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Tag: Groenlandia

Terra verde, terre rare, terra di conquista

La Terra verde è la Groenlandia. Le terre rare sono quelle preziosissime materie prime sconosciute ai più che costituiscono il fondamento della tecnologia occidentale, materiali di cui è straricca la Cina, molto meno tutti gli altri. Pare che ne sia ricca anche la Groenlandia, secoli fa teatro dello sviluppo e del declino della tribù di Erik il Rosso grazie ad un lungo periodo particolarmente caldo anche per quelle latitudini, oggi abitata da poche decine di migliaia di persone riunite in uno stato sulla carta autonomo in realtà legato a filo doppio e triplo con la Danimarca.

 

La novità è che i groenlandesi hanno deciso di dar corso allo sfruttamento del loro sottosuolo, comunque raggiungibile solo dopo aver attraversato qualche centinaia di metri di ghiaccio. Però, secondo Yahoo finanza, il riscaldamento globale starebbe rendendo quei suoli più accessibili, sicché gli abitanti della ex terra verde ora ancora bianca malgrado quanto scritto su Yahoo, avrebbero lanciato una campagna di attrazione degli investimenti esteri. Soldi, naturalmente, ma anche teste e braccia (possibilmente attaccate tra loro attraverso delle spalle e qualche collo), perché servirebbe anche parecchia manodopera. Leggiamo, con l’aggiunta di qualche neretto (originale) e un po’ di rosso (mio):

 

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Influenza della fusione dei ghiacci groenlandesi sulla variazione del livello del mare: non è solo questione di GW

In un mio precedente post ho avuto modo di commentare l’influenza del tasso di fusione delle calotte glaciali antartiche e groenlandesi sulla velocità di variazione del livello del mare. La conclusione del post metteva in risalto la grande incertezza che caratterizzava le stime del contributo delle calotte glaciali antartiche e, soprattutto, groenlandesi nella determinazione della variazione del trend dell’accelerazione del livello del mare.

Ad aumentare l’incertezza, qualora ve ne fosse bisogno, ha contribuito un interessante articolo da poco pubblicato su Nature Geoscience  (qui l’abstract):

 

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Groenlandia, ieri le nubi, oggi il jet stream

Allora, breve riassunto delle puntate precedenti.

Nel luglio scorso, la patina superficiale della coltre di neve che copre la Groenlandia e lo spesso strato di ghiaccio che la sovrasta, subì improvvisamente un rapido processo di scioglimento. Un evento anomalo ma non senza precedenti, come documentato dalle discussioni che inevitabilmente nacquero nei giorni a seguire. All’epoca, naturalmente, l’imputato numero uno era il riscaldamento globale, cioè colpa del clima e non del tempo. Questo il nostro commento “a caldo”.

 

Nell’aprile scorso, invece, abbiamo pubblicato il commento ad un paper in cui si attribuiva quell’evento alla formazione di nubi basse tipiche delle latitudini settentrionali, quindi tempo e non clima.

 

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Chi l’avrebbe mai detto, è stata tutta colpa delle nubi

Molti di voi ricorderanno l’immagine qui sopra. Nell’agosto scorso ha fatto il giro del mondo. Avrebbe potuto essere intitolata “Groenlandia: prima e dopo la cura”, con l’uomo a recitare il ruolo del Dottor Stranamore. Era l’agosto scorso, nel breve volgere di qualche giorno, la patina superficiale del ghiaccio che ricopre la Groenlandia si era sciolta, evento subito ripreso dai sensori satellitari e trasformato in un battibaleno nell’icona estiva della catastrofe climatica.

 

Su CM ne abbiamo parlato qui, dopo aver dedicato qualche minuto ad una ricerca sulla rete, grazie alla quale abbiamo scoperto che l’evento definito senza precedenti accade circa ogni secolo e mezzo, con l’ultimo episodio risalente al 1889. Ma, comunque, faceva caldo, persino in Groenlandia, per cui sotto col riscaldamento globale che scioglie tutto, anche la tosse ai bambini.

 

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Era più caldo dove fa freddo

Perdonate il titolo forse senza senza senso, quando l’ho scritto avevo vogglia di scherzare. Un senso però potrebbe averlo, per esempio ripensando alle tristi giornate dell’agosto scorso, quando giornali, siti web e tv di tutto il mondo, hanno pubblicato articoli e montato documentari in cui ci si chiedeva se la Groenlandia si stesse sciogliendo.

 

Dal momento che la “Terra Verde” è ancora lì (ma lo sapevamo anche ad agosto), perché tornare a parlarne oggi? Beh, se le premesse sono quelle che hanno animato l’insulso dibattito di questa estate, difficilmente lo sapremo dai media generalisti. La notizia, infatti, non sa di catastrofe. Eccola qua:

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Storie di storia di ghiaccio

Funziona così: fai una ricerca, scopri qualcosa che non va proprio nella direzione della catastrofe climatica, scrivi un comunicato stampa in cui fai continui riferimenti a un cambiamento climatico che la tua ricerca smentisce. Se poi il media che diffonde il comunicato fa seguire al tuo un altro comunicato stampa che invece il disastro lo paventa eccome sei a posto.

Nella rassegna di Science Daily di ieri è andata così.

Prima un pezzo che racconta di uno studio in cui analizzando una serie di rilievi fotografici e dati satellitari è stato scoperto che 80 anni fa i ghiacciai della Groenlandia si scioglievano come e più di ora.

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Attenzione alla Groenlandia

La Groenlandia è davvero un luogo interessante e non sto parlando degli splendidi paesaggi. Da qualche anno a questa parte è diventata la frontiera per lo studio del Global Warming antropico. Fondamentalmente è stata assurta a paradigma dell’incalzante riscaldamento globale. Diciamo che lo stato dell’arte della climatologia ci parla di una Groenlandia i cui ghiacciai scivolano in mare a velocità mai viste fino ad oggi. Questo chiaramente è direttamente correlato alle temperature crescenti del pianeta. Non dimentichiamo che la Groenlandia ci ha regalato l’unico altro set di carotaggi glaciali così estesi e dettagliati a disposizione degli scienziati. L’altro proviene dall’Antartide.

E proprio utilizzando i dati provenienti dal sito più elevato in Groenlandia, il GISP2, un gruppo di scienziati e ricercatori ha condotto una nuova indagine sui campioni di aria intrappolati nel ghiaccio. La carota utilizzata ha consentito di ricostruire con estrema accuratezza la temperatura della neve (attenzione, non dell’aria) negli ultimi 4000 anni. Va detto fin da subito che i ricercatori utilizzano una nuova metodologia che sfrutta il rapporto tra isotopi di azoto e argon. Il gruppo di ricerca è capitanato da Takuro Kobashi del National Institute of Polar Research di Tokyo.

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