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Mese: Ottobre 2011

Volere è potere

Sono passati sette mesi dal terribile terremoto del Giappone. Altrettanti ne sono passati dallo Tsunami che ha di fatto provocato le terribili devastazioni cui la costa orientale del paese del Sol Levante è stata sottoposta. Qualcosa come 20.000 persone hanno perso la vita o risultano disperse. Più di 800.000 abitazioni sono state parzialmente o totalmente distrutte. Il disastro ha compromesso affari, strade e infrastrutture. La Croce Rossa giapponese calcola che ci siano stati 400.000 rifugiati. Quando erano passati soltanto alcuni giorni dall’evento, ci siamo meravigliati di come avessero potuto rimettere in sesto ottocento chilometri di una strada praticamente distrutti in meno di due settimane.

[image width=”554″ height=”247″ align=”center”]http://www.climatemonitor.it/wp-content/uploads/2011/10/Giappone_1.jpg[/image]

Questa sopra è una delle serie di foto pubblicate dall’agenzia Kyodo news e rilanciate da The Sacramento Bee in cui si vedono le devastazioni iniziali, i progressi fatti nei primi tre mesi e la situazione attuale. La Natura è entrata nelle loro vite con prepotenza, non c’è dubbio, e molte le ha portate via. Ma gli uomini, quando vogliono sanno essere forti. Magari non vincono, ma di sicuro non abbandonano la partita.

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Perché non succede tutti gli anni?

Qualche giorno fa, per la precisione giovedì scorso, il nostro paese è stato colpito da un evento di forte maltempo. Piogge abbondanti, anche molto abbondanti sul nord-est sulla Liguria e sulla Toscana, ma, soprattutto temporali forti sulle regioni tirreniche. E’ quasi inutile ripercorrere la cronaca dell’accaduto in termini di impatto sul territorio, ma tutti sanno che l’area che ha subito le conseguenze più significative è quella della capitale.

Cosa è successo?

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A volte tornano!

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Attenzione! Questo sito è ancora in pieno sviluppo. E’ già possibile leggere tutti gli articoli, anche quelli più vecchi. Nei prossimi giorni, tuttavia, cambierà ulteriormente la struttura dell’intero sito. In caso di anomalie, trovate un form a fondo pagina per eventuali segnalazioni. Grazie a tutti per la collaborazione e il sostegno in queste 48 ore di fuoco trascorse tra lo spegnimento del vecchio sito e l’avvio di quello nuovo!
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Rieccoci, dopo 48 ore di passione informatica, il vecchio Climatemonitor se n’è andato per sempre. Oggi, 23 ottobre 2011 è una data da segnare sul nostro personale ruolino di marcia. Da oggi infatti parte la nuova versione di CM, sviluppata sull’ultima release di WordPress e con un CMS a supporto, non solo della grafica, ma dei contenuti stessi. In questo momento, quello che state osservando, non è il risultato finale, bensì un passaggio intermedio. Abbiamo preferito mettere subito online il nuovo blog con gli articoli, per evitare di essere assenti per troppo tempo dalla rete. Di conseguenza nei prossimi giorni verrete piano piano sommersi dalle vere e proprie novità che rivoluzioneranno la struttura di questo sito.

A ben vedere, comunque, già nella sua forma più semplice, CM è completamente cambiato. Abbiamo abbandonato la struttura tipica del Magazine online, per riavvicinarci alla sua forma iniziale: il blog. Questo modello è semplice, immediato e, se condito con la giusta dose di tecnologia, estremamente versatile. Da oggi infatti nel flusso del blog confluiranno tutti i social network su cui siamo presenti: Facebook e Twitter in primis, ma anche il nuovissimo Google+. D’ora in poi, per rimanere al passo con i tempi, la parola d’ordine è semplicità d’uso e immediatezza.

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Wow, il mondo si scalda, le città no.

Il compito era improbo, ma si sono messi d’impegno. Il gruppo Berkeley ha completato le prime quattro pubblicazioni inerenti il progetto di ridefinizione del dataset delle temperature superficiali globali, dei metodi di omogeneizzazione spaziale e temporale, della determinazione del peso, se di peso si tratta, dell’effetto Isola di Calore Urbano, dell’incidenza del posizionamento dei punti di osservazione e, ultimo ma non meno importante lavoro, la correlazione individuata tra l’indice AMO e la variabilità climatica – espressa attraverso il dataset appena ridefinito – tra il 1950  e il 2010.

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Pensieri e parole

Riscaldamento climatico, eventi estremi?

Cominciamo con alcuni punti molto semplici, ma spesso confusi:

  1. Non tutti gli estremi sono uguali. Discutere di ‘cambiamenti negli eventi estremi’, in generale, senza specificare esattamente di cosa si stia parlando, non ha alcun senso. Un tornado è un evento estremo, ma le cui cause, la cui sensibilità ai cambiamenti e le cui conseguenza non hanno niente a che vedere con quelli relativi a una tempesta di ghiaccio, o a un’ondata di caldo o di freddo o una siccità.
  2. Ogni tipo di estremo necessita di essere esaminato specificatamente – e spesso anche regionalmente. Non c’è nessuna teoria e nessuna indicazione che dica che il cambiamento climatico aumenti gli estremi in generale.
  3. L’attribuzione poi di eventi estremi alla variabilità naturale o all’effetto delle emissioni di origine umana è difficile. Ci sono tanto per cominciare pochi dati osservativi, poche verifiche delle simulazioni climatiche di eventi estremi, e (per il momento) valutazioni solo limitate delle proiezioni basate sui modelli.
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Al tour de France con il triciclo – Aggiornamento

E’ disonesto dire al mondo che hai messo insieme un gruppo di ciclisti competitivi, quando nella tua squadra molti corrono con il triciclo.

Questa l’opinione di Donna Laframboise circa l’IPCC e le credenziali di un discreto numero di quanti sono chiamati a scriverne i rapporti.

La solita propaganda negazionista? Il solito atteggiamento facilone poco informato? Queste probabilmente saranno, anzi di fatto lo sono già, le critiche che le saranno mosse. Ha infatti appena pubblicato un libro con questo titolo:

The Delinquent Teenager Who Was Mistaken for the World’s Top Climate Expert

C’è bisogno della traduzione? A chi sarà riferito l’ironico complimento? Non è difficile scoprirlo, perché in effetti si tratta di giornalismo investigativo, non di un romanzo. Ci sono nomi e cognomi, titoli, credenziali, curricula, carriere, passato e presente di molti tra quelli che sono stati spacciati per il non plus ultra della scienza del clima.

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Alla fiera dell’est…

…Per due soldi, un topolino mio padre comprò. E venne il gatto che…fu mangiato dal topo. E’ stato necessario cambiare il testo della storica canzone di Angelo Branduardi, la scienza lo richiede.

Premessa. Qualche giorno fa abbiamo pubblicato il commento a una ricerca che ha messo in correlazione le oscillazioni della temperatura con il benessere sociale, individuando nei periodi freddi i rischi maggiori di instabilità e disagio. Nella trattazione, quasi in forma di postulato, anche l’evidenza rappresentata dalla correlazione tra la statura degli esseri umani e le temperature. Gli uomini crescono di più e meglio se fa più caldo.

Pare non sia così per gli animali. E’ di questi giorni infatti la pubblicazione di uno studio che ravvisa nel riscaldamento globale la causa di una generale tendenza degli animali a diventare più piccoli. Prima inevitabile riflessione: gli uomini (e naturalmente anche le donne) non sono animali. Questo ci rallegra.

Già alcuni anni fa avevamo avuto un assaggio di questa ipotesi miniaturistica. Le pecore di un’isoletta scozzese pare siano diminuite in volume a causa del global warming. Con una rapida occhiata alla realtà climatica della zone è stato semplice scoprire che nella fattispecie più che le temperature poterono le piogge. Di qui la certezza che i pur simpatici ovini non fossero di pura lana vergine. Ricordatevelo la prossima volta che acquistate un capo di abbigliamento di lana scozzese.

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Che avete da fare nel 2500?

Avete letto bene, 2500, non 2050, data che magari qualcuno potrà anche sperare di raggiungere, sempre se i facinorosi salvatori del Pianeta non decideranno di farci saltare per aria in stile campagna di marketing del 1010. Quella è la data fin dove si è spinta l’ultima simulazione delle variazioni del livello del mare, tra cinque secoli. A ‘corroborare’ in stile catastrofico i risultati di questa ultima fatica, non poteva mancare l’immagine di New York – per la precisione Manhattan – interamente sommersa dalle placidamente maligne acque dell’oceano.

Per carità, non che l’immagine c’entri nulla con questa ricerca, dal momento che per ottenere un innalzamento del livello del mare capace di combinare tanti guai ci vorrebbero 26.000 anni all’attuale rateo di innalzamento. Però fa effetto, come dire, arreda. E certamente nessuno di quelli che normalmente guarda dall’alto della torre d’avorio commiserando i poveri minus habens scettici che ne popolano la base avrà alcunché da dire. Il messaggio prima di tutto, questa è la parola d’ordine, anche prima di accendere i neuroni.

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Hum… se va così ci vorrà il cappotto…

Mentre si cominciano a vedere i primi timidi approcci alle prognosi per il prossimo inverno, per le quali la situazione è davvero troppo prematura, esce l’ensemble forecast della NOAA sull’evoluzione della porzione 3.4 di El Niño (la porzione centrale e più ampia del Pacifico equatoriale).

Questi sistemi di prognosi hanno parecchie difficoltà a cogliere le inversioni di tendenza e le fasi di innesco delle oscillazioni delle temperature di superficie, ma, in genere, quando la situazione è consolidata, funzionano piuttosto bene nel prevederne le dinamiche di medio periodo.

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Eventi estremi: Chi di mantra ferisce di mantra perisce

Alcuni giorni fa su Science Daily è uscito un articolo che preannunciava un intervento del climatologo Kevin Trenberth al meeting annuale della Geological Society of America tenutosi poi dal 9 all’11 ottobre. Il titolo della sessione era Extreme Climate and Weather events: Past, Present and Future. La presentazione di Trenberth nello specifico aveva questo invece questo titolo: The Russian Heat Wave and Other Climate Extremes of 2010.

Analizzando i dati relativi all’ondata di calore che ha colpito la Russia nel 2010, Trenberth arriva a concludere che l’evento ha avuto sostanzialmente una doppia radice, ovvero sia naturale che antropica. Per questo, come per altri (quasi tutti sembrerebbe) eventi estremi registrati nel 2010 e nella prima parte del 2011, periodo che non è stato affatto avaro al riguardo, Trenberth individua il contributo antropico nel fatto che abbiano avuto origine in zone del Pianeta caratterizzate da anomalie positive delle temperature di superficie del mare, avendo quindi a disposizione una maggiore quantità di vapore acqueo e di energia, scaricata poi nell’intensità degli eventi. Per la Russia in particolare, sarebbe stata la forza anomala del monsone indiano, appunto innescata dall’anomalia positiva della temperatura del mare, a generare le condizioni per la persistenza del blocco anticiclonico che ha poi favorito e alimentato le condizioni per l’intensa ondata di calore.

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Vuoi vedere che veramente ‘Tutto è relativo’?

Non so se i risultati dell’esperimento OPERA siano stati già inviati ad una rivista scientifica e se sia in corso il referaggio. Quel che è certo è che da quando i risultati preliminari dell’esperimento sono stati resi pubblici, dopo le prime reazioni di meraviglia mista a scetticismo più o meno universali, sembra che in parecchi si siano dati da fare per confermare/smontare quanto affermato da chi ha condotto l’esperimento.

Sembra che qualche giorno fa sia arrivata alle pagine di arXiv una spiegazione che potrebbe far correre qualche brivido lungo la schiena dei ricercatori di Opera.

Secondo quanto si può leggere in questo post su Tecnology review o se preferite farvi venire il mal di testa direttamente sulla Letter pubblicata da arXiv, il famoso neutrino superman non sarebbe affatto risultato più veloce della luce nel percorrere la distanza tra il CERN e il Gran Sasso (per carità non sottoterra…), se nel calcolare il tempo impiegato nella sua folle corsa si fosse tenuto conto della relatività speciale, ovvero del fatto che i due orologi perfettamente sincroni che hanno preso i tempi di partenza e arrivo, non sono sulla Terra ma a bordo dei satelliti GPS impiegati per il calcolo.

Se il sistema di riferimento ha una componente della velocità parallela a quella del moto della particella e si muove quindi verso la sorgente, quella componente deve essere sottratta al tempo impiegato per coprire l’intera distanza. Secondo i firmatari della Letter la correzione da applicare è di 32 ns. Siccome deve essere applicata due volte i nanosecondi diventano 64, ossia appena poco più di quanto si suppone sia stata la differenza tra il tempo che ha impiegato il neutrino superman e quella che avrebbe impiegato la luce per coprire la tratta (60 ns).

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Da ‘che tempo che fa’ allo ’show dei record’ – aggiornamento

“L’esempio del clima è paradigmatico. Se quest’anno l’inverno è stato un po’ più freddo in Europa e nel nord Italia, i mezzi di informazione subito hanno gridato che il problema del riscaldamento globale non esiste più. Quando, dati alla mano, a livello mondiale non c’è stato nessun elemento per assumere questa posizione, anzi. In Canada e nell’Oceano Artico si è avuto un inverno caldissimo, tanto che alle Olimpiadi di Vancouver la neve è stata portata sulle piste da sci con gli autocarri […] Ecco perché i giornalisti che guardano solo ai dati locali, senza confrontarli con quelli mondiali producono solo mala informazione creando, quindi, nei lettori o spettatori l’idea sbagliata di una contro tendenza sul riscaldamento globale”.

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Replica alla ‘replica’ di Stefano Caserini

Questa non è una polemica tra blog. Né uno scontro tra opposte fazioni. Per chi non lo sapesse, Stefano Caserini è l’anima di Climalteranti, un blog di divulgazione scientifica su posizioni mainstream. Nicola Scafetta, che firma questo post, lavora invece alla Duke University, ovviamente negli Stati Uniti. I due sono stati recentemente protagonisti di un dibattito ospitato dal Bollettino della Normale di Pisa. Un articolo e una replica ciascuno, con i contenuti delle repliche sconosciuti ai due interlocutori. Fin qui, tutto ok, fra poche righe avrete il link per leggere, se credete, i contenuti della ‘disfida’. Alcuni giorni fa è però uscito un articolo su Climalteranti.it scritto in prima persona ma non firmato da Caserini, in cui egli si dichiara vincitore in conseguenza del quale Ugo Bardi lo ha proclamato vincitore.

Certo Una ‘disfida’ si presume debba avere un vincitore. Che questo avvenga per autoproclamazione è però quanto meno singolare. Posto però che sull’argomento clima e sulle tematiche ad ampio spettro che i due hanno affrontato è veramente difficile che qualcuno abbia ‘ragione’ al 100%, altrimenti non staremmo qui a parlarne, direi sia più giusto che questa ‘proclamazione’ la faccia anche il pubblico, nella fattispecie i lettori. Magari ognuno per se, arricchendo semplicemente  il proprio bagaglio culturale, prendendo di qua e di là, senza spellarsi le mani, visto che pare ci sia già chi se le batte da solo.

E allora, con molto, moltissimo piacere, ospitiamo la replica di Nicola Scafetta a Stefano Caserini, perché almeno sul piano dello spazio avuto a disposizione ci sia un pareggio. Il punteggio, se credete, assegnatelo voi.

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