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Gli interessi sono tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri

Chi scrive è un quasi fanatico della apple. Non possiedo ancora un Mac solo perché il mio portatile fa ancora il suo mestiere. Ho l’Ipad da quando è uscito e, ebbene sì, anche l’Iphone. Capirete l’interesse con il quale il 1° agosto scorso ho ascoltato la puntata quotidiana del programma radiofonico “Destini incrociati” in onda su Radio24. Un programma interessante in cui vengono ripercorse le vite e le gesta di due personaggi il cui incontro ha avuto un significato particolare per il futuro di entrambi. Nella fattispecie si parlava di Steve Jobs e Al Gore, il primo fondatore e vera e propria anima del successo della multinazionale della comunicazione con la mela e il secondo uomo politico dalle mille risorse, premio nobel, ex futuro presidente degli Stati Uniti, infaticabile attivista ambientale, straricco grazie agli investimenti nel settore green etc etc.

 

Per chi segue CM da un po’ sarà chiaro che a prima vista ho pensato che si parlasse del diavolo e l’acqua santa. Dico, che c’entra Al Gore con Steve Jobs? Mal me ne incolga per la mia ignoranza. Andiamo con ordine. Nel 2006 la Apple, fresca del ritorno di Steve Jobs al comando, fu pesantemente presa di mira da greenpeace per la scarsa attenzione alle problematiche ambientali connesse con il settore di applicazione dei suoi affari, l’elettronica. appena un anno dopo, con la medaglia del nobel per la pace appena messa al collo, Al Gore fu chiamato da Jobs nel CdA dell’azienda di Cupertino con la specifica missione di rendere verde la mela morsicata. Chi meglio del potente politico democratico del resto poteva traghettare la Apple verso i favori dell’universo ambientalista? E infatti, appena un anno dopo, missione compiuta.

 

Ora, per Steve Jobs, purtroppo, sappiamo com’è andata. Per la Apple pure, è diventata l’azienda leader nel settore della comunicazione. Almeno fino all’arrivo della coreana Samsung e dei suoi smartphone con Android, diretto antagonista di IOs, l’anima degli apparati mobili della Apple. Da un paio d’anni o forse più, infatti, le due aziende se le sono date di santa ragione, sul mercato ovviamente, ma anche nelle aule dei tribunali, con decisioni ora in favore di una, ora dell’altra, che non hanno ancora fatto capire quale delle due finirà per avere la meglio. Ma c’è chi fa il tifo e, dato che può, fa pure l’arbitro.

 

Qualche giorno fa è apparsa sul corriere una notizia di per se poco importante, almeno per noi che stiamo al di qua dell’oceano. Il presidente Obama ha annullato una decisione della commissione commercio che vietava ad Apple di vendere apparati prodotti in Asia. Ehm, Obama è democratico, Al Gore pure, Al Gore è nel CdA di Apple, Apple è verde e produce in Asia ma lo fa per i suoi dipendenti dal momento che il clima lì è più favorevole, non perché il lavoro costa dieci volte meno che negli USA. Sicché Apple incassa una decisione tutta politica che restituisce parecchio ossigeno, greenpeace è felice, siamo tutti felici e ci vogliamo tutti bene.

 

Attenzione, se a qualcuno venisse voglia di dire “viva google”, cioè viva Android, vi farà piacere sapere che i CdA di Apple e Google fino a pochi mesi fa avevano due membri in comune. Come dire, tutto il mondo è paese, ma qualche posto è più paese degli altri.

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Published inAttualità

9 Comments

  1. giovanni p.

    Chiaro che Apple é bio verde ambientalista e umanitaria.
    Infatti sul retro delI Iphone c’é scritto : designed by apple in California Assembled in China.
    Quindi ingegneri informatici ecc. pagati un fracco di soldi concepiscono il tutto a casa loro, poi lo fanno produrre a una fabbrica di schiavi, magari bambini in asia senza il minimo rispetto di regole civili e ambientali e infine si fanno belli facendosi passare per ecologisti e umanitari
    Un po come il nostro made in Italy, concepito da Italiani ormai defunti o emigrati, copiato e riprodotto dai cinesi o asiatici nel loro paese e quando capita assemblato in Italia dai cinesi immigrati.

  2. Io mi trovo nella condizione opposta alla tua: ho un laptop Apple da un po’ di anni, potrei farne sostanzialmente a meno per lavoro per Linux, ma per la mia “vita personale digitale” (= fotografia) è impossibile. Passare a Windows non cambierebbe la sostanza, complicando peraltro l’operatività. Ma mi guardo bene da comprare iPad e iPhone – rimango decisamente su Android.

    Il legame tra potere e major tecnologiche è una cosa estremamente delicata. L’episodio che hai citato è grave, secondo me, anche se per onestà bisogna ricordare che trent’anni fa Reagan fece una cosa analoga per proteggere la Texas Instruments. Formalmente era più grave la mossa di Reagan, liberista, che non quella di Obama, chiaramente protezionista, anche se a giustificazione di Reagan (che rimane per me uno dei due più grandi presidenti del dopoguerra, essendo Obama probabilmente il peggiore) sta il fatto che il mondo era diverso, meno aperto e la situazione economica americana relativamente peggiore (visto che era apparentemente in piena salute l’Unione Sovietica).

    Il rapporto tra Obama e Apple però è un po’ più sottile rispetto alla questione Gore. Sostanzialmente è composto di due parti, tutte e due legate strettamente ai Big Data (quindi la cosa vale per Apple come per Google, Amazon, Microsoft, Facebook, Twitter e tutti gli altri). La prima parte è istituzionale: l’uso che gli apparati governativi fanno dei Big Data per questioni di sicurezza (vedi polemica NSA e dintorni). La seconda è invece partitica: non solo le grandi major della tecnologia sono cospicui finanziatori della politica americana, Obama ha rivinto le elezioni grazie a due scommesse vinte, una delle quali la capacità dei suoi analisti di lavorare con i Big Data (googlate Nate Silver e dintorni), una cosa che i repubblicani hanno sottostimato l’anno scorso (errore che non ripeteranno in futuro, a quanto pare, dal momento che hanno messo a budget cifre astronomiche in questo campo).

    Tutto questo intreccio tra politica, editoria (giusto oggi la notizia che Amazon si è comprata il Washington Post) e tecnologia pervasiva è pernicioso. Prima o poi arriverà anche da noi, per ora quello che dovrebbe essere esperto è una cosa da operetta, però poi vedrete ne arriverà uno serio.

    Personalmente: uso solo software di navigazione open source, non navigo dal telefonino (lo uso solo per fornire la connessione), viaggio con quasi tutti i cookie disabilitati, non uso né Facebook né Twitter. E’ impossibile difendermi dal “lato NSA”, ma almeno faccio qualcosa per il resto.

    • Fabrizio,
      ovviamente immaginavo che il discorso si sarebbe ampliato e approfondito nella direzione dell’intreccio tra politica ed editoria. In realtà però quella che ha attirato la mia attenzione è stata la questione ambientale, come al solito molto più greenwashed che green. E neanche era mia intenzione puntare il dito verso una situazione probabilmente molto generalizzata, come del resto hai indicato con l’esempio della Texas Instruments. Il fatto è che mi piacerebbe leggere sui media “bene informati” questi punti di vista, piuttosto che doverne leggere di tutt’altra impostazione.
      gg

    • Ti piacerebbe, eh? Ma proprio per questo ho tirato in ballo l’editoria: per levarci dalla testa di leggere sui media “bene informati” un punto di vista oggettivo.

      PS La segnalazione del precedente del 1987, fatta in primis da Mario, era necessaria per onestà intellettuale. Però è rilevante il fatto che siano passati 26 anni, è una mossa è decisamente fuori dall’ordinario.

  3. donato

    “…. Apple è verde e produce in Asia ma lo fa per i suoi dipendenti dal momento che il clima lì è più favorevole, ….”
    .
    Ah, è per questo che in quelle fabbriche hanno dovuto installare delle reti “para-suicidi”!
    .
    Domanda impertinente: Greenpeace che si batte per salvare orsi, foche, alberi, ecc., ecc., ecc. cosa fa per salvare i dipendenti cinesi della Apple?
    (Leggermente OT, e forse un po’ sopra le righe, ma quando ci vuole ci vuole).
    Ciao, Donato.

    • Sì, certo, l’ha fondata, poi ne è stato estromesso e poi è tornato riportandola al successo. I fatti di cui parliamo sono tutti successivi al rientro. In effetti, più che fresca dal ritorno di Jobs, nel 2006 la Apple era fresca del ritorno al successo.
      gg

  4. Mario

    Non va bene, il portatile (non Eppol) che fa ancora il suo mestiere non è una buona scusa per non comprare di corsa un nuovo e fiammante Mac. Susu Guidi, di corsa al più vicino EppolStore 😉
    .
    Era dal 1987 che un presidente non poneva il veto ad una decisione dalla US International Trade Commission.

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