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Nature Geoscience: Come ti scaldo l’Antartide

Qualche tempo fa, più precisamente appena prima di Natale, ha iniziato a circolare per la rete la classica notizia del dipartimento “è peggio del previsto”: l’Antartide, anzi, la porzione occidentale del continente per l’esattezza, si starebbe scaldando – e quindi prima o poi anche sciogliendo – con una velocità doppia di quanto si pensasse.

Sui nostri media questa ennesima catastrofica novità non ha fatto molta presa, del resto siamo in inverno e parlare di caldo, anche se glaciale, non è proprio il massimo che ci si potrebbe attendere tra caffè e cornetto al primo mattino. La ritroviamo infatti solo qui e su poche altre fonti d’informazione. All’estero è andata molto meglio. Il primo a lanciare un grido di dolore è stato il New York Times, poi sono arrivati di gran carriera la BBC, l’NBC e altri media generalisti, tutti, più o meno con lo stesso tono: temperature che salgono, ghiacci che si sciolgono, mari che si alzano, catastrofe che arriva.

L’origine della notizia è un articolo uscito su Nature Geoscience, cioè non proprio Topolino. Ecco qua:

 

Central West Anctartic amongst the most rapidly warming regions on Earth

(Qui, per chi volesse, una pagina dell’Ucar che parla di questo paper).

 

Per quella porzione del continente, come del resto per la maggior parte del territorio antartico, il problema maggiore, ammesso che ve ne sia uno, è l’assenza di informazioni. Dati scarsi o del tutto assenti, o ancora, nel migliore dei casi molto farraginosi. Che sarà successo? Avranno recuperato un quadernetto in cui qualche intrepido esploratore ha annotato diligentemente le temperature ogni giorno negli ultimi decenni?

Niente di tutto questo, purtroppo. Gli autori di questo articolo hanno semplicemente fatto ricorso all’arte dell’arrangiarsi, cioè di vedersela con quello che passa il convento. E, come detto, non è molto. L’unica stazione in qualche modo rappresentativa per un periodo sufficientemente lungo per l’area è Byrd Station, sito per il quale il GISS della NASA dispone di una serie che parte dal 1957 e arriva al 1975 per poi ripartire nel 1980 e arrivare fino al ai giorni nostri. C’è quindi nei dati un buco di cinque anni, gap che gli autori hanno pensato bene di riempire ricorrendo a dati di rianalisi e a interpolazioni spaziali.

Byrd1

Tralasciando il fatto che le rianalisi non sono riti magici ma dovrebbero essere ricostruzioni basate su osservazioni che nella fattispecie non ci sono perciò immagino l’accuratezza dei dati e che l’interpolazione spaziale un rito magico finisce per diventarlo se lo spazio come in questo caso è enorme, ci sono alcuni curiosi aspetti in questa ricerca.

Gli autori asseriscono di aver “trovato” un riscaldamento complessivo di 2,4°C nel periodo, con un errore di ±1,2°C, cioè un margine del 50% che dovrebbe tener conto delle imprecisioni suddette. Il trend sarebbe di 0,4°C per decade. Guardando i dati resi disponibili dalla NASA, se invece di riempire il gap si incollano semplicemente le serie, il trend lineare è effettivamente di 0,4°C per decade, ma è quasi interamente ascrivibile alla prima parte della della serie, cioè al periodo 1957-1975, un trend di 1°C per decade. Nel periodo successivo, infatti, il rateo di riscaldamento non è statisticamente significativo, 0,3°C per decade.

Byrd0

 

Colmare il vuoto, correggere gli errori e ricostruire la serie, ha quindi fruttato la redistribuzione su tutta la serie di un riscaldamento effettivamente arrivato prima del 1980, cioè quando, parola di quelli bravi, stavano iniziando gli anni ruggenti del riscaldamento globale, appunto le ultime due decadi del secolo scorso.

 

Nelle news che hanno ripreso questo articolo, così come nell’articolo stesso, il piccolo particolare che mentre il mondo si preparava alla cottura laggiù non succedeva più niente, anzi, a ben vedere a partire dal 1991 è arrivata pure una rinfrescatina, non sembra esser saltato all’occhio di nessuno, così come nessuno ha fatto notare che con un solo punto di osservazione e con una serie interrotta e poi ripresa c’è poco da ricostruire. E nessuno ha neanche notato il margine di errore del 50%, che di fatto significa che quei numeri possono voler dire tutto e niente.

 

In compenso, naturalmente, è peggio del previsto.

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Published inAttualità

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