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Una smoking gun caricata a salve

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un fenomeno abbastanza curioso. Nonostante continui ad esserci un notevole margine d’incertezza nella comprensione delle dinamiche del clima, ivi compreso il peso del fattore antropogenico, l’onda lunga della pubblicazione del 4° Rapporto dell’IPCC dello scorso anno sta avendo i suoi effetti. Non importa quanti siano quelli non ancora convinti delle responsabilità del genere umano nei cambiamenti climatici, non importa che la distanza tra la realtà delle osservazioni e le proiezioni che scaturiscono dalle simulazioni continui ad aumentare, non importa che siano state scritte centinaia di migliaia di pagine per confutare le tesi su cui si fonda questa convinzione, ormai la marea è salita e non è detto che torni a scendere.

Ce ne accorgiamo ogni giorno. Il cambiamento climatico è all’ordine del giorno della politica, dalle presidenziali americane all’agenda dell’Unione Europea. E giù dibattiti, convegni, comizi e dichiarazioni d’intenti con un unico fattor comune, è colpa nostra e dobbiamo correre ai ripari.

Questa assoluta certezza la troviamo anche (qui e qui a titolo di esempio) nel modo in cui i media hanno commentato un lavoro pubblicato su Nature Geoscience il 30 ottobre scorso, dal titolo “Attribution of polar warming to human influence“. Si tratta della rianalisi dei data set delle temperature al suolo delle regioni polari e del tentativo di ricostruirne i trend mediante l’uso di quattro diversi modelli climatici con e senza i forcing naturali ed antropogenici, per definire il peso degli uni e degli altri. Scopo del gioco, dimostrare che senza il forcing antropogenico i trend delle temperature osservate non sono ricostruibili.

Nell’ormai celeberrimo rapporto del panel delle Nazioni Unite, avevamo letto che, se per quel che riguarda l’Artico, il forcing antropogenico derivato dai feedback innescati dall’aumento dei gas serra risulta evidente, per l’Antartico, il cui trend delle temperature è molto meno chiaro, questo fattore forzante non è distinguibile, probabilmente a causa della scarsità di informazioni disponibili. In pratica è come dire sappiamo che c’è, fidatevi, ma non sappiamo come dimostrarlo. Poco male, ci ha pensato un team di ricercatori della Climatic Research Unit (CRU) della University of East Anglia, sede del primo working group dello stesso panel, esattamente quello che si occupa di fornire le basi scientifiche dei rapporti IPCC. Una faccenda di famiglia in tutta evidenza.

Questo lavoro, come molti altri che lo hanno preceduto, soffre degli stessi errori d’impostazione di una gran parte della letteratura scientifica che tratta del riscaldamento globale. Innanzi tutto, esattamente come accaduto per l’ultimo rapporto IPCC, i forcing naturali di cui si tiene conto sono soltanto l’irraggiamento solare e gli aerosol di origine vulcanica, ovvero quelli che hanno subito variazioni minime o del tutto assenti negli ultimi decenni. Nessuno degli altri fattori naturali ormai riconosciuti come attori principali nelle dinamiche del sistema è tenuto in considerazione: le variazioni dell’attività magnetica del sole ed i suoi effetti sulla copertura nuvolosa e le variazioni di lungo periodo degli indici AMO e PDO.

Con specifico riferimento all’emisfero nord, in questo post abbiamo visto quanto siano importanti per le regioni artiche le oscillazioni delle temperature di superficie degli oceani e le variazioni della circolazione atmosferica dominante, ma di tutto questo non troviamo alcuna traccia in queste recenti simulazioni. Anzi, spostandoci all’emisfero sud, l’evidenza del contributo antropico sarebbe confermata eliminando quella parte di riscaldamento attribuibile alle variazioni dell’indice SAM (Southern annular mode), che descrive le anomalie della circolazione atmosferica tra le le medie e le alte latitudini meridionali. In qualche modo tali variazioni di circolazione avrebbero contribuito a mascherare, ovvero a limitare gli effetti del global warming antropico nella regione. C’è da osservare inoltre, che le serie storiche sono insufficienti sia su scala spaziale che temporale, e tali restano anche con il tentativo di rielaborazione statistica operato in questa ricerca. I dati possono per forza di cose riferirsi alla sola Penisola Antartica ed alle stazioni costiere del Mare di Ross, sedi della maggior parte degli insediamenti scientifici nel continente. Se si tiene conto di quanto possano influire sulle misurazioni lo spostamento dei punti di osservazione e le tecniche di rilevamento, affermare che i dati tra il 1950 ed il 1999 presentano un differenziale di temperatura positivo di 1°C rispetto a quanto osservato dalle spedizioni pionieristiche della parte iniziale del ‘900 non ha veramente senso. Inoltre, la Penisola Antartica, il cui trend di aumento della temperatura è certamente positivo, è in qualche modo avulsa dal contesto del resto del continente, esposta com’è alle correnti oceaniche ed atmosferiche che invece non riescono ad entrare nel cuore della regione. E’ quindi logico che vi si rilevi la stessa tendenza al riscaldamento che interessa il resto del pianeta, come recupero naturale dalla fase di raffreddamento del periodo pre-industriale.

In tutta onestà devo ammettere di non possedere il livello di conoscenza adatto alla valutazione degli artifici statistici impiegati per parametrizzare i dati delle serie storiche, tuttavia questo lavoro nel suo complesso non sembra aggiungere alcuna certezza, diversamente da quanto affermato sia nell’abstract che nelle considerazioni conclusive. Quel che non si vuole ammettere è che il forcing antropico è un input e non un output del modello e se non si cambia l’approccio alla sensibilità climatica, ovvero alla risposta del sistema al variare di tutti i fattori che lo compongono e non soltanto di quelli di cui si conosce il peso, l’output non potrà mai cambiare, ma questo non è di molta utilità visto che si sa prima di far girare il modello.

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Published inAttualitàClimatologiaMeteorologia

8 Comments

  1. Lorenzo Fiori

    Ripensando un pò sulla questione (non me ne abbia a male, in fondo stiamo solo ragionando) forse, più verosimilmente andrebbe fatta una distinzione tra ‘breve’ e ‘lungo periodo’:
    le Anomalie di ‘Circolazione Atmosferica’ e l’influsso delle ‘Correnti Marine-Oceaniche’ agisocno sul ‘breve periodo’ determinando una ‘variabilità naturale’ dello scioglimento dei ghiacci polari (è il caso dello scorso anno che ha visto una ritirata record della banchisa artica), mentre sul ‘lungo periodo’ (decine di anni) si farebbe sentire l’influsso termioo del GW…un semplice grafico nel tempo dovrebbe mettere in evidenza entrambi i fattori di breve e lungo periodo e l’eventuale ‘correlazione’ con la crescita di temperatura.
    E’ facile spesso cadere nell’errore di considerare ‘Tempo Atmosferico’ e ‘Clima’ come la stessa cosa quando invece il secondo è una studio prettamente statistico ovvero ‘diluito’e ‘mediato’ nel tempo…

  2. @ Lorenzo
    Mi fa piacere che per una volta siamo dello stesso parere. 🙂
    gg

  3. Lorenzo Fiori

    @Clago
    Qui si tratta di ‘pesare’ i singoli contributi (antropici e non) al GW, non di affidarci a considerazioni generiche dettate da una pseudo-ragionevolezza: nella Scienza infatti non v’è nulla di scontato e tutto può essere sulla carta: solo i calcoli stabiliscono la ‘verità scientifica’…

    @Guidi
    L’articolo si poggia su ‘buone critiche’ ed è in gran parte condivisibile, specie per ciò che riguarda l’influenza sui Giacchi Polari della Anomalie della Circolazione Atmosferica e delle Correnti Marine-Oceaniche…
    Siamo alle solite: il Sistema è attualmete ancora troppo Complesso per tenere in debita considerazione tutti i fattori
    ed è prematuro trare certe conclusioni da studi parziali: su questo sono d’accordo…

  4. clago

    ciao Guido, è un piacere poter dialogare con te, anche se nonostante la mia buona volontà, un pò per mancanza di tempo e di concentrazione, un pò perchè sono anni luce lontano dalle questioni scientifiche, faccio fatica ad apprendere tutto ciò di cui mi hai informato…Ho letto tutti e due i post: ammetto credo di aver saltato qualche frase e di aver forse compreso il concetto generico. e forse rimango un pò ingenuo, un pò nel mio, a vedere piccole cose, o piccole “trovate” piuttosto che essere pessimista. i cambiamenti ambientali mi spaventano, ma rimango convinto che le imprese mondiali si muovono e continueranno a muoversi solo in funzione di un ritorno economico e tutte le ricerche (che ribadisco…non capisco) non verranno prese in considerazione tanto meno divulgate senza questo
    grazie ancora, a presto

  5. Caro Claudio,
    ho alcune considerazioni da fare sul tuo commento. Per quel che riguarda le ricerche, ce ne sono a iosa che indicano cosa fare, peccato però che si basino su una errata interpretazione del problema. Il cosiddetto forcing antropogenico è tangibile sull’ambiente dove c’è l’uomo, ovvero su una piccola ma importantissima porzione delle terre emerse e su quelle zone dove l’uomo, pur non abitandoci, compie spregiudicatamente i propri comodi. Ma non è affatto tangibile sul clima, inteso forse un pò forzosamente come sistema a sè. Nonostante ciò, tutte le azioni di mitigazione pensano al clima prima che all’ambiente. Secondo te i fattori inquinanti (la CO2 non è tra questi) è meglio ridurli ad esempio migliorando e velocizzando il traffico o alzando il prezzo dell’uso dei trasporti? Non è meglio un auto che impiega 15 minuti piuttosto che un’ora a fare lo stesso tragitto con o senza il famigerato filtro antiparticolato?
    Ma veniamo alle previsioni. Ti invito a leggere questo post http://www.climatemonitor.it/?p=268. Non è affatto certo, ma se non si parte dalle dinamiche di evoluzione naturale del sistema, non si va da nessuna parte. E’ inutile continuare a dire che il trend di lungo periodo non ha nulla a che vedere con la variabilità interannuale, se non si comprende la prima non si può conoscere il secondo. E infatti dopo il “tragico” 2007 per il polo nord, ci ritroviamo, malgrado le previsioni, con il ghiaccio che cresce ora come e più della media. Questo i modelli non lo sanno, chi li fa girare sì, ma a noi non lo dice, mentre non ci risparmiano gli annunci ad effetto verificabili solo in un congruo numero di decenni. La CO2 è diventata merce di scambio, questa è l’unica ragione del globale interessamento. Quando decideranno di investire quel che viene dalla campagna di riduzione delle emissioni nella ricerca e nello sviluppo delle politiche di salvaguardia dell’ambiente e non in altro genere di attività finanziarie (leggi anche questo se vuoi http://www.climatemonitor.it/?p=189) comincerò a credere alla buona fede degli annunci, fino ad allora la vedo dura.
    Grazie per gli spunti di riflessione e per il confronto di opinioni.
    gg

  6. clago

    Ho letto con attenzione il tuo post e, fermo restando una mia ignoranza tecnico-scientifica in materia, mi ha fornito solo una nuova conferma di ciò che sta accadendo. Stiamo cambiando il mondo (ambiente, natura) ma tutte le ricerche scientifiche messe in atto mi sembrano più orientate al dimostrare che cosa, senza aver trovato soluzioni concrete per quanto piccole al problema. Sono d’accordo con te sulla necessità di un cambiamento nell’approccio alla questione climatica. Eppure, possiamo variare l’output, gli input e stabilire fino a che punto agisca il fattore antropogenico, ma è innegabile il peso che l’azione umana ha sui cambiamenti. Esistono di certo altri fattori naturali (i cambiamenti avvenuti millenni fa, nulla hanno a che vedere con i gas di scarico delle auto), ma il fattore umano ricopre a mio avviso l’aspetto più decisivo per far precipitare gli eventi. Il rapporto dell’ipcc che tu hai nominato è già stato smentito – in negativo- da altri studi: addirittura può essere considerato ottimista, se analizziamo per esempio quello del wwf secondo cui l’oceano artico perde la calotta glaciale in anticipo di 30 anni sulle previsioni dell’anno scorso! Penso quindi che, fermo restando la necessità di comprendere tutti i fattori in gioco, sia comunque un obbligo riuscire ad individuare gli elementi necessari per diminuire l’impatto dell’azione umano sulla biosfera

  7. […] Guidi che commenta l’articolo in spagnolo cui ho fatto riferimento qualche giorno fa (vedi sopra) Una smoking gun ta a salve | Climate Monitor Mi pare molto importante la riflessione su "input" e "output" dei modelli, […]

  8. alessandrobarbolini

    il clima muta da sempre,dal tempo dei tempi..quello che sperimentiamo non e che uno scatto di una foto

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