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Il Nuovo Balzo in Avanti

“Nel 1958 la Repubblica Popolare Cinese si mobilitò per perseguire un grande piano economico che prese l’indicativo nome di Grande Balzo in Avanti. Questo programma era basato sulla linea politica di Mao della “Teoria delle forze produttive”. Il grande balzo provocò con il proprio fallimento milioni di morti essendo stato la causa principale della gravissima carestia che colpì il popolo cinese nel 1960”.

La partita giocata oggi, ma proprio oggi, sull’economia del riscaldamento globale è quella della decarbonizzazione. Quindi le modalità di produzione e consumo dell’energia dovranno subire cambiamenti profondi. Il Protocollo infatti prevede strumenti che facilitano investimenti nei paesi in via di sviluppo o in quelli con economie in transizione, contabilizzando i crediti di carbonio nei paesi industrializzati. Questi meccanismi flessibili hanno creato un mercato che ha visto le transazioni decuplicare nel giro di pochissimo tempo. Si manca però di dire che questo sistema produce comunque dei costi che vengono diluiti sui cittadini di tutti gli Stati partecipanti e che, per funzionare, deve prevedere la partecipazione di pressoché tutti i paesi del mondo compresi sicuramente gli Stati Uniti ma soprattutto quei paesi ad economia ruggente che sono la Cina e L’India. La gestione del cambiamento climatico globale impone quindi di mettere in piedi un sistema di governance mondiale. L’ultimo atto della globalizzazione.

In un rapporto della Lehman Brothers, intitolato Il Business del Cambiamento Climatico1, John Llewellyn e Camille Chaix chiaramente definiscono che questa è una occasione estremamente importante per gli affari, e che la politica collegata ai cambiamenti globali sta accelerando consistentemente. Molto indicativo è a questo proposito il riferimento bibliografico che gli autori riportano per suggellare il consenso scientifico uno dei documenti ormai considerati fondamentali in questo primo scorcio di secolo e che ha già fruttato un Premio Nobel al suo autore. Ebbene sì, il riferimento è: Al Gore, An Inconvenient Truth, 2006.

E così si incomincia a capire tutta la fretta che si è andata caratterizzando attorno al vertice di Copenhagen ed i continui colpi di scena dei diversi Governi del mondo che vedono rapidi e totali cambi di schieramento. E la necessità del consenso globale. E si comprendono i Ta ze bao alle fermate del metrò, con le frasi ad effetto “ah se avessimo fermato i cambiamenti climatici allora!” pronunciate da governanti invecchiati di 20 anni. E le interviste di Gore dove chiaramente ci spiega che “chi non è con noi è contro di noi!”. E in effetti lui la sua bella fondazione, in questo circo cambioclimatista, gia’ ce l’ha.

Per meglio dire ne ha due, una si chiama GIM (Generation Investement Management), con la quale opera saggiamente nei mercati finanziari dell’aria fritta in compagnia di Goldman Sachs e soci e l’altra,  attiva nella Sylicon Valley, invece rastrella i proventi della politica del terrore climatico. Si potrebbe anche parlare di conflitto d’interessi, ma invece è solo business: il nostro Al dice “I put my money where my mouth is”, tanto basta a sgombrare il campo da ogni sospetto di conflitto d’interessi per trasformare il tutto nel manifesto del liberismo climatico. Basta cambiare il verbo to put (mettere) con il verbo to make (fare) perchè si capisca piuttosto che la torta è molto appettitosa. Del resto sulle pagine “chi siamo” di quest’azienda paladina della green economy c’è scritto “Noi aiutiamo le cose a succedere” . Viva la faccia della sincerità.

Allora parole di guerra! Guerra a chi dissente, perché è portatore di malsani interessi di economie fossili. D’altronde come non credere a tutte queste persone insignite del Nobel Prize che ci indicano la via? E’ così tanto vero che anche il Parlamento italiano ha votato una mozione all’unanimità: insieme dall’estrema destra all’estrema sinistra. Come dubitare?

E come dubitare di quelle riunioni di governo sulle vette montane o in immersione nel Pacifico per affermare che le proprie terre sono a rischio, sotto il cartello “rifugiato climatico”? Con che coraggio porsi il dubbio che queste piece teatrali non siano altro che un modo per sedersi al tavolo della pace a rivendicare una, anche se piccola, sicura fetta di torta?

Eppure poco convinti dei meravigliosi effetti che la cura cap & trade avrà sul mondo non sono solo gli scettici, ma anche associazioni che appartengono pienamente a quell’area di impegno sociale verso i popoli senza voce, verso quelle popolazioni indigene minacciate di estinzione. L’approccio al problema scientifico di queste associazioni è che non si dubita affatto del cambiamento climatico. Quello che spaventa delle politiche COP15 è che gli effetti saranno quelli di rendere appetibili le terre di queste popolazioni per un ulteriore sfruttamento dei suoli, per l’enorme valore monetario che verranno ad assumere a causa della loro inclusione negli schemi REDD (Ridotte Emissioni da Deforestazione e Degrado delle foreste). Di fatto questi schemi rappresentano una ingiunzione di sfratto esecutiva per queste popolazioni.

Chissà se durante questa settimana si vedranno in azione i black block, gli antiglobalizzazione per eccellenza, o le nuove guardie rosse, probabilmente in verde per l’occasione?

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  1. J. Llewellyn e C.Chaix, The business of climate change, Lehman Brothers, 2007 []
Published inAttualità

5 Comments

  1. Teo Georgiadis

    Il problema e’ che questa e’ un’Idra, e di code mi sa che ha almeno tante quante le teste.

  2. Alfonso Crisci

    Si sintesi perfetta.
    Manca solo di indicare la madre o il padre di tanta ingordigia globale.
    L’Orgoglioso, e i suoi figli hanno solo un difetto, che non riescono proprio a non firmare in coda. In cauda venenum si diceva.
    In effetti i versetti finali della “poesia” di al gore.

    La campana della città
    risuona sulla collina
    il PASTORE grida
    l’ora della scelta è arrivata
    ecco i tuoi strumenti.

    Ma che tipo di pastore è questo?
    Un pastore che grida?
    Alle sue pecore?
    Un BUON pastore “parla” alle pecore non grida.
    MA di quale scelta parla?
    Ma la campana come suona? A morto o a festa?
    E questi strumenti cosa sono?

    Domande.
    Seplici domande.
    Per ora.

    Alfonso

  3. gbettanini

    Va anche detto che l’appoggio della popolazione italiana a questo piano scellerato di riduzione delle emissioni è praticamente incondizionato per almeno due motivi:

    1) La stampa nostrana non ha mai parlato dei costi globali decisamente elevati che ricadranno direttamente od indirettamente sulle tasche dei cittadini. Ad esempio per una riduzione del 40% delle emissioni UE entro il 2020 si parla di un costo di 2€ al giorno a persona ovvero circa 750€/persona ogni anno.

    http://www.foeeurope.org/press/2009/Dec01_New_study_shows_40_emission_cuts_possible.html

    Oppure per il più modesto -17% Italiano si parla di 1000€ a famiglia all’anno.

    2)La stampa parla continuamente dei 30 o 100 e oggi sembra forse 200 miliardi di € all’anno che verranno ‘donati’ ai paesi poveri od in via di svilupp in modo da far sembrare gli obiettivi di Copenaghen innanzitutto ‘umanitari’, ma non dice che il giro d’affari intorno al mercato delle emissioni sarà almeno dieci volte superiore. In realtà tutto lascia pensare ad un escamotage della finanza della peggior specie per far sì che economie asfittiche (come guarda caso quella inglese, dove la stampa finanziaria è molto allineata sul pro-Copenhagen) prendano una boccata d’ossigeno creando dal nulla un mercato fittizio perfetto e perfettamente controllabile basato su un prodotto che non esiste (le emissioni) con il risultato di minare le economie realmente produttive, minacciare migliaia di posti di lavoro, e foraggiare misure per la mitigazione climatica che avranno comunque effetti molto marginali sul calo delle emissioni.

    • Complimenti per la sintesi. Hai fatto centro.
      gg

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