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Dendrocronologia: Le piante non sono come il mercurio

Credo che molte delle polemiche di questi giorni (o anni, se si considera pure la querelle sull’Hockey stick) traggano origine da un uso “sopra le righe” delle tecniche dendrocronologiche per scopi di ricostruzione del clima globale, uso che fu già a suo tempo stigmatizzato dalla commissione Wegman.

Io in tutta franchezza propenderei per una moratoria rispetto all’uso di queste tecniche per ricostruzioni climatiche millenarie a scala globale, e ciò perché si tratta di un peccato d’orgoglio che si finisce prima o poi per pagare.

Il peccato d’orgoglio deriva dal fatto che una pianta non può essere in alcun modo considerata alla stregua di un termometro. In altri termini presupporre una relazione lineare crescita – temperatura (come si fa per la dilatazione termica del mercurio) non è per nulla rispettoso della realtà biologica, in quanto la crescita di una pianta è un processo biologico complesso di cui proverò a tracciare un breve e sommario schema, proprio con lo scopo di rendere evidente tale complessità.

Il processo di crescita è una sorta di “cascata di materia” innescata dall’assorbimento di una frazione più o meno grande della radiazione solare globale (diretta + diffusa) da parte della chioma, che la utilizza per il processo di fotosintesi, il quale genera glucosio a partire da anidride carbonica ed acqua. Tale assimilazione lorda viene poi più o meno fortemente decurtata per effetto di:

  • perdite legate alla traslocazione dalle foglie agli organi di destinazione (fusto, radici, organi di riserva, frutti); tale traslocazione è influenzata dalle temperature e un ruolo rilevante ci gioca il termoperiodo giornaliero (escursione termica giorno – notte) in quanto le temperature ottimali per la fotosintesi possono essere anche sensibilmente diverse da quelle per la traslocazione degli zuccheri prodotti con tale processo;
  • perdite legate alla conversione del glucosio negli elaborati finali (lignina, cellulosa, proteine, ecc.);
  • limitazioni termiche: ogni specie (e all’interno di essa ogni varietà o ecotipo) possiede una propria curva di risposta alla temperatura, con un cardinale minimo, un cardinale ottimale ed un cardinale massimo. Per di più tale curva di risposta varia al variare della fase di sviluppo, e dunque sarà diversa al germogliamento rispetto alla fioritura, ecc;
  • limitazione idrica (una carenza o viceversa un eccesso idrico si traducono in una contrazione della crescita);
  • limitazione nutrizionale (azoto, fosforo, potassio, macroelementi secondari, microelementi);
  • effetti di ripartizione degli assimilati fra i diversi organi (la pianta può riallocare risorse fra foglie, fusti, radici, frutti per compensare eventuali carenze);
  • limitazione legata ad attacchi parassitari (insetti, funghi, batteri, virus, ecc.);
  • limitazioni legate a interventi umani (es: il taglio di alberi vicini stimola la crescita degli alberi rimanenti);
  • avversità abiotiche con effetti traumatici quali vento forte, gelate, grandinate, ecc.

Lo schema sopra illustrato viene ulteriormente complicato da:

  1. Effetti di compensazione, per cui a latitudini (o altitudini) più elevate possono occorrere risorse termiche più ridotte per raggiungere lo stesso risultato produttivo che si ottiene a latitudini (o altitudini) più basse.
  2. Effetti di microclima (le piante vivono calate in un microclima, per cui agli effetti globali si sovrappongono quelli di tutte le scale intermedie).

Per ovviare ai molteplici problemi sopra delineati, nella ricostruzione del clima globale basata su tecniche dendrocronologiche si fa ricorso ad un numero spesso elevato di campioni relativi ad uno stesso sito, escludendo campioni ritenuti non rappresentativi (con costanti rischi di arbitrarietà) e aggregando i risultati in modo tale che gli errori si compensino fra loro (o almeno così si spera).

Peraltro è proprio dalla complessità che ho dianzi evidenziato che trae origine il “problema della divergenza” per cui in parecchi casi è stato osservato che la crescita delle piante arboree non riesce a rappresentare realisticamente il GW degli ultimi 30 anni. Proprio tale problema porta a pensare che se nel periodo utilizzato per la calibrazione (in genere il 20° secolo) le cerchie non rendono ragione in modo realistico del trend delle temperature, in nome di cosa potranno descrivere in modo realistico le temperature dell’optimum medioevale che le fonti documentali (riportate da autori come Monterin, Leroy Ladurie, Berruti, Ortolani) ci indicano come una grande fase calda con caratteri simili e probabilmente più estremi rispetto a quelli del 20° secolo?

Mi domando allora se chi esegue operazioni di ricostruzione climatica globale su archi di tempo lunghi disponga sempre della necessaria preparazione biologica e sia altresì conscio di queste problematiche. In alcuni casi sono convinto di no. Ad esempio quando Kaufman et al. nel recentissimo articolo “Recent Warming Reverses Long-Term Arctic Cooling” (su Science, agosto 2009) scrivono che il trend delle temperature nei 2000 anni che precedono il 20° secolo è stato improntato ad un calo di –0.22°C +/- 0.06°C per millennio, la domanda che sorge spontanea è se un metodo dendrocronologico, con i consistenti livelli di incertezza che lo contraddistinguono, presenti una sensibilità tale da consentire di evidenziare fenomeni di così ridotta entità.

Se trovassi come risultato di un mio lavoro scientifico un dato di questo tipo, magari lo scriverei ma condendolo con mille “se e ma”. Oggi invece questi -0.22 vengono addirittura riportati nel titolo dell’articolo (”Recent Warming Reverses Long-Term Arctic Cooling”) e divengono una “pistola fumante” in virtù della quale si vorrebbe accreditare l’idea di un global cooling in atto negli ultimi due millenni e invertitosi solo nel 20° secolo per effetto dell’AGW. Tutto ciò, oltre a risultare grottesco, pone altresì in evidenza la “distrazione” di editor e revisori di Science, che non hanno invitato gli autori a un briciolo di prudenza.

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Published inAmbienteAttualitàClimatologiaNewsVoce dei lettori

4 Comments

  1. Luca Galati

    Tra l’altro ho scoperto che una pianta cresce più con luce diffusa che con luce diretta, credo a parità di energia in arrivo…

    • Luigi Mariani

      La paleoclimatologia è una scienza importante e con tanti spazi di applicazione. Lungi da me dire che si debbono rifiutare in toto le ricostruzioni paleoclimatiche. Quanto dico è che le ricostruzioni stesse vanno condite con un pò più di senso critico (sia che confortino sia che contrastino la teoria dominante).

      Domanda 1: se un qualunque sistema biologico produce ma poi non riesce a traslocare, ad un certo punto entreranno in gioco meccanismi di limitazione o inibizione del processo di produzione. Su questo ovviamente potrebbe dirci molto di più un fisiologo vegetale (cosa che io non sono).

      Domanda 2: il punto 3 potrebbe essere superato dall’utilizzo sempre delle stesse piante…
      Il problema è che la stessa risposta in termini di grammi di sostanza secca assimilata per unità di superficie fogliare potrebbe averla (faccio un esempio) a 18°C o viceversa a 30°C. Come fare allora a ottenere una temperatura a partire da una certa produzione riscontrata?

      Domanda 3: circa il ruolo dei micronutrienti (boro, manganese, rame, zinco, molibdeno) è di solito quello di essere costituenti di enzimi

      Domanda 4: in genere nella crescita di ogni essere vivente c’è una fase iniziale a crescita lenta, una fase a crescita esponenziale e poi di nuovo una fase a crescita lenta. Anche gli alberi non sfuggono a questo tipo di schema, con la particolarità che la fase finale a crescita lenta può protrarsi in certi casi per centinaia o, nei casi estremi, per migliaia di anni.

      Domanda 5: fra diretta e diffusa ci sono differenze in termini di distribuzione spettrale, il che si ripercuote inevitabilmente sulla resa fotosintetica.

      PS: Ho risposto con pazienza a tutte le sue domande. Adesso quantomeno mi deve un caffè!

    • Luca Galati

      5 domande, 5 caffè!

      Grazie Mille

      Cordialmente
      LG

  2. Luca Galati

    Non capisco solo le conclusioni: se si evidenziano queste difficoltà teoriche nell’affidabilità delle ricostruzioni paleoclimatiche immagino che tutti i tipi di ricostruzioni non possono essere accettati, sia pro che contro AGW…

    Domande:
    1) se la temperatura risulta ottimale per la fotosintesi e non per la traslocazione che fine fa il glucosio prodotto in eccesso e che non può essere stoccato, di cui al punto 1 e 2?
    2) il punto 3 potrebbe essere superato dall’utilizzo sempre delle stesse piante, se possibile. E in fondo quello che ci interessa è proprio la risposta della pianta alla temperatura anche se questa effettivamente può non essere sempre lineare per via di eventuali saturazioni nei processi fotosintetici totali (immagino che una pianta avrà un massimo consumo di Co2 e quindi una temperatura oltre alla quale non incrementa più la sua produzione di glucosio da stoccare…)
    3) i micronutrienti dove rientrano nella reazione di fotosintesi oppure fanno parte di reazioni secondarie di sintesi di cellulosa a partire da glucosio?
    4) una pianta prima o poi smette di crescere oppure cresce indefinitamente anche se a tassi sempre più lenti?

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