni 3/4, per altri 1/3) a variabilità naturali. Ciò che ho trovato molto interessante nel suo post, però, sono le considerazioni relative alle interazioni complesse tra i vari elementi che caratterizzano il clima terrestre e che sfuggono a tutti i modelli. Il clima terrestre, infatti, è frutto di un sistema caotico (in senso fisico-matematico) caratterizzato da stati di equilibrio determinati da attrattori. Curry individua due momenti nel 20° secolo in cui si è avuto un passaggio da uno stato di equilibrio ad un altro: 1910 e 1970. Da un punto di vista fisico il clima può essere considerato frutto di oscillazioni sincrone, NON LINEARI, del sistema Oceani-atmosfera e forzanti esterne di tipo naturale o antropico. I cambiamenti climatici, quindi, si verificherebbero quando queste oscillazioni sono tali da portare il sistema fuori del suo stato di equilibrio. In quel momento inizia il cambiamento climatico che deve essere visto come una transazione verso un nuovo stato di equilibrio del sistema. In questa ottica i processi naturali potrebbero tranquillamente coprire quelli antropici o viceversa. E’ uno schema molto interessante che ben si addice ad un sistema complesso come quello climatico. Alla sua base, infatti, non vi sono solo considerazioni statistico-matematiche, ma anche la fisica: cosa molto più importante e ben diversa dalle semplici correlazioni. Il punto debole di tutta la costruzione AGW, infatti, resta sempre e, credo lo resterà ancora per molto, la differenza tra correlazione e causalità. BEST, con l’articolo di Rohde et al., ha messo in evidenza che l’andamento delle temperature negli ultimi 150 anni è fortemente correlata all’aumento della concentrazione di CO2 mentre non è affatto correlata all’aumento della concentrazione di metano o all’irradianza solare o ai cicli solari. Alla stessa conclusione erano arrivati A. Pasini et al. applicando l’analisi econometrica alle variazioni di temperatura e determinando la causalità alla Granger tra variazione della concentrazione di CO2 e temperatura terrestre. In tutti i casi, però, ciò che manca è la causalità fisica. Manca, in altre parole, l’evidenza dei dati osservativi.
    Se, poi, come credono di aver dimostrato A. Watts et al. nelle loro anticipazioni sul web, i dati su cui si basano tutte queste correlazioni sono fortemente condizionati da bias strumentali (legati alla posizione delle stazioni di rilevamento) e/o statistico-matematici (legati alle omogeneizzazioni dei dati grezzi), ci si rende conto che è ancora molta la strada da percorrere, prima di arrivare all’attribuzione definitiva delle responsabilità del GW. Anzi potremmo scoprire che questo benedetto GW è molto meno intenso di quanto si credeva fino ad ora. Una cosa vorrei, comunque, mettere in evidenza. Due studi indipendenti, D. Koutsoyiannis et al. prima, ed ora questo di Watts ed al., hanno individuato grossi problemi nei metodi di omogeneizzazione dei dati che sembrerebbero ridurre della metà il riscaldamento registrato nell’ultimo secolo. In questo senso verrebbero confermate le conclusioni desunte dall’analisi dei dati di prossimità relative agli anelli degli alberi della Scandinavia settentrionale
    http://www.climatemonitor.it/?p=26716
    che non evidenziavano alcuna impennata delle temperature nell’ultimo secolo. Certo che è piuttosto ridicolo dover constatare che i dati proxy sono più attendibili dei dati reali di temperatura dopo l’omogeneizzazione. A volte la statistica non rende un gran servigio alla conoscenza. 🙂
    Ciao, Donato.

  3. Guido Botteri

    dice Muller in
    http://www.nytimes.com/2012/07/30/opinion/the-conversion-of-a-climate-change-skeptic.html?_r=1&source=science20.com
    “Three years ago I identified problems in previous climate studies that, in my mind, threw doubt on the very existence of global warming.”
    Mi par di capire quindi che si tratti di un momentaneo dubbio (di 3 anni fa) di un sostenitore dell’ipotesi AGW.
    Quello che davvero non mi convince è tutta questa pubblicità data alla sua presunta conversione, come se fosse stato uno scettico di lunga data, come a dire “vedete, anche gli scettici si convertono…”, e il pezzo viene mandato ai giornali, saltando la peer-review… perché ?
    ma cos’è questo, se non una diversa forma di argumentum ad verecundiam ?
    Cioè, qui non si propongono argomenti nuovi,
    ma
    si fonda la speranza di convinzione della gente sul fatto che qualcun altro si sia convinto, un po’ come l’ipse dixit, come il consensus e ogni forma con cui si cerca di forzare l’adesione della gente (non con argomenti “veri” ma) citando opinioni che dovrebbero convincere perché numerose o autorevoli.

  4. Claudio Costa

    Cè un meccanismo interessnate che riguarda le isole di calore. Tutto il calore generato nelle case o nelle fabbriche esce nell’ambiente e lo scalda. Tutto! quindi il riscaldamento dei locali, ma anche l’acqua calda (bagni e lavatrici) negli scarichi ancora più evidente per le industrie, poi c’è l’albedo ecc ecc.
    Il meccanismo che temo sia sottovalutato è che nel caso il tempo si raffreddi cioè si vada incontro ad un inverno molto freddo, aumento viceversa la perdita di calore verso l’ambienet per varie ragioni : si scalda di più e c’è più differenza di T tra le case e l’aria. Quindi più fa freddo più cresce il mascheramento delle isole di calore

    • Claudio Costa

      dimenticavo anche i fumi di combustione delle caldaie delle auto e degli aerei scaldano l’ambiente limitrofo

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