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CO2 e clima, un futuro tiepido

Nel dicembre scorso l’American Geophysical Union ha tenuto il suo consueto meeting annuale. Molte delle questioni che sono state oggetto di discussione hanno avuto anche parecchio risalto mediatico, però dobbiamo registrare che anche in questa occassione la mano invisibile della selezione delle notizie si è fatta sentire, perchè quanto stiamo per raccontarvi è passato del tutto inosservato.

Il Prof. David Rutledge1 ha presentato uno studio secondo il quale le riserve di combustibili fossili disponibili potrebbero essere state largamente sovrastimate nella formulazione degli scenari di emissione dell’IPCC2, fattore questo che avrebbe condotto ad una sovrastima della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera nel lungo periodo3. Le implicazioni di questa eventualità sono ovvie ed al tempo stesso estremamente importanti, tenuto conto che gli accordi internazionali già in essere come il Protocollo di Kyoto si propongono di limitare le emissioni di anidride carbonica entro valori ritenuti accettabili per la stima della sensibilità climatica messa a punto dallo stesso panel delle Nazioni Unite. Nè l’approccio potrà essere diverso per la discussione che alla fine di quest’anno a Copenhagen si propone di gettare le basi del post Kyoto.

Secondo quanto esposto da Rutledge, ci sono ragionevoli possibilità che entro una decina d’anni e più precisamente per il 2019, avremo consumato la metà delle risorse fossili disponibili – petrolio, gas e carbone – e questo condurrebbe a livelli di emissione inferiori a tutti gli scenari prospettati, allontanando di molto la possibilità che possa innescarsi la deriva catastrofica del clima cui puntano invece le simulazioni dell’IPCC.

Questa volta è il quotidiano inglese “The Guardian” ad affrontare il tema del silenzio calato sul’ipotesi avanzata da Rutledge e sulle implicazioni delle sue dichiarazioni. Leggiamo nell’articolo che una delle ragioni che potrebbe aver smorzato l’entusiasmo dei media nei confronti di questa interessante novità potrebbe risiedere nel fatto che questo lavoro non è ancora stato sottoposto a peer-review e quindi molti attendono che ciò avvenga prima di sbilanciarsi al riguardo. E’ pur vero che l’eventuale accorciarsi del tempo disponibile per traghettare il nostro modello economico ed industriale verso modalità carbon free, non implica che fino ad allora l’ambiente non continui a risentire del massiccio uso di combustibili fossili e molte delle sgradevoli conseguenze prospettate dalle simulazioni climatiche potrebbero comunque palesarsi. Insomma quello di Rutledge non è il parere di uno scettico, però appare probabile che quanti hanno sin qui più o meno dato piena fiducia alle indicazioni del panel ONU, possano provare qualche imbarazzo a far marcia indietro, anche se questo significa che forse il pianeta non diventerà rovente ed invivibile, almeno non a causa dell’aumento per mano umana dell’efficienza dell’effetto serra.

Tutto ciò senza considerare che ad oggi, le simulazioni climatiche hanno mostrato più di qualche falla, anzi per dirla tutta sembrano andare allegramente per i fatti loro, rispetto ad un sistema climatico che continua – per fortuna – a funzionare secondo meccanismi naturali che anche se ci sono in larga misura ignoti sono in tutta evidenza largamente più incisivi della presunta forzante antropica. Una forzante alquanto ballerina in effetti, anche con riferimento alla disponibilità delle risorse fossili che ne sarebbero la causa. Soltanto pochi mesi fa il prezzo astronomico raggiunto dal petrolio infatti, se da un lato ha dato il colpo di grazia ad un sistema economico globale già in grave difficoltà, dall’altro ha fatto anche circolare la sensazione che la disponibilità di greggio sarebbe aumentata perchè a quei prezzi sarebbe risultata economicamente sostenibile anche l’estrazione nei giacimenti meno accessibili. Ora il discorso è tornato a cambiare ma, passata la bufera, è inevitabile che il prezzo alla fonte torni ad aumentare fin quando questa risorsa sarà così preziosa da diventare inutilizzabile. E così sarà, seppur con tempi più lunghi, per il gas ed il carbone. Per questa ragione l’agenda politica internazionale dovrà giocoforza occuparsi di questo problema dato che non manca poi molto al meeting di Copenhagen. C’è da scommettere che presto o tardi sentiremo parlare di queste novità4.

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  1. Californian Institute of Tecnology []
  2. Intergovernamental Panel on Climate Change []
  3. Hubbert’s Peak, The Coal Question, and Climate Change []
  4. Fonte CCNet di Benny Peiser http://www.staff.livjm.ac.uk/spsbpeis/ []
Published inAmbienteAttualitàClimatologia

4 Comments

  1. alessandrobarbolini

    in verita,in verita vi dico…..nessuno sa niente ..non sanno niente nesuno..ogni giorno ne dicono una….nessuno sa niente

  2. @ Achab
    Infatti, il paradosso è appunto questo. Non si tratta dell’opinione di uno scettico, ma di uno scenario che sgombrerebbe il campo dalla deriva catastrofica del clima per spostare l’attenzione sul problema veramente stringente: la necessità di individuare la giusta policy per continuare a garantire disponibilità di energia a basso costo, ovvero il fondamento del nostro malandato modello economico. Un problema serio e concreto, certamente molto più concreto del paventato disastro climatico.
    gg

  3. Achab

    Se si dovessse definire che ha ragione Rutledge avremmo due problemi anzicche’ uno. E per giunta la tempistica di Rutledge e piu’ stringente di quella dei climatologi. Non molto confortante.
    Qualunque dei due problemi consideriamo piu’ realistico, la soluzione e’ la stessa, dobbiamo metterci in testa di fare a meno dei combustibili fossili.

    L’unica nota di parziale ottimismo e’ che, fra le mille stime delle riserve di combustibili fossili, quella di Rutledge e’ la piu’ bassa in assoluto, soprattutto per quanto riguarda il carbone.

    Magari quella del WEC usata dall’IPCC per suoi scenari e’ eccessivamente alta, ma forse Rutledge ha ecceduto all’opposto.

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