Un articolo, uno fra tanti, ma con una caratteristica particolare. E’ obbiettivo, rispecchia lo stato dell’arte della conoscenza delle cose, non trascura le preoccupazioni in ordine alla presunto peso delle attività umane sul clima, mette in luce le debolezze che la teoria delle origini antropiche dei cambiamenti climatici sta mostrando e, insomma, parla chiaro. E lo fa ponendo l’accento sulla sensibilità climatica, sul fatto che nonostante il presunto forcing antropico continui a ruggire il Pianeta ha smesso da un pezzo di scaldarsi, costringendo anche molti dei duri e puri del movimento-salva-pianeta ad ammettere che in effetti c’è qualcosa che non torna.
Vale la pena fare una riflessione, anzi due. La prima, ovvero il problema che tutti dovremmo porci: ma se le tanto osannate premonizioni climatiche (perché questo sono, fatevene una ragione!) si dovessero dimostrare sbagliate, che diavolo ce ne faremo di tutti gli “accessori” che ci siamo inventati? Di che utilità sarà aver contribuito a mettere in ginocchio l’economia del nostro sistema sociale? La seconda, ma perché diavolo non è possibile leggere qualcosa di simile sui nostri media?
Non ho una risposta da darvi, spero solo che sia questione di tempo, che magari con il nostro cronico ritardo possiamo arrivarci anche noi. Per adesso, l’unico consiglio che ho da darvi è di leggerlo. Ecco qua:
The Economist – A sensitive matter
[…] di comunicazione generalisti specie nell’ultimo periodo, grazie all’eccellente pagina pubblicata sull’Economist un paio di settimane fa. In soldoni, più passa il tempo, più aumentano le […]
[…] schierato sui temi del disfacimento climatico – La Repubblica – si sia accennato al pezzo dell’Economist sulla sensibilità climatica che ha praticamente dato il via ad un processo che potremmo definire […]
[…] giorni fa abbiamo rilanciato un articolo uscito sull’Economist che con molto equilibrio ha messo in chiaro quale sia lo stato dell’arte della conoscenza in […]
Inserirò il link tra i preferiti. Poichè la mia opinione sul clima coincide quasi completamente con quanto esposto nell’articolo (…e non credo di essere l’unico), mi sarà sufficiente inoltrare il link per far conoscere come la penso. Ecco dov’è l’Econimi-a!
Quello che ha di speciale l’ Economist e’ che fino a questo momento aveva tenuto una linea decisamente allarmistica nei suoi articoli sul “Climate Change”, l’ apparire di un articolo equilibrato ha destato una certa (piacevole) sorpresa nell’ ambiente degli scettici.
Gent. mo Col. Guidi, ha girato quest’articolo alla sua cara amica, la dott. ssa Piva? Sa, essendo la signora una giornalista e non un’esperta di clima, magari le è sfuggito.
E’ stato un piacere ascoltare l’hangout: da perfetto uomo della strada che non capisce nulla di clima, seguo chi mi sembra più preparato ma anche più ragionevole e più pacato, cioè Lei, Donato, Botteri…, insomma CM.
Cordiali saluti e buona giornata.
Articolo molto equilibrato che mette in evidenza i punti di forza e di debolezza di entrambe le linee di pensiero (la principale e quella “minoritaria” 🙂 ).
Io credo che quello dell’Economist sia un metodo condivisibile di comunicare la scienza: esporre in maniera imparziale tutte le posizioni in campo lasciando che ognuno si formi la propria opinione. Ovviamente chi considera la scienza un fatto limitato a pochi eletti in grado di comprendere gli aspetti “controintuitivi” delle varie teorie; chi reputa i comuni mortali incapaci di comprendere l’incertezza insita nelle varie teorie scientifiche e li relega al rango di semplici fruitori del pensiero altrui; chi fa del “principio di precauzione” il suo faro e la guida rossa da cui non bisogna mai scantonare, non potrà mai accettare questo modo di comunicare la scienza. Anche perché l’autore fa riferimento a “letteratura grigia” (dichiarandolo, tra l’altro) e ciò è sicuramente un peccato di lesa maestà. 🙂
p.s.: Quello di esporre solo la tesi della linea di pensiero dominante, però, accade quasi esclusivamente nel campo della climatologia e quasi mai in altre branche della comunicazione scientifica. Siccome mi diletto a spulciare varie riviste e siti di divulgazione scientifica che si occupano degli argomenti più disparati, ne ho contezza diretta e, quindi, difficilmente contestabile.
Ciao, Donato.
Due componenti stanno facendo girare l’Economist dalla
parte del realismo. Primo, il Governo britannico e’ diventato
scettico grazie al Cancelliere dello Scacchiere e ai suoi legami
con la GWPF. Quindi come al solito l’Economist filogovernativo si
e’ adeguato. Secondo, a occuparsi di clima all’Economist e’ adesso
un giornalista di lungo corso con zero interesse pregresso, legami,
conoscenze etc fra i Soliti Noti, quelli che Pielke Jr ha chiamato
la “Mafia di RealClimate”. E quindi poco da meravigliarsi se una
Penna dotata di dignita’ abbia scritto le cose come stanno, senza
per questo doversi meritare l’appellativo di Scettico. Purtroppo
quello che i nostri troppo intelligenti interlocutori alteranti et
similia non arrivano a capire, e’ che se fin dall’inizio il focus
fosse stato su posizioni molto chiare come quelle ora esposte
dall’Economist, non ci sarebbe stata alcuna reazione scettica, e
magari oso dire neanche un Climatemonitor. Perche’ il bisogno di
contrastare l’allarmismo e’ nato dalla dichiarazioni
roboanti.
Esatto.
gg
Il mio primo post in tema di clima e’ del 2003, quando
l’allora responsabile scientifico governativo britannico disse che
il Climate Change era peggio della guerra atomica (con bombe ad
idrogeno). PEGGIO. Purtroppo non specifico’ se sarebbe stato peggio
anche dell’uso di bombe ad antimateria. Comunque dopo una
sciocchezza simile, ho pensato occorresse salvare il pianeta da
certi “salvatori”, pronti evidentemente a tutto.
Vale anche per me, anch’io mi sarei occupato di
altro.
Effettivamente nell’articolo non viene mai scritta la
parola “negazionista”… 🙂