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Com’è triste Venezia

Sulle pagine di Climate Monitor abbiamo spesso espresso forti critiche nei confronti del mondo della comunicazione. E’ opinione abbastanza diffusa che una buona parte della responsabilità nella diffusione di notizie dai toni catastrofici sia da ascrivere all’abitudine -spesso interpretata come necessità– che hanno i media di affrontare certe tematiche solo per far breccia nel mercato. E’ fuor di dubbio che certe notizie vendano meglio di altre, ma questo non autorizza a riportare informazioni false o “solo” parzialmente vere. Nel campo dell’informazione sul clima e sull’ambiente questo accade praticamente ogni giorno, tanto che molti ormai pensano che a fomentare questo atteggiamento siano le fonti, cioè quelli che si occupano di studiare questi fenomeni.

in alcuni casi, molto pochi per la verità, questo è anche vero, ma è pur vero che quando accade chi parla appartiene difficilmente alla categoria degli esperti di clima, quanto piuttosto si tratta spesso di addetti alla comunicazione, arruolati ora in questa ora in quella associazione scientifica, con il compito di trasmettere il messaggio. Quando prendono la parola gli esperti del settore però i toni cambiano e tutto viene riportato ad una dimensione più naturale. Purtroppo però questo significa che le notizie occorre cercarsele da sè, salvo qualche rara eccezione, come quella di cui sto per rendervi conto.

Appena pochi giorni fa si è svolta a Venezia un’interessante conferenza dal titolo “Quaternary climate: from pole to pole – Epica 2008“. Epica (European Projet for Ice Coring in Antartica), è il programma di carotaggio dei ghiacci in Antartide che da molti anni vede coinvolto, con un ruolo importantissimo, il Programma Nazionale di Ricerca in Antartide dell’ENEA (PNRA). In questo incontro sono state tirate le somme di anni di lavoro in un settore di cruciale importanza per lo studio sull’evoluzione del clima. Sui campioni di ghiaccio prelevati si basa infatti il nostro sapere sulle variazioni della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera nel passato del pianeta, praticamente l’argomento di cui si è parlato di più negli ultimi anni. Nel campo del clima è probabilmente il programma di ricerca più importante in cui si siano cimentati anche dei nostri connazionali. Eppure soltanto uno dei media nazionali ha dedicato attenzione a questo evento, il settimanale Tutto Scienze del quotidiano La Stampa di Torino. Nè si potuto leggere altro sulla rete, spesso molto più prolifica di informazioni, che non fosse quanto prodotto sul sito ufficiale della conferenza.

Duole dirlo ma una spiegazione forse c’è. Gli scienziati riunitisi a Venezia non si sono lasciati andare ad alcuna forma di catastrofismo, ma hanno compiuto un eccellente lavoro di divulgazione scientifica, evidentemente poco allettante perchè troppo sobria. Secondo quanto riportato dal chairman dell’evento, il Prof. Carlo Barbante, i dati sin qui raccolti hanno fornito la prova sperimentale di quelle che fino ad oggi erano conoscenze empiriche. Grazie al lavoro svolto a Dome Concordia, la base italo-francese dove hanno lavorato i ricercatori, ora ne sappiamo molto di più che in passato.

Innanzi tutto la conferma della ciclicità delle dinamiche del clima, impegnato, negli ultimi 800.000 anni, in un’alternanza tra fasi glaciali ed interglaciali, con temperature tra 3 e 5°C superiori alle attuali ed anche di 10°C inferiori. Transizioni brusche tra una fase e l’altra e lunga permanenza di fasi temperate, proprio come quella che stiamo vivendo nella nostra epoca. Una lunga estate, come l’ha definita il prof. Carlo Barbante, forse destinata a persistere ancora a lungo. Una ciclicità che potrebbe fornire la chiave di lettura della naturale evoluzione del clima, senza la quale non c’è alcuna possibilità di immaginarne gli sviluppi futuri. Si legge nell’articolo: «Se non approfondiremo i meccanismi naturali del sistema, sarà inutile continuare ad abbozzare previsioni su ciò che accadrà tra un secolo o due” […], la verità è che alcuni modelli non riescono nemmeno a riprodurre ciò che sappiamo essere successo. Figuriamoci quale può essere l’accuratezza per il domani». Sono affermazioni che molti attendevano da anni e che parecchi altri, probabilmente, speravano che non sarebbero mai arrivate.

Ma non è tutto, dall’analisi dei carotaggi, sarebbe emerso anche un altro fattore importante. Si tratta dei flussi di ferro trasportati dalle polveri atmosferiche. Il ferro avrebbe la capacità, reagendo con la luce solare, di convertire sostanze quali la CO2, l’azoto ed il fosforo in sostanze organiche. L’aumento di questo metallo nei periodi glaciali farebbe crescere l’efficienza della “pompa biologica”, favorendo la diminuzione della CO2, mentre nei periodi temperati o interglaciali come l’attuale, questo meccanismo sarebbe meno efficiente, con conseguente aumento della concentrazione di anidride carbonica.

Insomma, quando parla la scienza, quella vera, è tutta un’altra cosa. Ne volete un’altra prova? Stessa fonte, appena ieri, un’intervista al Prof. Filippo Giorgi, unico italiano nell’esecutivo dell’IPCC, altre dichiarazioni decisamente interessanti. Si parla del prossimo rapporto del panel delle Nazioni Unite che scopriamo avrà un’impostazione molto diversa da quello uscito nel 2007. Dalla voce di Giorgi: «[…] Invece di pretendere di prevedere che cosa accadrà esattamente di qui a un secolo, saremo noi a porci idealmente degli scenari, di diversa gravità. È a partire da questi che calcoleremo i provvedimenti necessari per stabilizzare le emissioni e rendere la vita compatibile con questi eventuali scenari». E poi ancora: «[…] Al momento ci troviamo in una fase interlocutoria, ma è certo che l’enfasi che daremo al prossimo rapporto del 2013 considererà scale di qualche decade al massimo: dai 10 ai 30 anni. Non ci saranno più previsioni di lungo termine, di qui al 2100». Per amore di onestà e come si legge nella versione integrale dell’intervista, va sottolineato che Giorgi non ha mai messo in dubbio le cause antropiche del riscaldamento globale, tesi questa che qui su CM abbiamo discusso moltissimo. Ciò non toglie che questo cambio d’approccio al problema non potrà che portare buoni risultati.

Del resto la distanza tra quanto prospettato dalle simulazioni climatiche e la reltà di quanto sta accadendo cresce sempre di più ed un certo genere di discorsi fatica a stare in piedi. Si sta facendo largo la convinzione che nel medio periodo, vale a dire almeno una decina d’anni, il pianeta dovrebbe subire una lieve fase di raffreddamento tutta di origine naturale che forse ha già avuto inizio e questo direbbe la parola fine sulla bontà di un certo genere di approccio basato su certezze tutt’altro che tali. Infine, se tutto questo non dovesse essere vero, se non altro ci guadagneremo in salute, evitando di essere terrorizzati quotidianamente per ogni goccia di pioggia in più o in meno o per ogni giornata più calda o più fredda della norma.

Sono decisamente curioso di sapere cosa ne pensano le cassandre del clima. Che ne dite, saranno già lì a cantare la canzone con cui ho iniziato?

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Published inAmbienteAttualitàClimatologiaSegnalati

3 Comments

  1. E’ un virgolettato di Barbante, attendiamo la pubblicazione degli atti e vedremo.
    gg

  2. Hydraulics

    Il ferro avrebbe la capacità, reagendo con la luce solare, di convertire sostanze quali la CO2, l’azoto ed il fosforo in sostanze organiche.

    La cosiddetta “Iron hypothesis” è nota da tempo, ed è appunto un’ipotesi; in quale intervento della conferenza sarebbero state portate delle nuove prove a supporto?

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