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Mese: Dicembre 2013

Buco dell’Ozono, è tutta questione di ‘tempo’…per ora.

Una notizia sorprendente, con cui alcuni ricercatori della NASA sono entrati a gamba tesa in uno dei temi ambientali più scottanti degli ultimi anni, il depauperamento dello strato di ozono in alta atmosfera. Come molti (quasi tutti) credo sappiano, il “buco dell’ozono” è stata materia prima di acceso dibattito scientifico, poi di raggiungimento di un sostanziale consenso sugli effetti deleteri delle emissioni di clorofluorocarburi (CFC) e poi, nel biennio 1987-1989 (firma e inizio), dell’implementazione del famoso Protocollo di Montreal, con il quale i CFC sono stati messi al bando.

 

L’ultima volta che sulle nostre pagine abbiamo parlato di ozono era per commentare l’uscita di uno studio che attribuiva alle reazioni chimiche dell’alta atmosfera molta parte del trend delle temperature medie superficiali globali, scagionando quindi i gas serra ma mantenendo l’origine antropica di queste variazioni, origine identificata nell’accumulo di CFC.

 

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La ‘Passione’ delle rinnovabili

Finalmente si sta capendo perché le fonti energetiche alternative a quelle tradizionali siano definite rinnovabili oltre al fatto di non essere derivate da materie prime ‘finite’. Si chiamano così perché rinnovano per l’ennesima volta un problema. Il mercato ha le sue regole, prima tra tutte quella della domanda e dell’offerta. Spesso ci si arriva attraverso percorsi tortuosi e tutt’altro che privi di furbi nascosti dietro l’angolo, ma alla fine il conto deve tornare, non si può pretendere di imporre al mercato di assorbire qualcosa che è diversamente disponibile a costi inferiori e che, per di più, non garantisce il risultato finale. Se si contravviene a questa regola c’è un problema.

 

Questa regola è stata – ed è – largamente disattesa nel settore delle rinnovabili e nelle norme di legge che ne hanno incoraggiato e sostenuto l’esplosione. E ora il mercato si riprende il maltolto. Qualche giorno fa dalle pagine della GWPF è stato rilanciato un commento uscito sul Financial Post:

 

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Quando si dice cattivo tempo…

…probabilmente non lo si fa con cognizione di causa. Almeno dalle nostre parti. Già, perché, al mondo, ci sono posti dove il tempo è veramente brutto.

 

E’ un esercizio interessante quello fatto da tal Ed Darack sul blog Weatherwise, che ha stilato una classifica delle località con il tempo peggiore sul pianeta. Facile immaginare che noi non ci siamo, naturalmente. Ma per evitare di giudicare “brutto” quello che altri potrebbero intendere come “bello” – penso alle schiere di nevofili che popolano i forum di meteorologia per esempio – forse l’unico criterio oggettivo utilizzabile è prendere in considerazione solo posti dove, in un modo o nell’altro sussiste un elevato rischio per la vita umana derivi questo dal caldo eccessivo, dal gelo, dal vento o da qualunque altra manifestazione degli agenti atmosferici e marini. E, inoltre, si deve trattare di condizioni persistenti, dalle quali, evidentemente, non si può scappare (se non con un biglietto di sola andata).

Diamogli un’occhiata.

 

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Un mese di meteo – Novembre 2013

IL MESE DI NOVEMBRE 2013

 

Andamento circolatorio (**)

La topografia media del livello barico di 850 hPa del mese (figura 1) indica come principale centro d’azione responsabile delle condizioni del tempo sulla nostra area un anticiclone di blocco (evidenziato dalla lettera A) posizionato sul vicino Atlantico e che ha garantito l’afflusso sul Mediterraneo di masse d’aria polare marittima che hanno alimentano la circolazione depressionaria centrata sull’area italiana ed evidenziata dalla lettera B. Nel contesto di tale quadro circolatorio medio si sono manifestate una serie di strutture meteorologiche a più bassa persistenza i cui tratti più salienti sono descritti in tabella1.

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Il posto più freddo del mondo

La notizia ha del sensazionale, un gruppo di ricercatori impegnati da anni a raccogliere dati in Antartide, avrebbe misurato la temperatura più bassa mai registrata sul Pianeta, tra -92 e -94°C, al minimo circa 3°C più bassa del record della stazione antartica di Vostok, del 21 luglio 1983. Qui sotto, il comunicato stampa dell’NSIDC:

 

 Landsat 8 helps unveil the coldest place on Earth

 

Si tratta però di misurazioni satellitari ovvero di dati provenienti dalla sonda MODIS del satellite Aqua e dal satellite Landscat 8, appena entrato nella sua vita operativa. Il paragone, quindi, rischia di essere piuttosto difficile.

 

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Uragani, statistiche e classifiche

L’immagine in testa a questo post rappresenta un collage dell’attività dei cicloni tropicali nel corso del 2013. Dati preliminari e passibili di modifiche, che tuttavia difficilmente potranno alterarne il significato in modo consistente. Viene dal blog di Roger Pielke jr che, sempre con gli stessi dati preliminari, ha aggiornato quanto pubblicato l’anno scorso sulla stessa materia. In pratica, il dataset e le dinamiche dell’attività dei cicloni tropicali che hanno ‘toccato terra’ dal 1970 si arricchisce di un anno. La notizia è che quello che si avvia a conclusione è stato a livello globale e per questi specifici eventi un anno sostanzialmente nella media (15 ‘atterraggi’, media 14.7 e 5 di eventi intensi, media 4.7).

 

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Fit dei dati NOAA con segmenti

Dopo il post sul lavoro di Akasofu mi sono chiesto se il “non-modello” semi-empirico che ho usato per rappresentare le anomalie medie annuali di NOAA sia accettabile, almeno in termini descrittivi. Ricordo che i dati erano stati approssimati con una retta -i cui parametri derivano dai minimi quadrati lineari- cui si sovrappone una sinusoide con parametri (ampiezza, periodo, fase iniziale) assegnati manualmente, “guardando i dati” e quindi con notevole soggettività. L’altro metodo usato è stato quello di un fit non lineare in cui, fissato il periodo della sinusoide, si cercano quattro parametri. Nel precedente post avevo scritto che ” cambiano leggermente i numeri ma non il concetto complessivo”.
Per cercare di quantificare l’affermazione ho usato il Criterio Informativo Bayesiano (Bayesan Information Criterion o BIC, Schwarz, 1978), ben descritto in un articolo molto citato (Seidel & Lanzante, 2004). Questo articolo è a pagamento e personalmente l’ho trovato con fatica perchè l’Università di Bologna non è abbonata alla sezione D del Journal of Geophysical Research: propongo quindi un riassunto quasi completo (Menne,2006) liberamente disponibile in rete.
Il metodo BIC parte dalla necessità di descrivere una serie di dati in modo più accurato rispetto alla rappresentazione lineare, e nello stesso tempo ugualmente semplice. Vuole poi trovare un indice statistico in grado di giudicare la bontà di diverse rappresentazioni. Per fare questo viene proposto di dividere la serie in n “segmenti”, definiti da (n-1) break-point scelti opportunamente, ognuno dei quali sia fittato linearmente secondo lo schema mostrato nella Fig.1 di Seidel & Lanzante, 2004 riportata sotto

 

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La Terra dei Fuochi

Quello di cui scrivo qui sotto non i riferisce al clima in senso stretto ma ad un clima in senso lato che sta progressivamente avvelenando il Paese. Mi riferisco alla vicenda della “terra dei fuochi” che in questi mesi ha riempito quotidiani e telegiornali, ha fatto marciare la gente ed ha fatto esternare amministratori e i cittadini sui telegiornali nazionali, con lamentele infinite circa l’assenza dello Stato e lo strapotere delle eco-mafie.

 

Peraltro questo rappresenta solo l’ultimo atto di una vicenda che va in scena almeno dal 1994 (fonte Wikipedia), per cui è oltremodo difficile pronosticare quando finirà.

Vedete, in un Paese normale le autorità locali (penso alla Regione) avrebbero da tempo provveduto a delimitare le aree inquinate, avviare con celerità le opere di bonifica ed infine spiegare alla gente comune che i rifiuti non si bruciano per strada, perché bruciando a bassa temperatura liberano sostanza tossiche (diossina inclusa) mentre lo Stato dal canto suo avrebbe provveduto ad individuare e processare i responsabili (solo eco-mafiosi?).

 

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Domeniche a piedi, tante, troppe contraddizioni

Smog, tornano le domeniche a piedi.  il primo dicembre stop alla circolazione”, titola “La Repubblica”  nella prima domenica di dicembre, quando la circolazione dei veicoli è stata  bloccata non solo nella zona centrale,  ma in un area molto estesa di Roma, che in alcuni punti tocca il Grande Raccordo Anulare. Le condizioni meteorologiche della giornata erano state previste dalla Protezione Civile con un avviso per “Venti di burrasca, con rinforzi di burrasca forte, dai quadranti nord orientali; mareggiate lungo le coste esposte”, ed in città sono caduti alcuni alberi d’alto fusto e, purtroppo, uno a causato la morte di una persona (fonte).

 

I commercianti, che speravano nella prima domenica natalizia per aumentare le vendite già ridotte pesantemente dalla crisi economica, hanno criticato la scelta del Sindaco Marino di ordinare il blocco nonostante tutto. La storia ormai da anni stancamente si ripete, cambiano gli attori ma il palcoscenico e la sceneggiatura è sempre la stessa. Tutti sanno che i blocchi della circolazione decisi con queste modalità sono inutili dal punto di vista ambientale, dannosi per il tessuto economico ed impongono sacrifici ai cittadini che aspettano la domenica per andare a trovare i parenti all’ospedale, visitare i genitori anziani, etc. Però occorre “fare ammuina” per far vedere all’Europa ed all’opinione pubblica che si sta facendo qualcosa, per dimostrare che non si è rimasti inattivi di fronte al problema dell’inquinamento dell’aria.

 

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Ri-provaci ancora Sam

Ennesimo tentativo di trasposizione del concetto di cambiamento climatico nel mondo reale, con l’aggiunta del nobile scopo di mettere i decisori di fronte alle loro responsabilità, ovvero di fornir loro informazioni utili al processo decisionale. Piogge intense, giornate roventi e gelo eccezionale, più gli eventuali accessori di vento, mare et similia, tutti equamente distribuiti sul territorio europeo come meglio non avrebbero potuto desiderare i padri fondatori dell’unione.

 

Il progetto è Europeo, appunto, ed è partito nel 2011, con Meteo France a fare da leader. Lo scopo, naturalmente, è quello di far scendere i modelli climatici globali (GCM) alla scala regionale, per capire se in un mondo più caldo (?), con un clima cambiato diversamente dal suo solito cambiare (?), sia lecito o meno attendersi eventi atmosferici più intensi.  

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Poco sole molto freddo

Qualche giorno fa abbiamo fatto quattro chiacchiere con Tore Cocco sul tema delle previsioni di lungo periodo, un tema che presenta molte più ombre che luci. Nel lunghissimo periodo poi, il buio si fa addirittura pesto. Confidiamo comunque che anche queste tecniche progrediscano in futuro, del resto un paio di decadi fa, o anche meno, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sull’attendibilità mostrata oggi dalle previsioni meteorologiche nel breve e brevissimo periodo.

 

Meteo sì, clima no, quindi, almeno attualmente. Nel settore delle previsioni tuttavia, c’è un campo di applicazione che in quanto ad attendibilità se la passa ancora peggio del clima. No, non è quello finanziario, che pure meriterebbe attenzione, è quello solare. Anche in questo settore sono in molti a cimentarsi con prognosi di vario genere, e conseguono tutti più o meno gli stessi risultati piuttosto deludenti. Basti pensare che solo all’inizio dell’attuale ciclo solare, il 24° da quando li contiamo, le voci erano più o meno concordi circa la possibilità che si ripetesse un ciclo molto intenso, alla stregua di quelli che lo hanno immediatamente preceduto, che hanno fatto tra le altre cose segnare un periodo definito “Solar Grand Maximum”. E invece, come ormai è noto, questo ciclo solare non solo si è rivelato sin qui molto debole, ma anche molto lento, tutte cose che farebbero pensare anche ad una scarsa attività solare piuttosto prolungata.

 

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Tempi di deficit, anche nel clima

Qualche giorno fa, girovagando come al solito per il web, sono ‘atterrato’ sul blog di Judith Curry, dove ho trovato un post curioso e credo anche interessante, che fornisce delle informazioni insolite, del tipo che ti fa pensare “ma perché non ci hanno pensato prima?”

 

Ve le riassumo, forse potrà essere utile condividerle con i lettori di CM.

 

Come abbiamo letto, scritto e discusso tante volte, l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera, si traduce nei modelli di simulazione climatica in un surplus di energia, cioè la Terra disperde nello spazio meno energia di quanta ne riceve dal Sole. Questo surplus, naturalmente, si è all’origine dell’aumento delle temperature medie superficiali globali. Dal momento che il sistema evolve in continuazione per ristabilire l’equilibrio, in ragione di questo aumento deve aumentare anche la quantità di energia dispersa verso lo spazio. Però, se lo sbilanciamento persiste e le temperature non aumentano, si pone il problema del cosiddetto ‘calore scomparso’, problema che ha portato il dibattito sul clima ad interrogarsi sul luogo dove questo sarebbe dovuto finire. Il candidato numero uno, forse per la semplice ragione che non c’è ancora la possibilità di andare a controllare e nonostante le poche osservazioni disponibili non confermino questa eventualità, è l’oceano profondo. I modelli di simulazione climatica, più nello specifico il modello della NASA, prevedono un aumento progressivo del surplus di energia, specie se accoppiato con lo scenario A1B dell’IPCC, quello più peggiorativo in termini di emissioni antropiche.

 

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