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Alluvione in Veneto – Disinformazione

L’alluvione nel Veneto ha dato luogo a due distinti fenomeni di disinformazione, uno più strettamente correlato alla “informazione” stessa dell’evento e l’altro alle cause.

L’evento alluvionale è stato, come prevedibile, largamente seguito dai media e dalle istituzioni locali. Tutti i giornali, le televisioni ed i siti regionali, ovvero a carattere ancora più locale oppure triveneto, hanno dato ampia copertura sia nei giorni degli straripamenti, sia in quelli successivi dei soccorsi e delle prime opere di emergenza. Le amministrazioni, soprattutto comunali e provinciali, ma anche regionali, non hanno fatto mancare il proprio sostegno diretto e la propria presenza, nei limiti del possibile: nei comuni più colpiti, i sindaci ed i consiglieri erano fra gli stessi soccorritori, ed a capo della protezione civile locale. P.C. che si è immediatamente mobilitata per accorrere nei comuni colpiti con attrezzature, cibo e quant’altro fosse di aiuto; assieme ad essa, non possono non essere ricordati i vigili del fuoco, ed i militari dell’esercito in Veneto, sia italiano che americano, i quali si sono anch’essi prodigati nei soccorsi già dalle prime ore.

Nel resto d’Italia, però, la scarsa informazione operata dai media nazionali ha di fatto nascosto le reali proporzioni del problema, causandone la grave sottovalutazione. Esso era stato infatti relegato assieme ad altri eventi gravi ma avvenuti in aree ridotte, dando così la diffusa impressione che non fosse altro che un limitato caso di dissesto idro-geologico, così da rimanere sconosciuto alla gran parte del paese, invece di un’alluvione di vaste proporzioni. Lo stesso governo non sembrava rendersi pienamente conto della situazione; e ci sono volute le pressioni del ministro Galan e del governatore Zaia, unite al montante malcontento locale, perché finalmente qualcosa si muovesse. Fatto salvo appunto l’intervento della protezione civile, con squadre e mezzi provenienti anche dal resto d’Italia.

Non è però nostro interesse, come già dichiarato nel primo articolo, entrare nel merito delle polemiche politiche e sociali seguite all’alluvione: ci limiteremo dunque a prendere atto di questi fatti.

Solo il 6 novembre, un’ampia apertura del telegiornale di La7 ha reso a livello nazionale tutta la drammaticità e la gravità dei fatti, seguita a breve dal Corriere della Sera, e quindi via via dai vari media italiani. Citiamo queste due testate giornalistiche, non solo per il loro “primato”, ma anche perché hanno attivato il numero 45501 cui donare 2€ via sms per gli alluvionati (attivo fino al 10 gennaio 2011); oltre al conto corrente della Regione Veneto per la raccolta fondi1.

Il già citato servizio televisivo di Mentana, in cui il giornalista sembrava scusarsi a nome di tutti i giornalisti italiani per la scarsa copertura dell’evento, tralasciato per far posto a notizie più “leggere”, nonché i commenti a posteriori di vari altri giornalisti, non possono comunque migliorare l’immagine complessiva di un certo giornalismo nazionale. Che è più attento agli scandali ed alle storie morbose che alle vere tragedie, e spesso troppo concentrato sulle principali metropoli invece che essere diffuso sul territorio (lo stesso discorso vale per numerose regioni italiane, non per il solo Veneto).

Veniamo al secondo punto. Fin dalle prime ore dell’alluvione, si è subito puntato il dito sul “saccheggio del territorio” operato negli ultimi decenni, ed in particolare sul fatto che la vasta superficie urbanizzata abbia impedito all’acqua di filtrare nel terreno evitando così gli allagamenti. Non vogliamo assolvere alcune azzardate gestioni del territorio, ma dobbiamo anche dire che non è stata questa la causa né dell’alluvione né degli allagamenti locali; e che quindi tale atteggiamento non ha fatto che intorbidire le acque, invece di essere uno spunto per un migliore rapporto con la natura.

Nei capitoli precedenti abbiamo infatti evidenziato le cause meteorologiche dell’evento: le piogge eccezionali si sono estese per centinaia di chilometri quadrati di montagna, riversandosi poi al piano, dove i fiumi hanno rotto gli argini. Non si è trattato dunque di un temporale localizzato, che poteva allagare un quartiere senza scoli idrici adeguati, ma di una reale alluvione, in cui le piogge responsabili del disastro sono avvenute in tutt’altra area rispetto a quella allagata; una differenza purtroppo non a tutti evidente.

Non si è nemmeno trattato di un problema riconducibile alla “edificazione selvaggia”. Innanzitutto, perché come già detto si è trattato dello straripamento dei fiumi e non di un nubifragio locale; e poi perché gran parte delle aree allagate era tutt’altro che densamente popolata (come avevamo anche anticipato nel 2° capitolo). L’unica grande area urbana allagata è stata quella di Vicenza, mentre quella di Padova si è salvata anche se di poco. Invece, sono state le aree di campagna quelle ad essere più colpite. Volendo cercare il pelo nell’uovo, nella zona di Monteforte d’Alpone la ferrovia ha fatto da diga alla massa d’acqua, ma si tratta di un’opera inaugurata nel lontano 1849. A finire sott’acqua sono stati soprattutto paesi, con le loro piccole zone industriali o artigianali, ma immersi in aree ancora agricole. L’evidenza maggiore è però costituita dalla Bassa Padovana di sud-ovest: il suo “lago” di 50km2 costituiva da solo circa un terzo delle superfici allagate, in una zona ancora prettamente agricola e assai scarsamente abitata ed industrializzata, nonché priva di grandi infrastrutture stradali o ferroviarie e con un PIL medio tra i più bassi della provincia di Padova e della regione Veneto.

Non regge nemmeno l’ipotesi, derivata da queste, che in altri decenni l’alluvione del 2010 sarebbe stata un evento minore. Il fatto che, come detto nel 1° capitolo, nemmeno dopo il 1966 siano stati più compiuti grandi interventi idraulici non significa che la difesa del territorio fosse migliore un tempo che adesso. Come dice la frase, utilizzata in apertura sempre del 1° capitolo, del Prof. D’Alpaos, l’alluvione oggi causa danni maggiori perché maggiore è la quantità di beni, nonché la “qualità” economica dei terreni (non necessariamente coincidente con la “qualità” ambientale): non perché siano maggiori le superfici interessate rispetto ad un tempo. Che anzi, in epoca pre-industriale, senza l’innalzamento operato su quasi tutti gli argini né mezzi come le pompe di sollevamento, tale evento si sarebbe risolto solamente in un’alluvione di dimensioni maggiori, interessando anche zone salvate dalle acque come la città di Padova. Bisogna anzi rimarcare come, nel corso dei secoli e fino agli anni ’30 del XX, gran parte della Pianura Veneta sia stata faticosamente strappata a selve, paludi e lagune: per cui è anzi un punto di vanto per il Veneto il non avere un assai maggiore numero di eventi alluvionali di grande portata, né di aver mai dovuto abbandonare le terre conquistate all’agricoltura od all’urbanizzazione.

In definitiva, la gestione poco oculata del territorio non è causa di tutti i disastri ambientali in sé, men che meno di questo: piuttosto, una gestione più lungimirante avrebbe evitato i più ingenti danni, permettendo alle acque meteoriche un rapido accesso al mare ovvero degli “sfoghi” pre-determinati. Insomma una sottile differenza tra l’evitare gli eventi estremi, cosa a noi umani impossibile, e la loro prevenzione, cosa possibile e necessaria. Ciò non è nemmeno in contrasto con un modello di sviluppo che porti ad una ricchezza diffusa, ad un’elevata produzione industriale e ad infrastrutture adeguate, come evidenzieremo nelle conclusioni.

NB: Leggi anche:

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2 Comments

  1. Filippo Turturici

    Alcune delle stesse considerazioni verranno pubblicate nelle conclusioni!

    Intanto, l’sms di sostegno al 45501 è stato prorogato fino al 10 gennaio 2011.

  2. Guido Botteri

    Condivido pienamente. I maggiori danni sono essenzialmente economici e dovuti alla presenza di maggiori ricchezze. Ma è meglio convivere, a mio parere, tutta la vita con maggiori ricchezze, e eccezionalmente subire un danno maggiore, che vivere una vita misera, e breve, e rischiare molto di più la vita in evenienze simili.
    Anche perché una Società florida ed organizzata dovrebbe (sottolineo “dovrebbe”) e può (sottolineo “può”) mettere in atto quei provvedimenti di prevenzione che tu giustamente invochi, come una via di sfogo per le acque, e quant’altro.
    Questa materia è ovviamente poi compito dei tecnici, e non mia, che in questa materia non ho le competenze necessarie per indicare cosa fare o non fare. Ma da persona che cerca di vivere il suo tempo, sono convinto che prevenire sia meglio di curare, per chi ha a cuore le sorti e i beni della popolazione, più che l’attivazione di uno stato di emergenza.
    Da profano posso pensare che sia utile una gestione accurata (e preventiva) degli argini, e dei letti dei fiumi, e credo che sia importante una cura del territorio, in modo che più acqua possa essere assorbita dal suolo, e la manutenzione degli acquedotti.
    Mi fermo qui, però, doverosamente lasciando la parola a chi conosce quest’argomento meglio di me.

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