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Il ritorno dell’Hockey Stick

Ebbene sì, a volte ritornano. Avete presente le trame horror generiche medie? Un crescendo di malefatte da parte del pazzo o del fantasma della situazione, poi l’ultimo dei buoni che riesce a salvare la pelle magari rispedendo il pazzo o il fantasma in questione da dove era venuto, poi scatta la doccia ristoratrice finale e…zac, scatta anche la coltellata definitiva subito seguita dai titoli di coda.

 

L’Hockey Stick di Michael Mann, la ricostruzione delle temperature emisferiche prima e globali poi, è probabilmente il pezzo di letteratura scientifica in ambito climatico attorno al quale si è più discusso e, climategate, insegna, anche litigato. Per quanti non dovessero avere ben presente di cosa parliamo c’è una pagina di wikipedia che, sebbene addolcita dal sapiente filtro dell’estensore poi privato dei diritti per qualche tempo, rende bene l’idea della situazione. Il punto su cui si è discusso di più e che soprattutto ha indebolito di più i risultati acquisiti da Mann, è stata la scelta dei dati di prossimità impiegati per la ricostruzione e il trattamento statistico degli stessi. Fatto sta che quella ricostruzione è stata un’icona del terzo report IPCC ed è stata invece eliminata dall’ultimo.

 

 

Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare sui media di una nuova ricostruzione delle temperature, che non è limitata agli ultimi dieci secoli ma si spinge addirittura fino a 11.300 anni fa, sino all’epoca del primo Olocene. E’ definitivamente un novello Hockey Stick, con il più classico degli andamenti più o meno piatti per gran parte del periodo, fino a un rapido ed improvviso innalzamento in epoca recente, quello appunto in cui sarebbe stato prevalente il contributo antropico alle dinamiche della temperatura media superficiale del Pianeta.

 

 

A Reconstruction of Regional and Global Temperature for the Past 11,300 Years – Science, Marcott et al., 2013

 

Le informazioni mediaticamente più appetibili, ma anche quelle scientificamente più significative se ritenute valide, naturalmente le ritroviamo nell’abstract:

 

[…] Le temperature dell’ultima decade non hanno ancora superato i valori di picco interglaciali ma sono più alte di quanto siano state nel 75% della storia dell’Olocene. Le proiezioni al 2100 dei modelli del panel intergovernativo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici superano l’intera distribuzione delle temperature dell’Olocene per tutti i possibili scenari di emissione.

 

In sostanza, non fa ancora tanto caldo quanto ne ha fatto all’inizio dell’Olocene, ma è probabile (secondo l’IPCC) che questo accada entro il 2100.

 

Naturalmente questo paper non ha ricevuto soltanto una abbondante copertura mediatica, ma anche molta attenzione da parte della blogosfera climatica notoriamente scettica sull’argomento AGW. La prima critica consistente la ritroviamo sul blog di Judith Curry, dove viene ospitato un post che mette in risalto il fatto che con una oculata scelta dei dati di prossimità da prendere in considerazione e con un trattamento statistico particolare, ancora una volta, l’ennesima, è stato fatto scomparire da una ricostruzione delle temperature il Periodo Caldo Medioevale (MWP), in barba alla gran messe di letteratura scientifica che invece ne almeno sin qui certificato l’esistenza.

marcott-fig-1b-annotated

 

L’MWP risale a circa mille anni fa e in questa ricostruzione non se trova traccia. Perché? Secondo quanto leggiamo sul blog della Curry la spiegazione è piuttosto semplice. I dati di prossimità impiegati hanno mediamente una risoluzione temporale di 160 anni, ma, per poter andare così indietro nel tempo, nella ricostruzione si è deciso di assegnare maggior peso a quelli a bassa risoluzione, circa 300 anni. Più o meno tanti quanti è durato l’MWP che appunto sparisce. Da notare che anche il global warming, almeno nella sua accezione ad esclusivo contributo antropico è parecchio più breve di 300 anni, ma questo non rappresenta un problema, perché per l’ultimo periodo si possono sempre confrontare le mele con le pere e aggiungere al dataset di dati dati di prossimità le temperature osservate.

 

Quel che però interessa di più è sicuramente la risoluzione a 300 anni, perché la si ritrova anche nei criteri di scelta delle serie di dati di prossimità che si è deciso di utilizzare. E qui arriva un altra critica pesante a questa ricostruzione uscita su WUWT appena un paio di giorni fa. Pare che il 10% dele 73 serie di dati impiegate non soddisfi questo criterio di scelta, cioè ci sono delle serie che non hanno almeno una informazione ogni 300 anni. Forse se si stabiliscono dei criteri poi si dovrebbe cercare di rispettarli, a meno che quelle particolari serie non contengano delle informazioni irrinunciabili ai fini della ricostruzione. Questo però non è dato saperlo. Del resto, diversamente, il periodo “minimo” avrebbe dovuto essere alzato e questo forse avrebbe reso la mazza da hockey fin troppo piatta per essere ritenuta credibile. Comunque, sempre nel post uscito su WUWT ci sono anche delle figure molto interessanti che riproducono le serie di proxy prima tutte insieme e poi una per una. Se guardandole tutte insieme è davvero difficile capire come possa venirne fuori qualcosa che abbia un significato (ma la statistica fa questo e altro), prendendole singolarmente si scoprono cose spettacolari. Ci sono serie che dall’inizio dell’Olocene mostrano un aumento della temperatura di 9°C e serie che mostrano invece una diminuzione di 7°C. Che razza di media può venir fuori da dati così? Si può immaginare che la temperatura sia costantemente aumentata mentre altrettanto costantemente diminuiva?

 

Forse sì, cosa volete che vi dica, del resto questo genere di ricostruzioni non sono davvero il mio campo, né lo sono le tecniche statistiche impiegate. Fa un po’ impressione però vedere che anche chi queste cose le conosce bene non sembra troppo convinto.

 

Chiudo segnalando qualcosa che i media sembrano non aver notato, evidentemente troppo presi dalla sconvolgente notizia che attualmente la temperatura media superficale del Pianeta sarebbe più alta di quanto sia stata nel 75% degli ultimi 11.300 anni e completerà l’opera secondo le proiezioni entro la fine di questo secolo. Si tratta di questo: nessuno si è chiesto perché nel rimanente 25% del periodo, cioè la bellezza di 5, 6, 7000 anni fa etc abbia fatto così caldo? Dov’era allora la CO2? Da molte parti, ma sempre e comunque sotto la concentrazione di 280 ppmv mi pare…

 

Sicché l’Hockey Stick sarà pure tornato, ma non mi pare che si possa parlare dei titoli di coda.

 

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NB: Grazie a Fabrizio per la segnalazione.

 

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Published inAttualitàClimatologia

7 Comments

  1. […] vi interessa ripercorrere questa ennesima pagina di scienza da operetta, trovate tutto qui, qui, qui e qui su […]

  2. […] temperatura media del Pianeta degli ultimi 11.300 anni fermandosi alla metà del secolo scorso (qui e qui un po’ di precedenti). Un paper che ha avuto molto risalto sui media suscitando al […]

  3. […] nel web climatico continua la polemica sulla ricostruzione in Marcott et al., 2013 (qui e qui su CM), grazie all’eco di uno starnazzo di global warming giunto sin qua sebbene […]

  4. Uberto Crescenti

    Sono sconcertato dalle notizie riportate in questo articolo. Sconcertato perchè non riesco a capire come si possano cancellare decenni di ricerche sulla storia climatica del nostro Pianeta che documentano senza ombra di dubbio il PCM con temperature superiori di1-3 °C rispetto alle attuali. E’ ormai prossimo alla uscita a cura di 21.secolo il volume che raccoglie le relazioni del Convegno organizzato presso la università di Chieti lo scorso 12 giugno da titolo “Clima:quale futuro”, in cui ancora una volta sono riportate relazioni che documentano il PCM e la PEG. E’ vero che la ricerca scientifica si avvicina alla verità attraverso il dubbio, ma certi risultati acquisiti attraverso decenni di ricerca non possono essere cancellati o non ritenuti validi.
    Uberto Crescenti

  5. Certo che è difficile accettare l’onestà scientifica di chi usa proxies con risoluzione di 160 anni, anzi dice di 300 anni, anzi forse ancora più bassa, e poi ci appiccica uno “spike” che coprirebbe dal 1950 ad oggi.

    Insomma a parte i soliti attivisti esagitati e giornalisti ignoranti, chi può pensare di poter “vedere” nel passato con tali risoluzioni, un analogo che a tutt’oggi è durato molto molto meno?

    A meno che questo Marcott (che un lettore di Climate Audit ha scoperto aver modificato il grafico fra la tesi e l’articolo su Science) non voglia dirci che prima di sapere se stia accadendo niente di eccezionale, dovremo aspettare il 2250 quando avremo trecento anni di dati?

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