Non è uno scettico Mike Hulme, è uno scienziato con una carriera pluridecennale alle spalle ed il suo impegno nel settore dei cambiamenti climatici è inequivocabile. Recentemente ha pubblicato un libro dal titolo:”Why we disagree about climate change“, con il quale affronta questo tema da un punto di vista molto più sociologico che scientifico. Sarà per questo che sente egli stesso la necessità di puntualizzare, di professarsi per l’ennesima volta convinto che il fattore antropico sia determinante nelle recenti dinamiche di evoluzione del clima. Il timore di essere frainteso è forte, anche perché questa pubblicazione segue una sua nota affermazione di qualche tempo fa, quando definì pornografia climatica il catastrofismo dilagante.
Questa sua precisazione giunge nel corso di un’intervista nella quale, dall’alto della sua esperienza, Hulme getta il classico sasso nello stagno. Fare del cambiamento climatico un problema globale ci sta portando su un binario morto e alla domanda se sia possibile trovare una soluzione al problema del cambiamento climatico risponde con un secco no, non possiamo. E aggiunge che dal nastro di partenza del Protocollo di Kyoto le emissioni piuttosto che diminuire sono aumentate.
Attenzione però, le sue non sono le considerazioni di uno che pensa che ormai non ci sia più nulla da fare, come alcuni settori scientifici affezionati alla causa del catastrofismo hanno sottolineato anche di recente. Egli sostiene piuttosto che l’aver fatto del cambiamento climatico “la madre di tutti i problemi”, ha autorizzato praticamente tutti ad appropriarsene per sostenere la propria causa. Un albero di natale dove ognuno appende la sua decorazione personale.
Giudicando arrogante la pretesa di controllare il clima, punta il dito sulla “globalizzazione” del problema, in un contesto mondiale troppo disunito, con interessi troppo differenti per giungere a soluzioni condivise. La necessità di trovare una soluzione deve invece aiutare a percepire il problema come nostro, nei nostri comportamenti quotidiani, come quei valori che consideriamo fondanti della nostra società quali la democrazia, la giustizia o l’appartenenza ad una nazione. Altrimenti si corre il pericolo di subire decisioni autoritarie che più che risolvere il problema rischiano di intaccare proprio le fondamenta di questa società .
L’approccio al cambiamento climatico, secondo lo studioso del Tyndall Centre, deve essere rovesciato, cioè deve passare dalla dimensione globale a quella locale, ove risiedono le sue cause reali. Per affrontare problemi quali la scarsità di carburanti per una nazione o l’inquinamento per un altra non c’è necessità di accordi globali. Cosa ci assicura che se avremo contenuto l’aumento di temperatura entro 2°C dall’era preindustriale nel 2050, vivremo anche in un mondo migliore dove questi problemi saranno stati risolti? Preservare l’ambiente dove viviamo, comprare cibo prodotto a poca distanza, ci sono molti altre cose da fare oltre al cambiamento climatico. Non è detto che un provvedimento debba necessariamente essere targato contro il cambiamento climatico per essere eticamente giusto o desiderabile e, questa via, magari lo farà obliquamente ma ci porterà alla soluzione del problema. Un problema, a suo dire, attualmente costruito appositamente per non essere risolto.
L’analisi di Hulme non può che far riflettere, specialmente alla luce della pesante battuta d’arresto che sta subendo la “volontà” di fare, visto che stanno venendo meno gli stimoli economici dell’agire globale. Ad essa aggiungerei anche che non è solo la soluzione al problema ad essere affrontabile localmente, ma lo anche la sua origine locale, proprio come molte volte abbiamo sottolineato su queste pagine.1
[…] esce fuori una vocina, quella di Mike Hulme, insider convinto, già autore del libro “Why we disagree about climate change” con il quale aveva sollevato più di qualche perplessità circa la dimensione globale del […]
[…] L’analisi di Hulme non può che far riflettere, specialmente alla luce della pesante battuta d’arresto che sta subendo la “volontà †di fare, visto che stanno venendo meno gli stimoli economici dell’agire globale. Ad essa aggiungerei anche che non è solo la soluzione al problema ad essere affrontabile localmente, ma lo anche la sua origine locale, proprio come molte volte abbiamo sottolineato su queste pagine.1 […]
@ Modestino
la oregon petition non è molto significativa, sono american sceintist, cioè laureati ( o tecnici) in materie sceintifiche, secondo me conta di più questa lista
http://www.friendsofscience.org/
che sono tutte peer review che contestano le conclusioni dell’IPCC
@giordano monti
“tendo a dare semplicemente più peso e più credito all’opinione della stragrande maggioranza della comunità scientifica che studia l’argomento, e un po’ meno peso agli altri. Ripeto, senza nessun pregiudizio”…. la “stragrande maggioranza” implica il concetto di misurazione: ma da chi ? e come? e dove? (“peer review…”) prego dare un’occhiata a questo link http://www.petitionproject.org/…e questi sono una minoranza? o forse non han sostenuto l’esame di fisica dell’atmosfera..
@claudio costa
grazie per il contributo signor Costa.
conosco abbastanza bene l’argomento e i termini della questione (nel corso di laurea in fisica ho anche sostenuto un esame di fisica dell’atmosfera). Conosco abbastanza il dibattito scientifico sull’influenza del sole sul clima e non ho nessun pregiudizio verso l’una o l’altra teoria. Al momento, non essendo io un ricercatore del campo, il mio atteggiamento è un po’ più umile del suo, (Lei, mi sembra, è certo di avere capito tutto). Personalmente, magari sbagliando, tendo a dare semplicemente più peso e più credito all’opinione della stragrande maggioranza della comunità scientifica che studia l’argomento, e un po’ meno peso agli altri. Ripeto, senza nessun pregiudizio.
Se e quando certe teorie verranno confermate dalle osservazioni sarò il primo a esserne felice. Vivo anche io nel mondo reale, a volte uso l’auto e contribuisco anche io ad aumentare il carico dei GHG nell’atmosfera.
Buona giornata
La questione climatica non è un gioco a somma zero (dove o vince uno o vince l’altro). In questo caso agire fa vincere comunque tutti: sia chi crede che l’uomo influenzi il clima, sia chi non lo crede, ma pensa che l’inquinamento vada combattuto per motivi più contingenti di quelli climatici. L’inazione fa perdere entrambe le parti. Purtroppo buona parte dell’inazione non è imputabile solo alle lobby petrolifere come vorrebbero certi ambientalisti, ma è imputabile in parte ad essi stessi. La veemenza con la quale hanno portato e stanno portando avanti le tematiche climatiche si è rivelata controproducente, creando il sano, giusto dubbio che sotto si giocasse una partita diversa.
E preghiamo che esista sempre qualcuno che abbia il coraggio di dubitare.
“Dubito ergo cogito, cogito ergo sum”
C. Gravina
@Guido Guidi
Si, dal suo post mi era chiaro che questa è la posizione di Hulme. Io puntavo l’attenzione sulla necessità di porsi queste come domande, come ha fatto Hulme; poi non è detto che si arrivi alla stessa conclusione di interventi esclusivamente locali. E le domande che ho portato ad esempio valgono sia che si intenda intervenire localmente che globalmente.
Comunque attendo le sue riflessioni sull’argomento nel prossimo post che ha promesso.
@ Achab
Hulme parla chiaramente di interventi locali, non di interrogativi globali. Le tue considerazioni mi hanno suggerito alcune riflessioni, spero di riuscire a tradurle in un post entro oggi.
gg
@ Monti
è tempo di agire e di smetterla di pretendere di adottare misure globali sulla base di teorie inverificabili 🙂
@ Giordano Monti
Gli esperti del Danish National Space Center, F. Christiansen, J. Haigh, H. Lundstedt, hanno trovato evidenti ed inequivocabili correlazioni tra i cambiamenti climatici e le variazioni solari
http://www.spacecenter.dk/publications/scientific-report-series/ISAC_Final_Report.pdf
Freddy Christiansen, Danish National Space Center Joanna D. Haigh, “Influence of Solar Activity Cycles on Earth’s Climate Final Report Task 700 Summary Report†ESTEC Contract no. 18453/04/NL/AR Issue 1, September 4, 2007 Danish National Space Center Scientific Report 2/2007
In pratica è uno stato dell’arte su tutte le peer review che hanno analizzato le correlazioni tra sole e cambiamenti climatici.
Si evince dal rapportone, che la radiazione solare e il flusso magnetico solare hanno svariate influenze sul clima, per azione:
diretta della radiazione
diretta del flusso di uv sull’ozono
diretta sulla circolazione atmosferica
diretta sull’equilibrio elettrico atmosferico
indiretta sui raggi cosmici galattici che influenzano :
sia la bassa nuvolositÃ
sia l’ozono
Di tutto questo non c’è traccia alcuna nei modelli e nelle proiezioni dell’IPCC …per forza che qualcuno dice che non ci sono spiegazioni alternative alle forzanti radiative dei gas serra antropogenici.
“si brancola nel buio come i topini ciechi†ma ci obbligano ad abbattere le emissioni
@ Giordano Monti
Su un altra rivista autorevole il cui direttore però non ha dichiarato come quello di Nature di non pubblicare gli scettici per non creare dubbi sulla mitigazione, Shaviv dice:
http://www.friendsofscience.org/assets/documents/Shaviv-Ocean%20as%20calorimeter-solar%20forcing.pdf
Shaviv, N. J. (2008), Using the oceans as a calorimeter to quantify the solar radiative forcing, J. Geophys. Res., 113, A11101, doi:10.1029/2007JA012989
Shaviv ci dice che la correlazione tra le variazioni di Temperatura degli oceani e i cicli solari è stretta e tra le ipotesi plausibile sui sitemi di amplificazione quello più probabile è il diaframma delle nuvole, che funzionerebbe come una valvola che apertafa entrare grandi quantità di calore chiusa lo scherma. Questa valvola sarebbe controllata dall’esterno, cioè dall’attività solare, non da un feedback interno che invece Shaviv esclude.
Shaviv dice anche che è improbabile che gli oceani ricevano energia dall’atmosfera, quindi che è improbabile che esista l’effetto serra antropogenico.
Del resto mancano le hot spot
l’atmosfera si scald ain ritardo
e la variazione della CO2 non h amai influenato le temperature della terra negli ultimi 200 milioni di anni
Se non ho capito male l’intenzione di Hulme dalla descrizione del libro che fa Guidi, mi sembra davvero lodevole. Cioè, dato per assodato che il problema esiste e che è ecessario intervenire, bisogna fare un passo avanti, discutere sul come.
Intevenire globalmente, localmente o una combinazione dei due? Come aiutare i paesi in via di sviluppo a non imboccare la facile ma non sostenibile strada dell’Occidente senza nel contempo penalizzare la crescita e il benessere? Cosa deve essere fatto subito e cosa può essere rimandato? Quale è la migliore allocazione delle (limitate) risorse visto l’obiettivo che ci si prefigge? Qual’è la miglior combinazione di mitigazione e adattamento? Quali criteri utilizzare per valutare i risultati?
Potrei continuare, la lista è davvero lunga. Ma il problema più grosso resta quello che la seria accetazione del problema e la altrettanto seria volontà di intervenire, che non dubito abbia Hulme, mancano ancora sia in parte dell’opinione pubblica che del mondo politico, in Italia come altrove. Il rischio è la colpevole inazione, il decidere di non decidere o il prendere decisioni a parole con interventi solo di facciata.
“come” affrontare il riscaldamento globale, perfino se sia possibile, se siano realistici certi impegni presi a livello internazionale: è un discorso senz’altro serio.
Lo lascio volentieri ai politici, ai sociologi e agli economisti, perchè non è il mio mestiere.
La scienza però ci dice: è tempo di agire. Ad esempio in una rivista autorevole come Nature possiamo leggere questo editoriale, dal titolo chiarissimo: time to act
http://www.nature.com/nature/journal/v458/n7242/full/4581077a.html