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Tag: Dati proxy

Una ricostruzione delle Temperature dei Pirenei degli ultimi 1000 anni mostra che la fase calda attuale non è un unicum negli ultimi 750 anni

Gran parte del carbonio presente nell’ecosistema ha peso atomico 12 (e viene in genere indicato come 12C) mentre solo un numero molto ridotto di atomi…

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Temperature oloceniche, CO2 e dintorni

Questo breve post si basa su quattro diagrammi. Il primo è tratto dal lavoro di Marcott et al. (2013) già commentato tempo fa su CM. In tale lavoro una ricostruzione termica condotta a partire dai dati di 73 proxy ci propone una lettura del trend delle temperature globali improntata al progressivo deterioramento (alias “global cooling”) che sarebbe avvenuto a partire da circa 5.000 anni orsono e cioè dalla fine del grande optimum climatico postglaciale (GOCP), fase calda in cui il mare era più alto di 2-3 m rispetto ad oggi ed i ghiacciai alpini erano secondo alcuni totalmente scomparsi.

 

Fig_1
Figura 1 – La ricostruzione della temperature globali oloceniche proposta da Marcott et al. (2013). Si coglie il deterioramento in atto dalla fine del grande optimum postoglaciale alla fine della Piccola era glaciale.

 

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Un proxy per l’Oscillazione Artica e connessione con TSI

Recentemente su CM è apparso un post di L. Mariani su un lavoro di Darby et al.,2012 (v. bibliografia. Da qui in poi userò il termine articolo per questo lavoro. Abstract e figure qui). Gli autori utilizzano un dataset della percentuale di granuli di ferro trovati in carote ottenute al largo dell’Alaska (JPC16) ma provenienti notoriamente, per via della composizione chimica particolare, dal Mare di Kara (d’ora in poi Kara) come proxy per l’Oscillazione Artica positiva (+AO). Dall’analisi spettrale di questo dataset derivano la presenza di un massimo a circa 1600 anni, compatibile con gli eventi di Bond. Non trovano lo stesso massimo nel dataset dell’irraggiamento solare totale (TSI, Steinhilber et al, 2009) e, dopo molte prove e usando anche carote del Mare di Leptev, deducono che la variabilità solare non influenza l’Oscillazione Artica, nel senso che il massimo di 1500-1600 anni è il risultato o della variabilità interna del sistema climatico o di un’influenza indiretta della forzante solare alle basse latitudini.

 

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Secchi, SST e…Campanelli – Parte II

Gli stessi campanelli della prima parte di questo post, si sono rivelati preziosi nell’affrontare un altro problema che è strettamente collegato a quello delle SST nel periodo 1940/1945. Si tratta di un lavoro a firma di Ernst-Georg Beck pubblicato su ENERGY & ENVIRONMENT VOLUME 19 No. 7, 2008.

50 Years of continuous measurement of CO2 on Mauna Loa

Per capire bene il lavoro di Beck, inoltre, si può consultare anche quest’altro lavoro.

In questi lavori Beck, spulciando i risultati di diverse migliaia di analisi chimiche su campioni d’aria, contesta i risultati cui è giunto Keeling a proposito dell’evoluzione della concentrazione di CO2 nell’atmosfera sulla base del record di Mauna Loa. Secondo Beck la concentrazione di CO2, nel passato, anche recente, ha conosciuto picchi molto più alti di quelli universalmente accettati. Uno di questi picchi (più di 400 ppmv) registrato intorno agli anni ’40, in concomitanza dell’anomalo andamento delle SST di cui abbiamo parlato in precedenza, a suo giudizio, sarebbe stato una conseguenza dell’aumento delle temperature globali. Ciò avrebbe avvalorato l’ipotesi che la concentrazione di CO2 aumenta in seguito all’aumento della temperatura e non viceversa.

Anche in questo caso i famosi campanellini hanno tintinnato piuttosto violentemente spingendomi a cercare di vederci più chiaro. Dopo aver letto i lavori di Beck mi sono reso conto che molte erano le debolezze delle tesi che li caratterizzavano per cui non mi sento di condividerne le conclusioni. Gran parte dell’articolo del 2008 è dedicata a dimostrare che Keeling e Callendar hanno deliberatamente trascurato i risultati delle analisi chimiche eseguite nel corso del 19° secolo e nella prima parte del 20°. Essi, a tali risultati, prima del 1958, hanno preferito i dati proxy derivanti dalle carote di ghiaccio. Beck reputa questi dati meno precisi di quelli di origine chimica.

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Una verità sconveniente

E’ strano come certi slogan possano realmente ritorcersi contro chi li usa. Il riferimento, il lettori di CM lo sanno, è alla verità sconveniente proclamata a gran voce dai seguaci della catastrofe climatica prossima ventura.

Quella che sta succedendo e soprattutto che succederà, è una assoluta novità per questo Pianeta. Non ha mai fatto tanto caldo, il mare non è mai salito così velocemente, non è mai piovuto così tanto o così poco etc etc. Mai, mai, mai, questo è il mantra.

Come fare a dire mai? Bisogna guardarsi indietro, cercare, scoprire, esporre, documentare. Sotto dunque a cercare dati di prossimità per le temperature, qualcosa che possa farci capire come sono andate le cose in passato e aiutarci a fare il paragone con il presente e già che ci siamo, anche con il futuro.

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Il Pianeta perde calore, ma non la CO2

Ma quanto manca alla conferenza di Rio? Due mesi? Per la miseria, sarà una fatica arrivarci. Ogni giorno ne esce una nuova a causa dei lavori preparatori all’ennesimo annuncio di disastro imminente. Nature, (ex)autorevole rivista scientifica (ex almeno in termini climatici), è in prima linea.

Alcuni giorni fa è uscito un articolo di quelli destinati a far saltare il banco.

Global warming preceded by increasing carbon dioxide concentrations during the last deglaciation – Shakun 2012

Che cosa? L’aumento della CO2 ha preceduto l’aumento delle temperature alla fine dell’ultima glaciazione? Questa sì che è una notizia, dai proxy delle carote di ghiaccio antartiche si era sempre visto il contrario, prima la temperatura e poi, solo poi la CO2, anche con un ritardo di centinaia d’anni. E invece, collezionando ben 80 serie di dati proxy di vario genere, gli autori di questo articolo giurano di aver scoperto esattamente il contrario, sovvertendo una delle più solide critiche mai fatte all’ipotesi delle origini totalmente umane del riscaldamento globale. Se infatti la CO2 ha preceduto le temperature vuol dire che ne ha più probabilmente causato l’aumento.Vale la pena investigare.

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Dov’è l’Hockey Stick?

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Guido Travaglini è un ricercatore dell’Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Giurisprudenza, Istituto di Economia e Finanza. Ha pubblicato e postato sul web articoli di vario genere: macroeconomia, macrocriminologia, analisi delle componenti principali e climatologia. Ha un approccio econometrico dovuto agli insegnamenti di K.D. West (University of Wisconsin, Madison) e di M. Aoki (UCLA, Los Angeles). Il suo ultimo lavoro ha un titolo simile a quello di questo post:

Climate Change: Where is the Hockey Stick? Evidence from Millennial-Scale Reconstructed and Updated Temperature Time Series. (PDF)

Su mia richiesta ha accettato di riassumerne i contenuti per un guest post su CM. Buona lettura.

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Ho di recente divulgato sul web un articolo intitolato “Climate Change: Where is the Hockey Stick? Evidence from Millennial-Scale Reconstructed and Updated Temperature Time Series”. Obiettivo dell’articolo è verificare se le temperature medie della Terra si siano significativamente modificate negli ultimi mille+ anni dando luogo ad un trend ascendente culminante nell’attuale “Global Warming” o “Recent Warming Period” (RWP), oppure abbiano manifestato fasi cicliche attorno ad un trend stazionario.

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Climategate 2.0, regola numero 1: Divergere in privato, convergere in pubblico

Versione moderna dell’antico detto: i panni sporchi si lavano in famiglia. Quando si tratta di scienza però, specie se di scienza del clima, quella famiglia siamo tutti noi, perché da una non meglio specificata convergenza, ovvero da un consenso scientifico del tutto fittizio, sono scaturiti fior di provvedimenti – e altri si progetta di farne scaturire – che condizionano non poco le nostre vite.

Qualcuno ricorderà che alcuni mesi fa abbiamo parlato su queste pagine di “divergenza”, cioè di quello strano effetto per cui le temperature ricavate dai dati di prossimità degli anelli di accrescimento degli alberi e quelle misurate con il termometro smettono di andare d’accordo. Qualcun altro ricorderà anche che per evitare che questo si notasse nelle ricostruzioni di temperatura, alcuni dataset di dati proxy vennero esclusi dalle ricostruzioni e opportunamente sostituiti con i dati osservati, commettendo così un errore doppio: a) non tener conto che quel disaccordo invalidava potenzialmente anche i dati proxy non verificabili con le osservazioni, b) confrontare le mele con le pere, cioè mettere sullo stesso livello di attendibilità i dati proxy e quelli osservati.

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