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Insensibilità climatica

Se a qualcuno fosse sfuggito, per quanto vi si voglia girare intorno, per quanto lo si possa arricchire con scenari catastrofici e risibili analogie con un clima attuale tutt’altro che disfatto, il tema del riscaldamento globale, mutato successivamente in cambiamenti climatici per latitanza del riscaldamento e poi in disfacimento climatico per comodità di comunicazione, è riassumibile in un unico problema: quanto si può scaldare il Pianeta in ragione dell’accresciuta concentrazione di gas serra (specie CO2) in atmosfera?

 

I più scaltri avranno già capito, anche oggi parliamo di sensibilità climatica, appunto il parametro che dovrebbe rappresentare quel “quanto”. Torniamo a farlo perché questo tema, in realtà molto tecnico, sta conoscendo una discreta diffusione anche sui sistemi di comunicazione generalisti specie nell’ultimo periodo, grazie all’eccellente pagina pubblicata sull’Economist un paio di settimane fa. In soldoni, più passa il tempo, più aumentano le conoscenze in questo settore. Questo potrà forse far sentire sollevati quanti pensano che si stia camminando sull’orlo del baratro climatico, perché questo miglioramento del livello di comprensione scientifica il baratro lo sta allontanando, nel senso che, man mano, l’aumento di temperatura “atteso” in ragione di un raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto ai livelli pre-industriali, si sta riducendo. Infatti, ci si sta avvicinando sempre di più al limite inferiore delle stime comprese tra 1,5 e 4°C dell’ultimo report IPCC (con valore più probabile di 3°C).

 

 

L’ultimo lavoro che ha affrontato questo argomento è appena stato accettato per la pubblicazione dal Journal of Climate:

 

An objective Bayesian, improved approach for applying optimal fingerprint techniques to estimate climate sensitivity – Lewis 2013

 

Come si evince dal titolo, e come afferma lo stesso autore in un post pubblicato su WUWT, si tratta di un lavoro di statistica pesante, lavoro che si pone l’obbiettivo di rivisitare un altro studio uscito qualche anno fa (Forest et al., 2006), i cui risultati in termini di sensibilità climatica erano invece molto prossimi a quelli già citati e contenuti nel report IPCC.

 

Il paper di Lewis, come detto, è molto tecnico, al punto da spingere uno dei commentatori di WUWT a chiederne una traduzione, eventuale operazione della quale mi sarei volentieri giovato anch’io che della materia ne mastico davvero poco. E invece niente, per cui, rimandando a chi volesse e potesse farlo l’analisi vera e propria dello studio, mi limito a sottoporvene i risultati.

 

Applicando delle procedure diverse agli stessi dati impiegati in Forest et al. (di cui dà comunque conto anche nell’abstract) Lewis ha “trovato” dei valori per la sensibilità climatica che vanno da 2.0° a 3.6°C, con il valore più probabile di 2.4°C. Aggiungendo i sei anni di dati di simulazione trascorsi dalla pubblicazione di Forest et al., il valore centrale della stima scende a 1.6°C e il range di incertezza va da 1.2 a 2.2°C. Tenendo conto nei calcoli anche dell’incertezza relativa ai forcing non dipendenti dagli aerosol e alle temperature di superficie, il range si allarga e va da 1.0 a 3.0°C. Il valore centrale della stima, dice Lewis, è identico a quello di altre due pubblicazioni, Aldrin et al., e Ring et al., entrambe del 2012, quindi anch’esse molto recenti.

 

A quanto pare e forse non a caso, gli studi sulla sensibilità climatica fatti in periodi di elevato riscaldamento hanno dato risultati con esso consistenti e di prosecuzione dello stesso al persistere del forcing. Quelli fatti in tempi recenti, con le temperature medie superficiali che non sono aumentate, restituiscono valori parecchio più contenuti e, soprattutto, molto meno catastrofici, in quanto largamente inferiori alle oscillazioni delle temperature che il sistema ha subito nel suo passato. Al riguardo, è giusto notare che Lewis afferma però che la recente assenza di riscaldamento non dovrebbe influenzare la stima della sensibilità climatica in quanto “ad un minore aumento delle temperature dovrebbe corrispondere un’accresciuta capacità degli oceani di assorbire calore“. Ammesso e non concesso che quel calore negli oceani ci sia sul serio, cosa tutt’altro che certa che fa riferimento ad un altro aspetto delle dinamiche del clima su cui si dibatte parecchio sempre di recente.

 

Chiudiamo parafrasando un altro divertente commento apparso su WUWT: se queste stime continuano a scendere presto si dovrà cominciare a parlare di insensibilità climatica piuttosto che del contrario. Chissà, magari un giorno scopriremo che la Natura è grande e noi siamo piccoli, che delusione.

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Published inAttualitàClimatologia

5 Comments

  1. Teo

    Che bello. Pensa un po’, ancora qualche articolo peerreivewed così e potremo andare a portar finalmente fiori sulla tomba della Fisica che abbiamo seppellita viva quasi un ventennio addietro.

  2. Francesco

    Buongiorno Si. Guidi, volevo dirle che la seguo sempre con interesse e volevo farle i miei compliementi per ClimateMonitor.
    Un appassionato di meteo/clima/ambiente 😉

    • Grazie Francesco, continua a seguirci.
      gg

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